Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 8054 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 8054 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: Procuratore della repubblica presso il TRIBUNALE DI BERGAMO nei confronti di: COGNOME NOME nato a MILANO il 18/06/1973
avverso il provvedimento del 11/09/2024 del TRIBUNALE di Bergamo Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO
Il provvedimento impugnato è stato pronunziato 1’11 settembre 2024 dal Giudice monocratico del Tribunale di Bergamo, che, su eccezione della difesa dell’imputato, ha restituito gli atti al pubblico ministero ex art. 550, comma 3, cod. proc. pen., ritenendo che l’azione penale nei confronti di NOME COGNOME tratto a giudizio con decreto di citazione diretta per il reato di cui all’art. 624-bi cod. pen. – dovesse essere esercitata con richiesta di rinvio a giudizio, stante la pena edittale prevista.
1J)
Avverso detto provvedimento ricorre il pubblico ministero presso il Tribunale di Bergamo, che ne denunzia l’abnormità funzionale.
La parte pubblica ricorrente evoca innanzitutto l’indirizzo maggioritario della Corte di cassazione secondo cui, al di là del dato testuale dell’art. 550 cod. proc. pen. (da cui effettivamente sarebbe escluso), il reato di cui all’art. 624-bis cod. pen. non prevede il passaggio per l’udienza preliminare e la sua mancata indicazione nella predetta disposizione è dovuta solo ad un difetto di adeguamento normativo dopo l’introduzione delle fattispecie autonome di furto con strappo e furto in abitazione, che prima erano previste come ipotesi aggravate del furto ex art 625 cod. pen.
Tale orientamento – si legge nel ricorso – non è mutato neanche a seguito degli incrementi di pena che hanno caratterizzato la fattispecie fino ad oggi; il silenzio del legislatore sarebbe tanto più significativo siccome registratosi pur in presenza del fronte interpretativo suddetto.
Il catalogo dei reati di cui all’art. 550 cod. proc. pen. – prosegue il ricorrente – non è determinato dall’entità della pena edittale, ma da ragioni di funzionalità organizzativa.
Ciò posto, il provvedimento di restituzione al pubblico ministero sarebbe caratterizzato da abnormità funzionale, avendo determinato una stasi irrimediabile del procedimento, non potendo il pubblico ministero reiterare il decreto di citazione già annullato e non potendo neanche avanzare richiesta di rinvio a giudizio, perché il Giudice dell’udienza preliminare ne dovrebbe rilevare l’anomalia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto il provvedimento impugnato non è abnorme.
Un riferimento ineludibile nell’affrontare l’odierna regiudicanda è costituito da un precedente relativamente recente di questa Corte a Sezioni Unite (Sez. U, n. 37502 del 28/04/2022, COGNOME, Rv. 283552 – 01) che ha sancito il principio secondo cui «E’ abnorme, e quindi ricorribile per cassazione, l’ordinanza del giudice dell’udienza preliminare che, investito della richiesta di rinvio a giudizio, disponga, ai sensi dell’art. 33-sexies cod. proc. pen., la restituzione degli atti al pubblico ministero sull’erroneo presupposto che debba procedersi con citazione diretta a giudizio, trattandosi di un atto che impone al pubblico ministero di compiere una attività processuale “contra legem” e in violazione dei diritti
difensivi, successivamente eccepibile, ed è idoneo, pertanto, a determinare una indebita regressione, nonché la stasi del procedimento».
L’autorevole arresto, benché apparentemente non pertinente rispetto all’odierna regiudicanda, siccome concernente l’ipotesi inversa, ha invece un indubbio rilievo rispetto al tema oggi al vaglio del Collegio, dal momento che, in motivazione, si è preso cura di affrontare anche situazioni come quella verificatasi nel processo a carico del COGNOME.
Prima di chiarire quale sia stato, su questo versante, il percorso seguito da Sezioni Unite COGNOME, appare opportuna una breve ricostruzione del pluriennale processo di elaborazione e affinamento del concetto di abnormità che si deve alla giurisprudenza di legittimità a Sezioni Unite, processo che pure la sentenza 37502 (che ne costituisce uno degli epiloghi più recenti) ha riportato in chiave diacronica.
2.1. La costruzione giurisprudenziale dell’istituto ha visto coinvolte ripetutamente le Sezioni Unite della Corte di cassazione (oltre a Sezioni Unite COGNOME, cfr. Sez. U, n. 42603 del 13/07/2023, El Karti, Rv. 285213 – 02; Sez. U, n. 10728 del 16/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 2828079, che richiama Sez. U, n. 40984 del 22/03/2018, COGNOME, Rv. 273581; Sez. U, n. 20569 del 18/01/2018, COGNOME, Rv. 272715; Sez. U, n. 21243 del 25/03/2010, COGNOME, Rv. 246910; Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, COGNOME, Rv. 243590; Sez. U, n. 5307 del 20/12/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 238240-01; Sez. U, n. 22909 del 31/05/2005, COGNOME, Rv. 231163-01; Sez. U, n. 19289 del 25/02/2004, COGNOME, Rv. 227356; Sez. U, n. 28807 del 29/05/2002, Manca, Rv. 221999; Sez. U, n. 34536 del 11/07/2001, COGNOME, Rv. 219598; Sez. U, n. 4 del 31/01/2001, COGNOME, Rv. 217760; Sez. U, n. 33 del 22/11/2000, COGNOME, Rv. 217244; Sez. U, n. 26 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 215094; Sez. U, n. 17 del 10/12/1997, dep. 1998, COGNOME, Rv. 209603; Sez. U, n. 11 del 09/07/1997, COGNOME, Rv. 208221).
In chiave definitoria, può affermarsi che l’abnormità è un vizio dell’atto non codificato, ma enucleato dalla giurisprudenza di legittimità per reagire ad anomalie del procedimento che alterano la sequenza procedimentale e che non trovano rimedio nel sistema delle invalidità previsto dal legislatore e nei sistemi impugnatori azionabili. E’ un compito che il legislatore ha volutamente lasciato alla giurisprudenza, come si evince dalla Relazione al progetto preliminare del nuovo codice di procedura penale, ove si dà atto della rinuncia a prevedere espressamente l’impugnazione dei provvedimenti abnormi, «attesa la rilevante difficoltà di una possibile tipizzazione e la necessità di lasciare sempre alla
giurisprudenza di rilevarne l’esistenza e di fissarne le caratteristiche ai fini dell’impugnabilità».
Come, molto efficacemente, rappresentato in Sezioni Unite COGNOME, l’esigenza cui risponde la categoria dell’abnormità è quella di «assicurare la legalità di ogni sequenza procedimentale e di scongiurare il rischio di anomalie imprevedibilmente insorte e non riconducibili ad altra specie di patologia, tali nondimeno da alterare lo sviluppo del procedimento e da arrecare pregiudizio alle prerogative riconosciute alle parti: di qui l’ammissibilità in questi casi, in deroga al principio della tipicità dei mezzi di impugnazione, del ricorso per cassazione, al fine di eliminare quegli atti, ove il vizio non sia riconducibile alle categorie della nullità o dell’inutilizzabilità e non sia previsto altro mezzo di impugnazione». Secondo una diversa prospettiva – hanno altresì precisato le Sezioni Unite – le caratteristiche dell’atto abnorme sopra indicate ne delineano in negativo la nozione, «dovendosi trattare di situazioni correlate alle più diverse situazioni processuali e sfuggite per la loro peculiarità ad una diversa disciplina, dovendosi escludere che qualunque violazione di norme processuali possa automaticamente dare luogo ad un’ipotesi di abnormità, in violazione dei principi di tassatività delle nullità e dei mezzi di impugnazione».
2.2. L’esame della giurisprudenza sul tema dell’abnormità consente di affermare che ad oggi resta ferma la tradizionale distinzione tra abnormità strutturale e funzionale, anche se vi è una marcata tendenza alla sovrapposizione tra le due categorie.
L’abnormità strutturale ricorre quando il Giudice adotta un provvedimento che, per la singolarità e stranezza del suo contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ma anche quando si tratti di provvedimento che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite (in questi casi il Giudice «esercita un potere che non gli è dato, o meglio esercita una attribuzione completamente al di fuori dei casi consentiti», da Sezioni Unite El Karti).
L’abnormità funzionale, ricorre, invece, quando il provvedimento determina la stasi o la regressione del procedimento a cui il pubblico ministero può porre rimedio solo compiendo un atto affetto da nullità (Sezioni Unite Toni), non assoluta (Sezioni Unite COGNOME).
2.3. Proprio a quest’ultimo proposito, occorre, tuttavia, segnalare che – con particolare riferimento al tema di interesse per la soluzione dell’odierna regiudicanda, quello dei rapporti tra Giudice e pubblico ministero e della regressione del procedimento – il processo di conformazione della nozione non è stato sempre lineare, giacché l’esegesi sul punto ha registrato apparenti balzi in
avanti nell’individuazione dell’ambito dell’abnormità e precisazioni successive in senso restrittivo.
Uno snodo esegetico di grande impatto sul concetto di abnormità è stato rappresentato da Sez. U, n. 5307 del 2007, COGNOME, cit. che ha fatto propria una visione ampia del vizio, reputando che, «alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, è configurabile il vizio dell’abnormità in ogni fattispecie di indebita regressione del procedimento in grado di alterarne l’ordinata sequenza logico-cronologica».
A questo ampliamento è seguito un rinnovato approccio restrittivo, che si deve soprattutto a Sez. U, n. 25957 del 2009, COGNOME, secondo cui, nei casi di regressione, l’abnormità è ravvisabile soltanto in mancanza di ulteriori strumenti di gravame lato sensu offerti dal sistema processuale per rimediare con prontezza all’anomalia della pronuncia giudiziale. Sulla scorta della ritenuta connotazione derogatoria dell’abnormità rispetto ai tradizionali mezzi di impugnazione ed alle nullità, Sezioni Unite COGNOME ha ritenuto trattarsi di un rimedio eccezionale e, con riguardo alla abnormità funzionale, l’ha reputata sussistente solo nel caso di stasi del processo e di impossibilità di proseguirlo, cioè quando il provvedimento giudiziario «imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso del futuro del procedimento o del processo», mentre negli altri casi il pubblico ministero è tenuto ad osservare i provvedimenti emessi dal giudice.
A contrario secondo tale pronuncia – non basta a far ritenere abnorme un provvedimento la sola regressione del procedimento, ancorché legata ad una statuizione sbagliata. Tali principi sono stati ripresi, più di recente, da Sez. U, n. 20569 del 2018, Ksouri, che ha altresì escluso l’abnormità di un provvedimento compiuto per finalità diverse da quelle che legittimano l’esercizio della funzione quando la stasi determinatasi sia «superabile da una successiva corretta determinazione giudiziale che dia corretto impulso al processo o dalla sopravvenienza di una situazione tale da averne annullato gli effetti, averlo privato di rilevanza ed avere eliminato l’interesse alla sua rimozione».
3. Fatta questa premessa e venendo nuovamente e specificamente a Sezioni Unite COGNOME, la pronunzia, dopo un inquadramento storico dell’abnormità e dopo aver ricondotto la regressione verificatasi nella specie all’abnormità funzionale – siccome fenomeno rappresentativo dell’alterato funzionamento del procedimento – ha tuttavia preso atto (in linea con la sentenza COGNOME) della direzione assunta dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite dopo le sentenze COGNOME e COGNOME ricordando che l’abnormità funzionale da stasi è stata riferita – come sopra ricordato – alla sola ipotesi in cui il provvedimento giudiziario
imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo, rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo: solo in tali limiti – si legge pure nella sentenza COGNOME – il pubblico ministero può ricorrere, lamentando che il conformarsi minerebbe la regolarità del processo; altrimenti è tenuto ad ottemperare, in un sistema che non ammette la possibilità di conflitto in caso di contrasto tra pubblico ministero e giudice, senza che possa dirsi di per sé caratterizzante dell’abnormità l’effetto della regressione del processo ad una fase precedente. Ciò che rileva, dunque, è che, alla situazione di stasi, si accompagni l’imposizione di un adempimento che dia luogo ad una nullità rilevabile, principio affermato dalla sentenza Toni e ribadito o, comunque, non smentito, dalla giurisprudenza successiva delle Sezioni Unite.
Ragionando su questa base teorica, la sentenza COGNOME ha reputato che la restituzione indebita da parte del Giudice dell’udienza preliminare al pubblico ministero per esercitare l’azione penale con citazione diretta sia abnorme nella misura in cui determina una regressione del procedimento, a cui il pubblico ministero può reagire solo con una nuova attività propulsiva foriera di una nullità; vale a dire l’errato esercizio dell’azione penale con citazione diretta per un reato per cui è invece prevista l’udienza preliminare, produttivo di una nullità di ordine generale a regime intermedio ex art. 178, lett. c, cod. proc. pen., perché sottrae all’imputato una fase garantita come quella che si svolge dinanzi al Giudice dell’udienza preliminare, con conseguente vulnus del suo diritto di intervento e assistenza.
Ed è proprio in questo punto che la sentenza COGNOME opera un distinguo che è di estremo rilievo per la decisione odierna, laddove esclude che alla medesima conclusione possa giungersi nell’ipotesi inversa, in cui il Tribunale restituisca erroneamente gli atti al pubblico ministero affinché richieda il rinvio a giudizio al Giudice dell’udienza preliminare, dal momento che, in un’ipotesi di tal fatta, alla nuova propulsione dell’azione penale come indicata dal Giudice del dibattimento non conseguirà alcun vizio, perché la celebrazione dell’udienza preliminare assicura all’imputato un passaggio giurisdizionale ulteriore e, quindi, maggiori garanzie partecipative. Da tanto consegue che, in tale evenienza, la restituzione degli atti da parte del predetto primo Giudice al pubblico ministero non ha i caratteri dell’abnormità.
4. Preso atto di questa precisa indicazione ermeneutica, se ne ricava, nella specie, che la regressione del procedimento a carico del COGNOME, ancorché effettivamente determinatasi a seguito dell’ordinanza del Giudice monocratico, non comporta l’abnormità funzionale di quest’ultima perché il pubblico ministero, senza incorrere in alcuna nullità, potrà esercitare l’azione penale con richiesta di
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rinvio a giudizio. Né, si aggiunge, il provvedimento può ritenersi affetto da abnormità strutturale, perché il Giudice ha esercitato un potere che l’art. 550, comma 3 cod. proc. pen. gli riconosce e non può dirsi che lo ha esercitato oltre ogni ragionevole limite solo perché il provvedimento era fondato su un’esegesi difforme da quella assolutamente maggioritaria, secondo la quale anche per il reato di cui all’art. 624-bis cod. pen. si procede con citazione diretta a giudizio (a quest’ultimo riguardo, tra le altre, Sez. 4, n. 1792 del 16/10/2018, dep. 2019, Nastasi, Rv. 275078 – 01).
Una precisazione si impone, quanto alla giurisprudenza delle Sezioni semplici di questa Corte su identiche situazioni processuali.
Il principio oggi fatto proprio dal Collegio era stato già sancito da Sez. 5, n. 47635 del 26/05/2014, COGNOME, Rv. 261005 – 01, che aveva escluso l’abnormità in un caso del tutto sovrapponibile al presente «considerato che trattasi di provvedimento non avulso dal sistema normativo, in quanto espressione di un potere riconosciuto al giudice dall’ordinamento, cui non consegue una stasi insuperabile del procedimento, ben potendo il P.M. procedere di nuovo all’esercizio dell’azione penale».
Successivamente si era registrato un fronte interpretativo di segno opposto, secondo cui, appunto, un provvedimento come quello oggi sub iudice era da considerarsi abnorme siccome foriero di regressione e di stasi (Sez. 5, n. 28694 del 19/05/2022 (dep. 20/07/2022 ), COGNOME, Rv. 283578 – 01; Sez. 5, n. 38743 del 10/07/2019, COGNOME, Rv. 277638 – 01; Sez. 4, n. 1792 del 16/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275078 – 01; Sez. 4, n. 53382 del 15/11/2016, COGNOME, Rv. 268487 – 01); è doveroso, tuttavia precisare che si tratta di pronunzie che non avevano potuto fare tesoro dei contenuti della sentenza COGNOME in quanto deliberate e depositate tutte prima del deposito delle motivazioni della decisione del massimo Consesso, motivazioni che – come si è detto – hanno costituito il volano per dare luogo all’esegesi oggi accolta.
Resta da chiarire un aspetto su cui fa leva il pubblico ministero ricorrente per sostenere la tesi dell’abnormità, vale a dire quello di una sostanziale impasse perché gli sarebbe inibito, dopo il provvedimento del Giudice monocratico, sia l’esercizio dell’azione penale con citazione diretta, sia quello con richiesta di rinvio a giudizio perché, si legge nel ricorso, «in caso di fissazione dell’udienza preliminare, il G.U.P. dovrebbe rilevare l’anomalia della richiesta», alludendo, sia pur implicitamente, alla possibilità che il Giudice dell’udienza preliminare, non condividendo l’esegesi del Giudice monocratico, restituisca a sua volta gli atti al pubblico ministero ex art. 33-sexies cod. proc. pen.
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Ebbene, si reputa che una decisione di tal fatta non sarebbe corretta e che il Giudice dell’udienza preliminare investito della richiesta di rinvio, a fronte di una decisione del Giudice monocratico quale quella assunta con l’ordinanza impugnata, non potrebbe emettere ordinanza ex art. 33-sexies cod. proc. pen., ma dovrebbe celebrare l’udienza preliminare e dare corso agli epiloghi decisori tipici di quella fase.
Una precisa indicazione esegetica in questo senso può essere ricavata dai precedenti di questa Corte secondo i quali integra “caso analogo” di conflitto di competenza previsto dall’art. 28, comma secondo, cod. proc. pen. quello tra Giudice dell’udienza preliminare e Giudice del dibattimento del medesimo ufficio giudiziario, conflitto nel quale prevale il decisum del giudice del dibattimento ai sensi della disposizione codicistica citata. Tale principio è stato enunciato da questa Corte proprio in un caso di divergenza tra la decisione del Tribunale in composizione monocratica – che, investito di un procedimento da decreto di citazione diretta a giudizio per un reato per il quale era prevista l’udienza preliminare, aveva restituito gli atti al pubblico ministero per la celebrazione di questa – e la decisione del Giudice dell’udienza preliminare che, ricevuta la conseguente richiesta di rinvio a giudizio, aveva disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero per la citazione diretta a giudizio (Sez. 1, n. 32389 del 25/02/2014, Conf. comp. in proc. COGNOME, Rv. 261138 – 01; in termini, Sez. 1, n. 6322 del 17/12/2009, dep. 2010, Confl. comp. in proc. COGNOME e altri, Rv. 246821 – 01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del pubblico ministero.
Così è deciso, 4/2/2025
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Pr idente NOME COGNOME
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