Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 47016 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 47016 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI L’AQUILA
nei confronti di:
IGNOTI
avverso il decreto del 15/05/2024 del GIP TRIBUNALE di L’AQUILA
lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. NOME COGNOME il quale ha richiesto l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO
Con il decreto impugnato il Giudice delle Indagini Preliminari del Tribunale di L’Aquila ha dichiarato inammissibile la richiesta di archiviazione proposta dal pubblico ministero in procedimento a carico di ignoti in quanto presentata in forma analogica e non mediante l’applicativo APP e, dunque, in violazione del disposto dell’art. 3 d.m. 29 dicembre 2023 n. 217 in assenza dei presupposti per derogare all’obbligo di deposito telematico.
Avverso il decreto ricorre il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di L’Aquila articolando due motivi. Con il primo deduce l’abnormità del provvedimento impugnato. In tal senso evidenzia come l’art. 175-bis c.p.p. non attribuisca al giudice il potere di dichiarare inammissibile la richiesta del pubblico ministero perché presentata in modalità analogica anziché digitale. Non di meno la decisione impugnata determinerebbe una stasi del procedimento atteso che il pubblico ministero non può provvedere al deposito digitale alla luce del malfunzionamento del sistema che ha dato origine al provvedimento del dirigente dell’ufficio di imporre di procedere alla presentazione delle richieste di archiviazione con le modalità censurate dal giudice, né, a causa del decreto impugnato, può ottemperare a tale provvedimento. Anche con il secondo motivo viene eccepita l’abnormità del decreto del G.i.p., che in definitiva si risolverebbe nell’indebito sindacato della legittimità del provvedimento amministrativo con il quale il Procuratore della Repubblica ha accertato il malfunzionamento del sistema e disposto l’adattamento alle circostanze della procedura di presentazione delle richieste di archiviazione dei procedimenti a carico di ignoti. Non di meno la decisione impugnata muoverebbe da una errata ricostruzione del concetto di “malfunzionamento”, invece idoneo a ricomprendere l’anomalia del sistema evidenziata nel provvedimento del Procuratore della Repubblica, facendolo coincidere con quello, diverso, di “mancato funzionamento” del sistema medesimo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
L’oggetto del quesito rende necessario soffermarsi preliminarmente sul concetto giuridico di abnormità, come delineato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 40984 del 22/03/2018, COGNOME, Rv. 273581; Sez. U, n. 20569 del 18/01/2018, COGNOME, Rv. 272715; Sez. U, n. 21243 del 25/03/2010, COGNOME, Rv. 246910; Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni, Rv. 243590; Sez. U, n. 5307 del 20/12/2007, dep. 2008,
COGNOME, Rv. 238240-01; Sez. U, n. 22909 del 31/05/2005, COGNOME, Rv. 23116301; Sez. U, n. 19289 del 25/02/2004, COGNOME, Rv. 227356; Sez. U, n. 28807 del 29/05/2002, Manca, Rv. 221999; Sez. U, n. 34536 del 11/07/2001, COGNOME, Rv. 219598; Sez. U, n. 4 del 31/01/2001, COGNOME, Rv. 217760; Sez. U, n. 33 del 22/11/2000, COGNOME, Rv. 217244; Sez. U, n. 26 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 215094; Sez. U, n. 17 del 10/12/1997, dep. 1998, COGNOME, Rv. 209603; Sez. U, n. 11 del 09/07/1997, COGNOME, Rv. 208221).
Come di recente ribadito da Sez. U, Sentenza n. 10728 del 16/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282807, secondo le più risalenti pronunce, è affetto da abnormità non solo il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite. Dunque «l’abnormità dell’atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché l’atto, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo» (da Sez. U, n. 26 del 1999, dep. 2000).
Questo principio è stato affinato e precisato dalla giurisprudenza successiva, la quale, per delimitarne la portata, fa perno sulla sussidiarietà della categoria della abnormità, da interpretare restrittivamente per non violare il principio della tassatività dei mezzi di impugnazione. In particolare, si afferma che l’atto può essere dichiarato abnorme «quando concorrano almeno i seguenti requisiti: a) sia affetto da un vizio per il quale non sono previste cause di nullità o inutilizzabilità; b) non sia altrimenti impugnabile; c) non sia inquadrabile nella struttura procedimentale prevista dall’ordinamento, ovvero determini una stasi processuale non altrimenti superabile» (Sez. U, n. 22909 del 2005, COGNOME). Sul punto, Sez. U, n. 5307 del 2007, COGNOME, ha specificato che, «alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, è configurabile il vizio dell’abnormità in ogni fattispecie di indebita regressione del procedimento in grado di alterarne l’ordinata sequenza logico-cronologica».
L’abnormità – in definitiva – è ravvisabile soltanto in mancanza di ulteriori strumenti di gravame lato sensu offerti dal sistema processuale per rimediare con prontezza all’anomalia della pronuncia giudiziale; di qui il corollario che non sarebbe conforme al sistema, per le caratteristiche di assoluta atipicità e residualità del fenomeno, dilatare il concetto di abnormità per impiegarlo in modo improprio al fine di far fronte a situazioni di illegittimità considerate altrimenti non inquadrabili né diversamente rimediabili. In altri termini, l’abnormità, più che rappresentare un vizio dell’atto in sé,
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integra sempre e comunque uno «sviamento dalla funzione giurisdizionale», non rispondendo, dunque, al modello previsto dalla legge, ma collocandosi al di là del perimetro entro il quale è riconosciuto dall’ordinamento, sia che si tratti di un atto strutturalmente “eccentrico” rispetto a quelli positivamente disciplinati, sia che si versi in una ipotesi di atto normativamente previsto e disciplinato, ma “utilizzato” al di fuori dell’area che ne individua la funzione e la stessa ragione di essere nell’iter procedimentale, quale esercizio di un potere previsto dall’ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge, perché al di là di ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto). Logico corollario di tali premesse è che l’abnormità funzionale e quella strutturale non costituiscono manifestazioni ontologicamente distinte ed eterogenee, ma si saldano nell’ambito di un fenomeno unitario, caratterizzato dalla carenza o dalla assenza di potere del giudice che ha adottato il provvedimento.
In tale prospettiva, la giurisprudenza di legittimità, sottolineando il carattere derogatorio dell’istituto dell’abnormità, ne ha evidenziato la natura eccezionale, proprio in considerazione della deroga al principio di tassatività delle nullità e dei mezzi di impugnazione ed ha, inoltre, chiarito che, con riguardo alla abnormità funzionale, riscontrabile nel caso di stasi procedimentale, la stessa va limitata all’ipotesi in cui il provvedimento giudiziario «imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso del futuro del procedimento o del processo» ovvero lo costringa ad una forzata inazione processuale, mentre negli altri casi il pubblico ministero è tenuto ad osservare i provvedimenti emessi dal giudice.
Ancora di recente Sez. U, n. 20569 del 2018, COGNOME, ha dato seguito a tale linea interpretativa, sottolineando il carattere di eccezionalità della categoria dell’abnormità e la sua funzione derogatoria rispetto al principio di tassatività dei mezzi d’impugnazione, sancito dall’art. 568 cod. proc. pen., e rispetto al numero chiuso delle nullità deducibili secondo la previsione dell’art. 177 cod. proc. pen.: dunque, una categoria concettuale «riferibile alle sole situazioni in cui l’ordinamento non appresti altri rimedi idonei per rimuovere il provvedimento giudiziale, che sia frutto di sviamento di potere e fonte di un pregiudizio altrimenti insanabile per le situazioni soggettive delle parti». Da tale carattere di eccezionalità e residualità viene fatta discendere la necessità di distinguerne l’ambito concettuale dalle anomalie irrilevanti perché innocue, in quanto l’atto, pur esorbitante dagli schemi legali o compiuto per finalità diverse da quelle che legittimano l’esercizio della funzione, sia «superabile da una successiva corretta determinazione giudiziale che dia corretto impulso al processo o dalla sopravvenienza di una situazione tale da averne annullato gli effetti, averlo privato di rilevanza ed avere eliminato l’interesse alla sua rimozione». Analoga
necessità di demarcazione si coglie rispetto alle ipotesi in cui l’atto contrasti con singole disposizioni processuali, presidiate dalla sanzione della nullità: in questo ambito, infatti, «la violazione sussistente non travalica nell’abnormità se l’atto non sia totalmente avulso dal sistema processuale e non determini una stasi irrimediabile del procedimento», onde va escluso che possa invocarsi la categoria dell’abnormità per giustificare la ricorribilità immediata per cassazione di atti illegittimi, affetti soltanto nullità, «perché tanto si tradurrebbe nella non consentita elusione del regime di tassatività dei casi di impugnazione e dei mezzi esperibili, stabilito dall’art. 568, comma 1, cod. proc. pen.».
Per ciò che qui interessa, dunque, dalla delineata evoluzione della giurisprudenza delle Sezioni Unite si possono trarre due conclusioni: una più generale, nel senso che la giurisprudenza ha progressivamente ristretto l’ambito di applicazione della categoria dell’abnormità, in particolare evidenziando, per la sua configurabilità, la necessità di una stasi processuale; una più specifica, nel senso che la stasi processuale rilevante ai fini dell’abnormità si determina quando il processo non può proseguire, se non attraverso il compimento di un atto illegittimo da parte del pubblico ministero.
Tracciate le coordinate esegetiche della categoria di invalidità evocata dal ricorrente, va anzitutto rilevato che l’impugnazione ha ad oggetto la declaratoria di inammissibilità della richiesta di archiviazione di un procedimento nei confronti di ignoti adottata dal giudice delle indagini preliminari, perché depositata non nelle forme imposte dall’art. 111-bis comma 1 cod. proc. pen., per come vigente al momento del deposito ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 87 commi 1 e 3 d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 del 2022 e 3 commi 1 e 7 d.m. 29 dicembre 2023 n. 217. Va ancora precisato che, per quanto si ricava dagli atti trasmessi e dallo stesso provvedimento impugnato, il procedimento in questione era stato oggetto di una richiesta cumulativa di archiviazione di plurimi procedimenti nei confronti di ignoti, presentata dal pubblico ministero ai sensi degli artt. 415 comma 4 cod. proc. pen. e 107-bis disp. att. cod. proc. pen.
3.1 Ciò premesso deve rilevarsi che alcuna disposizione attribuisce al giudice delle indagini preliminari il potere di dichiarare l’inammissibilità della richiesta d archiviazione, potendo egli solo disporre l’archiviazione del procedimento ovvero procedere ad adottare i provvedimenti di cui all’art. 409 cod. proc. pen. nei limiti e con le forme stabiliti dall’art. 415 comma 3 dello stesso codice. Né tale potere è ricavabile dal disposto dell’art. 111-bis comma 1 cod. proc. pen. (o di altra norma), che non sanziona con l’inammissibilità il deposito analogico delle richieste presentate dagli abilitati interni in violazione dell’obbligo di depositarle telematicamente. E prova ne sia
che, per quanto riguarda, ad esempio, il deposito degli atti di impugnazione la violazione del suddetto obbligo previsto dall’art. 582 comma 1 cod. proc. pen. è sanzionato con l’inammissibilità in forza dell’espressa previsione contenuta in tal senso nell’art. 591 comma 1 lett. c) dello stesso codice di rito.
3.2 Ma anche volendo ritenere irrilevante il ricorso da parte del giudicante alla categoria dell’inammissibilità, in quanto non pregiudicante in astratto la possibilità di riproporre la richiesta non soggetta a termini di decadenza, e volendo invece ritenere che il provvedimento adottato deve leggersi quale declaratoria di irricevibilità della richiesta, i termini della questione non mutano, poiché alcuna disposizione autorizza il giudice a rifiutare il deposito analogico della richiesta, costituendo la violazione dell’obbligo di deposito telematico, laddove per l’appunto non altrimenti previsto, una mera irregolarità che non determina l’inesistenza dell’atto.
3.3 L’abnormità strutturale della decisione impugnata si apprezza vieppiù nell’esame della sua motivazione, che propone una interpretazione del tutto arbitraria e comunque errata dell’art. 175-bis cod. proc. pen., la disposizione che consente di derogare all’obbligo posto dal citato art. 111-bis comma 1 per il caso di malfunzionamento dei sistemi informatici necessari per il deposito telematico. Che il concetto di “malfunzionamento” evocato dal legislatore nel contesto normativo di riferimento sia quello di impedimento “assoluto” di utilizzazione dei sistemi suddetti.
Non solo la lettera della disposizione citata non offre indici testuali che avvallino l’interpretazione restrittiva propugnata dal giudicante, ma questa collide con la stessa ratio della norma, che è all’evidenza, come peraltro asseverato dalla Relazione al d.lgs. n. 150 del 2022 cui si deve la sua introduzione, quella di prevedere soluzioni alternative in grado di garantire il completo e tempestivo dispiegamento degli strumenti processuali in ogni caso in cui ciò non sia consentito attraverso l’accesso alla modalità telematica. Infatti il malfunzionamento del sistema non può incidere sulla normale prosecuzione dell’attività processuale, sebbene ciò richieda una rinuncia – ma solo temporanea – alla opzione digitale ed un – altrettanto temporaneo – “ritorno” all’analogico: l’obiettivo di realizzare una maggiore efficienza del processo penale (che è, d’altro canto, uno degli obiettivi perseguiti con il processo telematico) non può essere disgiunto, per sua stessa natura, dalla celerità nello svolgimento delle attività processuali.
3.4 E dunque qualsiasi effettiva anomalia dei sistemi protrattasi per una durata apprezzabile, quale ne sia la causa, che impedisca di compiere in modalità telematica atti del procedimento secondo le norme che li disciplinano deve ritenersi ricompresa nella nozione di “malfunzionamento”, per l’appunto definita dal legislatore attraverso l’utilizzo di un termine (lo stesso, peraltro, dispiegato nell’art. 1 comma 5 I. n. 134 del
2021, ossia la legge delega sulla base della quale è stato adottato il d.lgs. n. 150 del 2022) non particolarmente impegnativo sul piano descrittivo nell’impossibilità di individuare a priori le ipotesi in cui il non corretto o completo funzionamento delle applicazioni possa interferire con il regolare svolgimento delle attività procedimentali. Ed in tal senso poco importa se il compendio normativo di riferimento imponga l’obbligo o la mera facoltà di procedere al deposito di un determinato atto. Ciò che rileva, per l’appunto, è solo che a causa di una anomalia nel funzionamento del sistema non sia stato possibile effettuare il deposito in modalità telematica dell’atto come configurato dalle norme che lo disciplinano. Deve pertanto ritenersi pacifico che, qualora l’applicazione dedicata al deposito telematico non abbia consentito in un dato momento di procedere con tale modalità alla presentazione delle richieste cumulative di archiviazione dei procedimenti a carico di ignoti per come previsto dall’ultimo comma dell’art. 415 cod. proc. pen., rimane integrato il presupposto del malfunzionamento del sistema ai sensi ed agli effetti dell’art. 175-bis cod. proc. pen.
3.5 Non di meno, con riferimento ad entrambe le ipotesi di malfunzionamento disciplinate, rispettivamente, nei commi 1 e 4 dell’art. 175-bis citato, il d.lgs. n. 150 del 2022 nel comma 3 dello stesso articolo ha previsto, quale soluzione “alternativa ed effettiva” alle modalità telematiche, che gli atti e i documenti vengano redatti in forma di documento analogico e depositati con modalità non telematiche, al fine di evitare stalli nell’attività processuali.
E’ dunque la stessa previsione legislativa che, per garantire il tempestivo svolgimento delle attività processuali, impone in ogni caso il ricorso al deposito analogico, rimanendo dunque priva di fondamento l’ulteriore argomentazione contenuta nel provvedimento impugnato per cui il pubblico ministero, nell’impossibilità di procedere a richieste massive di archiviazione per via telematica, avrebbe potuto procedere a depositare, sempre telematicamente, singole richieste per ognuno dei procedimenti contenuti negli elenchi di cui all’art. 107-bis disp. att. cod. proc. pen., non spettando al giudicante stabilire le modalità alternative di deposito degli atti a seguito del malfunzionamento del sistema.
3.6 Conclusivamente sul punto va dunque osservato che, nel caso di specie, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di L’Aquila aveva attestato e tempestivamente comunicato l’impossibilità di procedere al deposito telematico delle richieste di archiviazione cumulative a causa di una anomalia del sistema e che pertanto il pubblico ministero ha ritualmente provveduto a depositare la richiesta in formato analogico. Conseguentemente deve riconoscersi, sotto il profilo strutturale e per le ragioni illustrate, l’eccentricità del provvedimento impugnato.
Il decreto del G.i.p. del Tribunale di L’Aquila deve poi ritenersi abnorme anche sotto il profilo funzionale, avendo determinato una evidente stasi del procedimento, posto che ha impedito il tempestivo svolgimento delle attività processuali secondo le norme che le disciplinano. Ed infatti il pubblico ministero si è venuto a trovare nell’impossibilità di procedere al deposito telematico della richiesta massiva a causa del protrarsi del malfunzionamento del sistema ed allo stesso tempo di depositarla in modalità analogica, come imposto dall’art. 175-bis cod. proc. pen., in ragione della decisione del giudice.
Il provvedimento impugnato deve dunque essere annullato senza rinvio in quanto abnorme e gli atti devono essere trasmessi al Tribunale di L’Aquila per l’ulteriore corso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e dispone restituirsi gli atti al Tribunale di L’Aquila.
Così deciso il 6/11/2024