Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 36425 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 36425 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: TRIPICCIONE DEBORA
Data Udienza: 30/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: nel procedimento a carico di:
AVV_NOTAIO Della Repubblica Presso il Tribunale di Milano
NOME nato in Albania il DATA_NASCITA
avverso il decreto emesso il 16 maggio 2025 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato;
letta la memoria del difensore, AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RILEVATO IN FATTO
Il AVV_NOTAIO della Repubblica presso il Tribunale di Milano ricorre per cassazione avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di convalida del decreto di acquisizione dei dati di traffico telefonico e telematico in caso di urgenza. Il ricorrente premette che tale richiesta è stata trasmessa per via
telematica e depositata materialmente tramite «stampa di cortesia» e, con due motivi di ricorso, tra loro logicamente connessi, deduce il vizio di violazione di norme processuali e l’abnormità del provvedimento, motivato sulla sola carenza di una sottoscrizione «nelle forme di legge», trattandosi di atto sottoscritto digitalmente in conformità alla normativa vigente.
Ad avviso del ricorrente, il provvedimento impugnato è abnorme in quanto, per effetto dell’erronea convinzione della mancanza di una sottoscrizione, si colloca al di fuori del sistema processuale penale e determina una stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo; è, inoltre, affetto da motivazione carente, in quanto non illustra quali sarebbero le forme legali della sottoscrizione che non sarebbero state rispettate.
2. Il AVV_NOTAIO rocuratore AVV_NOTAIO, nel concludere per l’accoglimento del ricorso, ha osservato che la firma digitale del pubblico ministero deve ritenersi consentita ai sensi dell’art. 110 cod. proc. pen., attuato da ultimo dal D.M. 24 dicembre 2024, n. 206. Vanno, inoltre, considerati gli effetti dei decreti emessi dal Presidente del Tribunale di Milano, ai sensi dell’art. 175 -bis , comma 4, cod. proc. pen., di sospensione dell’uso dell’applicativo APP, sospensione da ultimo prorogata sino al 30 giugno 2025, da ritenersi non preclusivi della firma digitale, in quanto espressamente ricondotti al principio del ‘doppio binario’ (cioè utilizzo sia della modalità digitale, sia della modalità analogica). Si sostiene, pertanto, che il provvedimento impugnato deve ritenersi abnorme in quanto provoca una stasi del procedimento in assenza di altri mezzi d’impugnazione previsti dall’art. 132 del d.lgs. n. 196 del 2003.
Sulla base di tali considerazioni, si chiede l’ annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato, in modo da determinare una situazione assimilabile alla mancata convalida per decorso del termine che, secondo la dottrina, consentirebbe al pubblico ministero di presentare una nuova richiesta di acquisizione, su cui potrà ex novo decidere il Giudice entro le 48 ore previste dalla legge.
Il difensore di NOME, nel concludere per l’inammissibilità del ricorso, ha eccepito: a) la carenza di interesse del Pubblico Ministero, potendo presentare altra istanza regolarmente firmata o di proprio pugno su documento analogico o digitalmente; b) l’infondatezza del primo motivo , posto che il d.lgs. n. 82 del 2005 regolamenta la sottoscrizione digitale dei documenti informatici (art. 24) e non consente di sostituire il ‘certificato qualificato’ in corso di validità, che consente alla firma digitale d i ‘riferirsi in maniera univoca ad un solo soggetto ed al documento o all’insieme ‘ , con l’uso di un applicativo ministeriale, che non può
essere impiegato nemmeno in luogo della posta elettronica certificata (art. 48); c) l’inammissibilità o l’ infondatezza del secondo motivo che non illustra le ragioni della dedotta abnormità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente, deve essere rigettata l’eccezione di carenza di interesse del ricorrente, sollevata dal difensore di NOME.
1.1. Va, in primo luogo, considerato che, ai sensi dell ‘art. 132, comma 3, d.lgs, 30 giugno 2003, n. 196, come da ultimo modificato dal d.l. 30/9/2021, n. 132, convertito con modificazioni dalla legge 23/11/2021, n. 178, l’acquisizione dei dati di traffico è subordinata all’autorizzazione del giudice e può essere disposta solo se sussistono sufficienti indizi di reati per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, nonché di reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia e il disturbo sono gravi, e se i dati di cui si chiede l’acquisizione sono rilevanti per l’accertamento dei fatti.
Il successivo comma 3bis consente, tuttavia al pubblico ministero di disporre l’acquisizione dei dati di traffico con decreto motivato, soggetto alla convalida del giudice, quando ricorrono ragioni di urgenza e vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave pregiudizio alle indagini.
Infine, il comma 3quater sanziona con l’inutilizzabilità l’acquisizione dei dati in violazione delle disposizioni sopra esaminate.
1.2. Alla stregua di tale breve ricognizione normativa, ritiene il Collegio che, ferme restando le considerazioni che saranno di seguito espresse in merito alla dedotta abnormità del provvedimento impugnato, sussiste l’interesse all’impugnazione del ricorrente , interesse da correlare non solo alla rimozione del provvedimento di diniego della convalida, ma anche alla utilizzabilità ex tunc dei dati acquisiti e alla validità di eventuali ulteriori atti di indagine svolti medio tempore .
Nel merito, tuttavia, il ricorso è inammissibile in ragione dell’assorbente rilievo della non abnormità del provvedimento impugnato.
2.1. Giova, al riguardo, rammentare che la categoria dell’abnormità dell’atto è stata individuata dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte con riferimento alle ipotesi in cui si realizza uno sviamento della funzione giurisdizionale con l’ad ozione di provvedimenti strutturalmente o funzionalmente estranei all’ordinamento, cui consegue una situazione di stallo processuale non emendabile attraverso i rimedi impugnatori in quanto non espressamente previsti
dalla legge (cfr. Sez. U, n. 10869 del 12/12/2024, dep. 2025, Rv. 287607; Sez. U, n. 42603 del 13/07/2023, COGNOME, Rv. 285213 – 02; Sez. U, n. 37502 del 28/04/2022, COGNOME, Rv. 283552 – 01 Sez. U, n. 20569 del 18/01/2018, COGNOME, Rv. 272715; Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, COGNOME, Rv. 243590; Sez. U. n. 5307 del 20/12/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 238240; Sez. U., n. 26 del 24/11/1999, dep. 2000, COGNOME, Rv. 215094; Sez. U. n. 17 del 10/12/1997, dep. 1998, COGNOME, Rv. 209603).
Si è, innanzitutto, chiarito che la mancata definizione dell’abnormità all’interno del codice di rito è correlata ad una precisa scelta del legislatore, desumibile anche dalla «Relazione al progetto preliminare del nuovo codice di procedura penale», in cui si dà atto della rinuncia a prevedere espressamente l’impugnazione dei provvedimenti abnormi, «attesa la rilevante difficoltà di una possibile tipizzazione e la necessità di lasciare sempre alla giurisprudenza di rilevarne l’esistenza e di fissarne le caratteristiche ai fini dell’impugnabilità». Si è, pertanto, affermato che la necessità di introdurre tale categoria si correla all’esigenza di assicurare la legalità di ogni sequenza procedimentale e di scongiurare il rischio di anomalie imprevedibilmente insorte e non riconducibili ad altra specie di patologia, tali nondimeno da alterare lo sviluppo del procedimento e da arrecare pregiudizio alle prerogative riconosciute alle parti: di qui l’ammissibilità in questi casi, in deroga al principio della tipicità dei mezzi di impugnazione, del ricorso per cassazione, al fine di eliminare quegli atti, ove il vizio non sia riconducibile alle categorie della nullità o dell’inutilizzabilità e non sia previsto altro mezzo di impugnazione (cfr. Sez. U, n. 37502 del 2022, ‘COGNOME‘ ).
In tale consolidato solco ermeneutico si è, comunque, rimarcata la necessità di un inquadramento rigoroso della categoria dell’abnormità, che ha caratteri di eccezionalità, traducendosi in una deroga al principio di tassatività delle nullità e dei mezzi di impugnazione, e si è escluso che la nozione possa essere riferita a situazioni di mera illegittimità, considerate altrimenti non inquadrabili e non rimediabili.
2.2. Come premesso, nella consolidata giurisprudenza di questa Corte la nozione di abnormità è stata progressivamente elaborata in relazione a forme di sviamento della funzione giurisdizionale manifestatesi con l’adozione di atti strutturalmente o funzionalmente estranei all’ordinamento da cui derivano delle conseguenze non altrimenti riparabili se non con la loro rimozione.
Si è, infatti, sostenuto che l’abnormità è qualificabile come strutturale laddove: a) il provvedimento del giudice si ponga al di fuori del sistema processuale in quanto espressione dell’esercizio di un potere non attribuito dall’ordinamento processuale, e, dunque, adottato in una situazione di carenza di potere in astratto; b) il provvedimento sia manifestazione di un potere riconosciuto
dall’ordinamento, ma esercitato al di fuori dei casi consentiti in un contesto processuale del tutto diverso da quello previsto dalla legge, per cui sia riconoscibile una «radicale deviazione del provvedimento dallo scopo del suo modello legale», in una situazione, dunque, di carenza di potere in concreto (così, da ultimo, Sez. U, n. 10869 del 12/12/2024, dep. 2025, Rv. 287607).
Si è, tuttavia, chiarito che in entrambe le ipotesi il vizio della abnormità è configurabile solo se causa un pregiudizio altrimenti non sanabile in relazione ai diritti soggettivi o alla facoltà delle parti.
Si è, invece, ravvisata l’ abnormità funzionale del provvedimento quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite, determinando la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo. In particolare, le Sezioni Unite, con la sentenza n. 42603 del 13/07/2023, ‘COGNOME‘, hanno ulteriormente specificato i termini della categoria dell’abnormità funzionale, chiarendo che la stessa non è autonoma da quell a dell’abnormità strutturale, ma indica, piuttosto, le ipotesi in cui la carenza di potere consegue, non all’assenza di una astratta previsione normativa, ma alla valutazione delle conseguenze sul piano processuale dell’emissione dell’atto abnorme. Si è, i nfatti, affermato che, di fronte a un provvedimento che causa la stasi processuale, se non si è in grado di individuare le specifiche ragioni normative di un difetto di potere, occorre, comunque, verificare, prima di concludere per la sua abnormità, se il sistema accordi o meno altri rimedi per correggere o superare gli effetti dell’atto.
In altre parole, si richiede di verificare se le conseguenze che derivano da tale atto sono o meno irreparabili.
Ad avviso del Supremo Consesso, infatti, se è possibile individuare rimedi alternativi, l’atto non può considerarsi affetto da abnormità funzionale in quanto la previsione di siffatti rimedi significa che l’ordinamento, pur non regolando la modalità espressiva del potere il cui esercizio ha dato luogo alla stasi, non la disconosce, tanto da avere in sé gli strumenti per fronteggiarla.
L’abnormità funzionale sarà, dunque, ravvisabile solo nell’ipotesi in cui il sistema non consenta di individuare altre vie per porre rimedio all’esercizio di un potere, non regolato, neanche implicitamente, essendo essa stessa rivelatrice di un difetto di potere in capo al giudice che lo ha emesso, perché quell’atto, seppure riconducibile in astratto ad una previsione di legge, in concreto si rivela radicalmente incompatibile con la progressione processuale e quindi con la destinazione funzionale che gli è propria.
In questi casi, dunque, la mancata previsione normativa dell’impugnabilità del provvedimento dipende dalla sua imprevedibile estraneità a qualsiasi categoria
processuale ed il riconoscimento della ricorribilità per cassazione ha lo scopo specifico di superare una situazione di stallo altrimenti non rimediabile.
Alla luce di tali condivisibili indicazioni ermeneutiche, ritiene il Collegio che il provvedimento impugnato risulta certamente illegittimo sotto un duplice profilo: a) da un lato, appare fondato su una motivazione meramente apparente in quanto, al di là dell’apodi ttico rilievo della carenza di una sottoscrizione «nelle forme di legge», non spiega in cosa si sostanzi, in concreto, la difformità di tale sottoscrizione dal modello legale; b) il provvedimento, omette, inoltre, di considerare che la richiesta in esame risultava formata e sottoscritta digitalmente e depositata sia telematicamente che in copia analogica.
Il Giudice, dunque, ha errato nel ritenere il documento privo di regolare sottoscrizione, in quanto la richiesta risultava sottoscritta telematicamente e la copia analogica doveva considerarsi dotata del medesimo valore di quella digitale. Va, infatti, considerato che l’art. 23, commi 1 e 2, d.lgs. 82/2005 prevede espressamente che le copie su supporto analogico di documento informatico, anche sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
3.1. Tale profilo di illegittimità non travalica, tuttavia, nell’abnormità, nei termini sopra analizzati. A fronte, infatti, di un potere espressamente attribuito al giudice dall’ordinamento e della mancanza di uno specifico rimedio impugnatorio avverso l’illegittimo diniego della convalida , nulla prevedendo, al riguardo, l’art. 132 del d.lgs. 196 del 2003, ritiene il Collegio che dal diniego dell’esame della richiesta di convalida non è conseguito alcun effetto irrimediabile, potendo il Pubblico Ministero procedente sollecitare, attraverso un’autonoma richiesta ai sensi dell’art. 132, comma 3, d. lgs. cit., l’acquisizione da parte del Giudice dei dati di traffico oggetto di interesse investigativo.
Alcuna preclusione può, infatti, conseguire dal provvedimento di rigetto della richiesta di convalida in quanto fondato, non sulla insussistenza delle condizioni che , ai sensi dell’art. 132 d. lgs. n. 132 del 2003, legittimano l’acquisizione di dati di traffico, ma su ragioni di carattere procedurale che, in disparte le considerazioni già esposte sulla legittimità della decisione, non hanno interessato l’ an della acquisibilità o meno dei dati, ma solo la forma della sottoscrizione apposta sulla richiesta del Pubblico Ministero.
Dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso il 30 settembre 2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME