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Quasi flagranza: no arresto su info della vittima

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26652/2025, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un Procuratore, confermando che l’arresto in ‘quasi flagranza’ non è valido se effettuato sulla base delle sole indicazioni fornite dalla vittima o da terzi. Per la legittimità dell’arresto è necessaria la percezione diretta e autonoma delle tracce del reato da parte della polizia giudiziaria, non essendo sufficienti le mere informazioni investigative raccolte sul posto.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Quasi Flagranza: No all’Arresto Basato solo sulle Parole della Vittima

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 26652 del 2025, torna a pronunciarsi su un tema cruciale della procedura penale: i limiti e le condizioni dell’arresto in quasi flagranza. Questo provvedimento ribadisce un principio fondamentale: per privare una persona della libertà personale in assenza di un ordine del giudice, non bastano le semplici dichiarazioni della vittima, ma è necessaria una percezione diretta e immediata del reato o delle sue tracce da parte della polizia. Analizziamo insieme la vicenda e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti di Causa

Due persone venivano arrestate dalla polizia giudiziaria con l’accusa di tentata estorsione, reato poi riqualificato in tentata truffa aggravata. L’arresto era avvenuto in una condizione definita di “quasi flagranza”. Tuttavia, il Giudice per le indagini preliminari (GIP) del Tribunale di Crotone si era rifiutato di convalidare l’arresto. La ragione? Gli indagati erano stati rintracciati e fermati esclusivamente sulla base delle descrizioni fornite dalla persona offesa e da alcuni vicini, senza che gli agenti avessero assistito al fatto o trovato tracce inequivocabili del reato addosso ai fermati.

Il Ricorso del Procuratore e il concetto di quasi flagranza

Contro la decisione del GIP, il Procuratore della Repubblica proponeva ricorso per cassazione. Secondo l’accusa, l’arresto era legittimo perché gli indagati erano stati individuati al termine di un inseguimento “senza soluzione di continuità”, basato sulle indicazioni fornite dalla vittima. L’argomentazione del Procuratore si fondava sull’idea che un inseguimento guidato dalle informazioni della parte offesa potesse integrare i requisiti della quasi flagranza.

La Posizione delle Sezioni Unite

La Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha richiamato un suo precedente e autorevolissimo intervento, quello delle Sezioni Unite del 2015 (sentenza Ventrice). Già in quella sede, la Corte aveva chiarito in modo definitivo i confini della “quasi flagranza”.
Questo istituto rappresenta un’eccezione al principio costituzionale della libertà personale, che può essere limitata solo con un atto motivato dell’autorità giudiziaria. L’arresto da parte della polizia è consentito in via eccezionale proprio perché la flagranza (o quasi flagranza) offre un’altissima probabilità, quasi una certezza, della colpevolezza dell’arrestato. Tale certezza, però, può derivare solo da una constatazione diretta.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha spiegato che la quasi flagranza presuppone due elementi essenziali:

1. L’immediatezza temporale: l’azione deve avvenire “subito dopo il reato”.
2. La percezione diretta: la polizia giudiziaria (o chi effettua l’arresto) deve percepire autonomamente le tracce del reato e il loro collegamento inequivocabile con l’indiziato. Questo significa vedere il reo fuggire, trovarlo con gli oggetti del reato, o notare tracce evidenti su di lui.

Le semplici informazioni raccolte dalla vittima o da testimoni, per quanto preziose per le indagini, appartengono al piano investigativo e non a quello della percezione diretta. Basare un arresto su queste informazioni significherebbe affidarsi a valutazioni e apprezzamenti che non offrono quella “sicura previsione dell’accertamento giudiziario della colpevolezza” richiesta dalla legge per una misura così invasiva.
Nel caso specifico, gli agenti avevano agito sulla base di descrizioni fornite da terzi, senza aver percepito direttamente alcun segmento del fatto e senza rinvenire tracce del delitto sui fermati. Di conseguenza, mancava il presupposto fondamentale per poter parlare di quasi flagranza.

Le Conclusioni

La sentenza in esame riafferma con forza un principio di garanzia fondamentale nel nostro ordinamento. L’arresto in quasi flagranza non può trasformarsi in uno strumento di indagine basato su mere delazioni o testimonianze, seppur raccolte nell’immediatezza. La limitazione della libertà personale richiede un fondamento probatorio di eccezionale solidità, che solo la percezione diretta e autonoma da parte degli agenti può fornire. In assenza di questo presupposto, l’arresto è illegittimo e non può essere convalidato. Questa decisione consolida la tutela della libertà personale, distinguendo nettamente l’atto eccezionale dell’arresto dall’attività ordinaria di indagine, che seguirà i suoi percorsi nel rispetto di tutte le garanzie difensive.

È possibile arrestare una persona in ‘quasi flagranza’ basandosi solo sulle dichiarazioni della vittima?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’arresto in ‘quasi flagranza’ è illegittimo se si basa unicamente sulle informazioni fornite dalla vittima o da terzi, poiché manca la percezione diretta e autonoma del fatto da parte della polizia giudiziaria.

Cosa richiede la legge per un arresto in ‘quasi flagranza’ legittimo?
La legge richiede la percezione immediata e autonoma, da parte di chi effettua l’arresto, delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con la persona arrestata. Questo può avvenire inseguendo il reo subito dopo il crimine o trovandolo in possesso di cose o tracce che lo collegano direttamente al reato appena commesso.

Perché la sola testimonianza della vittima non è sufficiente per la ‘quasi flagranza’?
Perché la ‘quasi flagranza’ è una misura eccezionale che si giustifica solo con un’altissima probabilità di colpevolezza. Tale certezza deriva dalla percezione diretta dei fatti da parte degli agenti, non da elementi investigativi come le testimonianze, che richiedono una valutazione successiva e non offrono la stessa affidabilità immediata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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