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Quasi flagranza: no arresto su sole dichiarazioni

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso del Pubblico Ministero, confermando la decisione del GIP che non aveva convalidato un arresto. La sentenza ribadisce che per la ‘quasi flagranza’ non bastano le sole dichiarazioni della persona offesa, anche se rese nell’immediatezza, ma è necessaria una percezione diretta e autonoma delle tracce del reato da parte della polizia giudiziaria, che colleghino in modo inequivocabile l’indiziato al delitto.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Quasi Flagranza: Quando l’Arresto Basato sulla Parola della Vittima è Illegittimo

Il concetto di quasi flagranza rappresenta uno degli strumenti più delicati a disposizione della polizia giudiziaria, poiché consente la privazione della libertà personale in assenza di un preventivo ordine del magistrato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 12505/2025, ha ribadito i confini rigorosi di questo istituto, chiarendo che l’arresto non può fondarsi unicamente sulle dichiarazioni, pur immediate, della persona offesa. Approfondiamo questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Tutto ha origine da un’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari (GIP) del Tribunale di Salerno, che non convalidava l’arresto di un uomo accusato di rapina. La polizia giudiziaria era intervenuta dopo essere stata allertata dalla vittima, la quale, ancora ferita e insanguinata, aveva fornito una descrizione del suo aggressore. Poco dopo e a breve distanza, gli agenti individuavano e arrestavano un soggetto corrispondente alla descrizione.

Tuttavia, il GIP riteneva insussistente lo stato di quasi flagranza, poiché gli agenti non avevano assistito al reato né avevano avuto una percezione diretta e contestuale della sua commissione. L’identificazione e il conseguente arresto erano avvenuti esclusivamente sulla base delle dichiarazioni della vittima.

Contro questa decisione, il Procuratore della Repubblica proponeva ricorso per cassazione, sostenendo un’erronea valutazione del giudice e citando precedenti che ammettevano la quasi flagranza anche quando la polizia si pone all’inseguimento del reo sulla base delle immediate indicazioni della vittima.

La Questione Giuridica sulla Quasi Flagranza

Il nodo centrale della questione è la corretta interpretazione dei requisiti della quasi flagranza. Questo istituto, per la sua natura eccezionale che deroga alla riserva di giurisdizione per la limitazione della libertà personale (Art. 13 Cost.), richiede presupposti certi e stringenti. La domanda è: le sole dichiarazioni della vittima, che descrive l’aggressore alla polizia intervenuta subito dopo, sono sufficienti a integrare la nozione di “essere sorpreso con cose o tracce” del reato?

La difesa dell’indagato e la decisione del GIP sostenevano di no, mentre la Procura propendeva per un’interpretazione più estensiva, valorizzando la continuità temporale e logica tra il reato, la denuncia della vittima e l’intervento della polizia.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso del Pubblico Ministero inammissibile per manifesta infondatezza, sposando l’interpretazione più rigorosa e garantista. I giudici hanno richiamato un principio consolidato, espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 39131 del 2016, che costituisce la pietra miliare in materia.

Secondo la Corte, la quasi flagranza presuppone l’immediata ed autonoma percezione, da parte di chi procede all’arresto (la polizia giudiziaria), delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l’indiziato. L’arresto basato sulle sole informazioni fornite dalla vittima o da terzi è illegittimo perché manca questa percezione diretta.

Nel caso specifico, la polizia ha agito unicamente grazie alle informazioni ricevute. La circostanza che la vittima fosse insanguinata era sì una traccia del reato, ma non un elemento “individualizzante” rispetto all’autore della rapina. Era la descrizione verbale a guidare gli agenti, non la percezione diretta di tracce oggettive che legassero inequivocabilmente il sospettato al crimine appena commesso.

In altre parole, la conoscenza del fatto da parte della polizia non è stata diretta e autonoma, ma mediata dal racconto di un terzo, seppur qualificato come la persona offesa. Questa mediazione informativa interrompe quel nesso di immediatezza percettiva che la legge richiede per giustificare un provvedimento così grave come l’arresto in assenza di un ordine del giudice.

Le Conclusioni

La sentenza in esame rafforza un principio fondamentale dello stato di diritto: il potere di arresto, in quanto eccezionale, deve essere esercitato entro confini certi e non può basarsi su elementi puramente dichiarativi, che dovranno invece essere vagliati nel corso delle indagini. La decisione non sminuisce l’importanza della testimonianza della vittima, che resta un elemento di prova cruciale, ma la colloca nel giusto ambito processuale, distinguendola dai presupposti oggettivi e direttamente percepibili che legittimano l’arresto in quasi flagranza. Questa pronuncia serve da monito sulla necessità di un’applicazione rigorosa delle norme procedurali a tutela della libertà personale.

Quando si può parlare di “quasi flagranza” secondo la Corte?
La quasi flagranza si verifica quando la polizia giudiziaria, subito dopo il reato, insegue l’autore del reato o lo sorprende con cose o tracce che lo colleghino in modo diretto e inequivocabile al crimine appena commesso. È necessaria una percezione diretta e autonoma da parte degli agenti, non mediata da racconti di terzi.

L’arresto è legittimo se si basa unicamente sulle dichiarazioni della persona offesa?
No. Secondo la sentenza, l’arresto operato dalla polizia giudiziaria sulla base delle sole informazioni fornite dalla vittima o da terzi nell’immediatezza del fatto è illegittimo, poiché non sussiste la condizione di quasi flagranza, che richiede una percezione diretta delle tracce del reato da parte di chi arresta.

Perché il fatto che la vittima fosse ferita non è stato ritenuto sufficiente per l’arresto?
La Corte ha specificato che la presenza di ferite sulla vittima, pur essendo una traccia evidente del reato, costituisce un elemento che prova l’avvenuta aggressione ma non ha un carattere “individualizzante”, cioè non identifica di per sé l’autore del reato. L’identificazione, in questo caso, è avvenuta solo tramite le dichiarazioni della vittima, elemento che non soddisfa i requisiti della quasi flagranza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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