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Provvedimento abnorme: quando il giudice sbaglia

La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di un giudice che, in fase predibattimentale, aveva dichiarato la nullità di atti di indagine e restituito il fascicolo al Pubblico Ministero. La Suprema Corte ha qualificato tale decisione come un provvedimento abnorme, in quanto crea un’indebita stasi processuale e non rientra tra i poteri del giudice in quella specifica fase, che sono tassativamente indicati dalla legge. Gli atti, peraltro, erano semplici rilievi fotografici e misurazioni, non accertamenti tecnici irripetibili.

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Pubblicato il 7 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Provvedimento Abnorme: la Cassazione Fissa i Limiti del Giudice in Fase Predibattimentale

Una recente sentenza della Corte di Cassazione chiarisce i poteri del giudice nella fase predibattimentale, sanzionando con l’annullamento un provvedimento abnorme che aveva causato un’ingiustificata paralisi del processo. La decisione sottolinea come il giudice non possa restituire gli atti al Pubblico Ministero per presunti vizi di un atto di indagine, poiché tale potere non è previsto dalla legge e mina la struttura stessa del procedimento penale. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I fatti del caso

Il procedimento trae origine da un’ordinanza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Isernia. In fase predibattimentale, il giudice aveva dichiarato la nullità e l’inutilizzabilità di un verbale di sopralluogo effettuato dalla polizia giudiziaria, ritenendolo un atto irripetibile. Di conseguenza, aveva disposto la restituzione degli atti al Pubblico Ministero.

Contro questa decisione, il Pubblico Ministero ha presentato ricorso per cassazione, lamentando due vizi principali: l’abnormità del provvedimento e l’erronea valutazione della natura degli atti di indagine. Secondo l’accusa, gli atti contestati consistevano unicamente in rilievi fotografici, aerofotografici e misurazioni, non costituendo veri e propri accertamenti tecnici irripetibili. Soprattutto, si contestava la legittimità stessa del potere esercitato dal giudice in quella fase.

La qualificazione del provvedimento abnorme da parte della Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. Il fulcro della decisione risiede nella corretta interpretazione dell’articolo 554-ter del codice di procedura penale, che disciplina la fase predibattimentale. La norma elenca tassativamente i poteri del giudice in questa fase:
1. Pronunciare sentenza di non luogo a procedere.
2. Definire il processo con un rito alternativo (es. patteggiamento, rito abbreviato).
3. Fissare la data per il dibattimento davanti a un giudice diverso, restituendo il fascicolo al PM per la sua formazione.

La Suprema Corte evidenzia come la legge non contempli in alcun modo la possibilità per il giudice di restituire gli atti al PM a causa di presunti vizi riscontrati in un atto di indagine.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La decisione del giudice di Isernia è stata definita un provvedimento abnorme perché determina un’indebita stasi processuale. Restituendo gli atti, il giudice ha di fatto bloccato il normale corso del procedimento, privando il Pubblico Ministero della facoltà di impugnare un’eventuale, futura sentenza di non luogo a procedere. Questo tipo di provvedimento, non previsto dall’ordinamento, crea una paralisi che non può essere superata con i mezzi di impugnazione ordinari.

Inoltre, la Corte ha specificato che, anche nel merito, la valutazione del giudice di prime cure era errata. I rilievi eseguiti dalla polizia giudiziaria non costituivano accertamenti tecnici irripetibili, ma semplici atti di indagine sui quali gli imputati avrebbero potuto pienamente interloquire e difendersi nel corso del dibattimento. La decisione di dichiararli inutilizzabili in via preliminare era quindi prematura e infondata.

Le conclusioni

In conclusione, la Cassazione ha annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata, disponendo la trasmissione degli atti al Tribunale di Isernia per la prosecuzione del giudizio. Il principio di diritto affermato è chiaro: il giudice, nella fase predibattimentale, non ha il potere di ‘rimandare indietro’ il processo al Pubblico Ministero per correggere vizi degli atti di indagine. Un’azione del genere esula dai suoi poteri, altera la sequenza procedimentale voluta dal legislatore e configura un provvedimento abnorme che, in quanto tale, deve essere rimosso dal mondo giuridico.

Cosa può fare il giudice nella fase predibattimentale secondo la legge?
Ai sensi dell’art. 554-ter c.p.p., il giudice può pronunciare sentenza di non luogo a procedere, definire il processo con un rito alternativo, oppure fissare l’udienza dibattimentale davanti a un altro giudice e disporre la restituzione del fascicolo al pubblico ministero per le relative incombenze.

Perché la decisione del giudice di restituire gli atti al PM è stata considerata un provvedimento abnorme?
Perché tale potere non è previsto dalla legge in quella fase processuale. La decisione ha creato un’indebita stasi del procedimento, bloccandone il normale corso e privando il pubblico ministero della possibilità di impugnare una futura sentenza di non luogo a procedere.

Gli atti di indagine erano effettivamente inutilizzabili come sostenuto dal primo giudice?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che si trattava di semplici rilievi fotografici e misurazioni eseguiti dalla polizia giudiziaria. Non erano accertamenti tecnici irripetibili e gli imputati avrebbero avuto piena facoltà di discuterli e contestarli durante il dibattimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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