Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10980 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10980 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il 05/09/1977
avverso l’ordinanza del 31/07/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 31 luglio 2024 la Corte d’Appello di Roma rigettava la richiesta, avanzata nell’interesse di NOMECOGNOME di restituzione nel termine ex art. 175 cod. proc. pen., per proporre impugnazione avverso la sentenza di condanna emessa nei confronti della medesima NOME dal Tribunale di Civitavecchia in data 14 novembre 2023, irrevocabile il 29 marzo 2024.
Esponeva la Corte territoriale che la richiesta di restituzione nel termine si fondava sulla affermata mancata ricezione da parte della Xue della lettera raccomandata con la quale la medesima era stata informata dal proprio difensore di fiducia della necessità di una procura speciale, ai sensi dell’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen., per impugnare la sentenza del Tribunale di Civitavecchia.
Rassegnava ancora, la Corte territoriale che, con la detta richiesta, l’istante aveva dedotto che la lettera raccomandata era stata spedita il 16 febbraio 2024 e che il successivo 30 maggio 2024 lo stesso difensore era stato contattato dalla Xue, la quale gli aveva rappresentato di avere avuto cognizione della suddetta lettera raccomandata solo in tale data, lettera che per puro caso aveva notato per terra all’ingresso dell’edificio sede della propria abitazione, in prossimità delle cassette postali condominiali, e dalla quale risultava che la stessa era stata recapitata in data 19 febbraio 2024, essendo stata apposta sull’avviso di ricevimento una sottoscrizione che la Xue affermava di non avere mai apposto.
La Corte d’Appello riteneva l’inverosimiglianza di tale assunto, considerato che la lettera risultava correttamente consegnata e ritualmente sottoscritta da persona legittimata a riceverla.
Osservava, peraltro, che risultava inverosimile che la Xue non avesse avuto la possibilità di interloquire con il proprio difensore di fiducia, presso il quale aveva eletto domicilio, come inverosimile appariva il casuale rinvenimento casuale di una raccomandata, asseritamente rinvenuta per terra e sottoscritta per ricezione da un soggetto che se ne sarebbe arbitrariamente appropriato per una ragione che era rimasta ignota.
Osservava, infine, che, se la COGNOME avesse realmente inteso contestare l’autenticità della sottoscrizione apposta sull’avviso di ricevimento, avrebbe dovuto proporre querela di falso.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione NOME COGNOME per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando due motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva carenza e contraddittorietà, oltre che illogicità, della motivazione, assumendo in particolare che la Corte territoriale aveva reso una motivazione illogica in quanto aveva considerato irrilevante il fatto che la portiera dello stabile aveva affermato di non aver mai ritirato la lettera in questione, ciò che induceva a ritenere che la stessa non fosse stata consegnata personalmente alla ricorrente.
Deduceva, inoltre, che in realtà la Xue aveva contestato l’autenticità della sottoscrizione apposta in calce all’avviso di ricevimento della missiva, avendo, in data 5 giugno 2024, sporto querela ex art. 336 cod. proc. pen., con la quale aveva chiesto che si procedesse anche nei confronti del soggetto che aveva apposto la sottoscrizione, quale ricevente, sulla lettera raccomandata.
Con il secondo motivo deduceva erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 175, comma 2.1, cod. proc. pen., che prevedeva la restituzione nel termine per il caso in cui la parte avesse provato di non averlo potuto osservare per caso fortuito o per forza maggiore, e, in particolare, per il caso in cui l’imputato giudicato in assenza avesse fornito la dimostrazione di non avere avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non aver potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa.
Assumeva che nel caso di specie la Xue, in ragione di quanto occorso, non aveva potuto proporre impugnazione avverso la suddetta sentenza del Tribunale di Civitavecchia senza sua colpa.
Con motivi nuovi depositati il 26 novembre 2024 la difesa della ricorrente, premesso che la sottoscrizione della raccomandata per accettazione recava il nome “NOME“, ribadiva che la lettera raccomandata in discorso non era stata ricevuta né dalla Xue, né da un componente del nucleo familiare della ricorrente, né dalla portiera dello stabile ove la ricorrente abitava, e ribadiva altresì le argomentazioni già rassegnate con il primo motivo di ricorso in punto di vizio di motivazione del provvedimento impugnato.
Con memoria di replica alle conclusioni del Procuratore Generale, depositata in data 4 dicembre 2024, la difesa ribadiva ancora una volta che la lettera raccomandata era stata ritirata da un soggetto non abilitato a riceverla.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Deve, invero, osservarsi, riguardo alla vicenda in esame, che la sottoscrizione apposta in calce all’avviso di ricevimento della raccomandata recapitata per posta, in quanto contenuta in un atto pubblico, fa piena prova fino a querela di falso della eseguita notificazione.
Al riguardo la Suprema Corte ha avuto modo di pronunciarsi ripetutamente, affermando il principio, condiviso da questo Collegio, secondo il quale, in caso di notifica del decreto di citazione a mezzo del servizio postale, l’imputato che intenda contestare l’autenticità della sottoscrizione apposta sull’avviso di ricevimento della relativa raccomandata deve proporre querela di falso, in quanto istituto elettivamente predisposto a privare l’atto falso della sua attitudine probatoria, mentre non è sufficiente la presentazione di una denuncia penale di falso (v., in tal senso, Sez. 2, n. 9544 del 19/02/2020, COGNOME, Rv. 278512 – 01, che in motivazione ha osservato quanto segue: “In proposito
va ribadito il principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale, «in difetto di proposizione di querela di falso, infatti, deve ritenersi riconducibile all’imputato la firma apposta sull’avviso di ricezione della raccomandata relativa alla notifica dell’atto in questione, con conseguente correlata conoscenza dell’atto stesso» (così Sez. 2, n. 33870 del 18/06/2019, COGNOME, Rv. 277026; in senso conforme cfr., ad es., Sez. 5, n. 1455 del 20/12/2018, dep. 2019, Guzzi, n.m.; Sez. 3, 17506 del 3/10/2018, dep. 2019, COGNOME, n.m.; Sez. 3, n. 7865 del 12/01/2016, COGNOME, Rv. 266279; Sez. 6, n. 47164 del 05/11/2013, COGNOME, Rv. 257267). Nel caso di specie, dallo stesso ricorso si evince che la querela di falso non è mai stata proposta (“querela che verrà proposta avanti la competente sede” – pag. 3) e che non è stata neppure presentata una denuncia penale, che in ogni caso sarebbe stata inidonea allo scopo. Va ribadito, infatti, che «nel giudizio penale, per privare un atto fidefacente della sua efficacia probatoria, è necessario proporre querela di falso, in quanto istituto elettivamente predisposto a privare l’atto falso della sua attitudine probatoria, fermo restando che l’interessato può presentare anche una denuncia penale ed eventualmente giovarsi degli esiti conseguiti in tale sede ma siffatta presentazione non lo libera dall’onere di chiedere l’accertamento sulla veridicità dell’atto idoneo a produrre conseguenze negative nella sua sfera giuridica, sicché, in mancanza di siffatto impulso o anche in presenza di esso, ma in tal caso con logica ed adeguata motivazione che ne affermi la strumentalità, legittimamente è attribuito all’atto l’efficacia probatoria sua propria» (così Sez. 3, n. 7865 del 12/01/2016, Vecchi, cit.). Nella sentenza più recente fra quelle ora richiamate (riguardante un caso di dedotta nullità della citazione a giudizio dell’imputato per il giudizio di appello, in ragione dell’asserita falsità della sottoscrizione apposta in calce all’avviso di ricevimento, denunciata in sede penale), questa Corte ha ribadito l’inidoneità della presentazione della sola denuncia penale, la quale non esige un onere di allegazione e di prova a carico del proponente quale quello richiesto dalla querela di falso (art. 221 cod. proc. civ.). Disattendendo un contrario e minoritario orientamento (espresso da Sez. 6, n. 1361 del 04/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274839), si è ben evidenziato come il giudizio civile abbia il compito specifico di accertare se un documento sia falso o meno e, quindi, se in quanto tale sia idoneo a costituire fonte di prova legale, mentre il processo penale che prende le mosse da una denuncia o da una querela ha lo scopo principale di accertare la responsabilità dell’autore dell’immutatio veri. Ne Corte di Cassazione – copia non ufficiale
consegue che la querela di falso «ha come oggetto specifico l’eliminazione dell’atto fidefacente dal mondo giuridico mentre, nel processo penale l’eliminazione del documento è soltanto una conseguenza che scaturisce a seguito dell’epilogo del procedimento stesso» e che, pertanto, «a fronte della natura privilegiata dell’atto pubblico che può produrre effetti giuridici nei confronti dell’interessato, quest’ultimo è onerato di provare il contrario per neutralizzare gli effetti di un atto che, per la natura fidefacente che lo contrassegna, incide sulle situazioni giuridiche sino a quando l’efficacia probatoria perduri» (Sez. 2, n. 33870 del 18/06/2019, COGNOME, cit.)”; v., nello stesso senso, Sez. 2, n. 33870 del 18/06/2019, COGNOME, Rv. 277026 01, secondo cui, in tema di notificazioni a mezzo del servizio postale, al fine di escludere la riconducibilità al destinatario dell’atto della firma apposta per il ritiro del piego è necessario proporre querela di falso, in quanto istituto elettivamente predisposto a privare l’atto della sua attitudine probatoria, mentre non è sufficiente che l’interessato presenti una denuncia penale di falso).
Parimenti inammissibile, in quanto manifestamente infondato, è il secondo motivo (al pari dei motivi nuovi, che reiterano le argomentazioni già rassegnate con il primo motivo), giacché la ricorrente non ha dimostrato di non aver potuto proporre impugnazione avverso la suddetta sentenza del Tribunale di Civitavecchia senza sua colpa, ostando a tale prova, come detto, l’efficacia fidefacente dell’atto dell’ufficiale postale, efficacia che, per come sopra illustrato, può essere rimossa esclusivamente con la proposizione di querela di falso, nella specie non proposta dalla COGNOME, che si è limitata a sporgere denuncia – querela di falso in sede penale.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile.
La ricorrente deve, pertanto, essere condannata, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 11/12/2024
Il Consigliere estensore
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Il Presidente