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Provvedimento abnorme: la Cassazione chiarisce i limiti

La Corte di Cassazione ha esaminato un caso in cui un Tribunale aveva annullato un decreto di citazione diretta a giudizio nei confronti di una società per responsabilità amministrativa ex D.Lgs. 231/2001. Il Pubblico Ministero aveva impugnato tale decisione, ritenendola un provvedimento abnorme. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, specificando che un atto giudiziario, anche se errato, non è ‘abnorme’ se rientra nei poteri del giudice e non causa una paralisi insuperabile del processo. L’errore procedurale che impone una regressione del procedimento non è di per sé sufficiente a qualificare l’atto come abnorme e, quindi, a renderlo impugnabile con ricorso per cassazione.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Provvedimento abnorme: quando un atto del giudice non può essere impugnato

Nel complesso mondo della procedura penale, esistono concetti che delineano i confini del potere giudiziario e dei rimedi a disposizione delle parti. Uno di questi è il provvedimento abnorme, una categoria creata dalla giurisprudenza per correggere errori giudiziari talmente gravi da bloccare il processo. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. N. 2062/2025) offre un’analisi dettagliata su cosa costituisca, e cosa no, un atto abnorme, chiarendo i limiti dell’impugnabilità.

I fatti del caso: citazione diretta per l’ente e la decisione del Tribunale

Il caso ha origine da un procedimento per responsabilità amministrativa degli enti, disciplinato dal D.Lgs. 231/2001. Il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Rimini aveva esercitato l’azione penale nei confronti di una società, emettendo un decreto di citazione diretta a giudizio.

Il Tribunale, tuttavia, ha dichiarato la nullità di tale decreto. Secondo il giudice di primo grado, la normativa speciale (art. 59, D.Lgs. 231/2001) non contempla la citazione diretta per contestare la responsabilità dell’ente, ma prevede altre forme processuali, come la richiesta di rinvio a giudizio. Di conseguenza, il Tribunale ha ordinato la restituzione degli atti al Pubblico Ministero.

Ritenendo questa decisione un provvedimento abnorme capace di generare una stasi processuale, il Pubblico Ministero ha presentato ricorso per cassazione, sostenendo che la citazione diretta fosse una modalità legittima e che l’ordinanza del Tribunale fosse errata e paralizzante.

Le motivazioni: perché non si tratta di un provvedimento abnorme

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una lezione fondamentale sui confini della nozione di abnormità. I giudici supremi hanno ribadito che un provvedimento può essere considerato abnorme solo in due casi:

1. Abnormità strutturale: quando l’atto è talmente strano e singolare da essere completamente estraneo all’ordinamento processuale.
2. Abnormità funzionale: quando l’atto, pur essendo previsto dalla legge, determina una paralisi insuperabile del processo, costringendo una delle parti a compiere un’attività processuale nulla o impossibile.

Nel caso specifico, la Corte ha stabilito che l’ordinanza del Tribunale non rientra in nessuna di queste categorie. Anche se la decisione di annullare la citazione diretta potesse essere considerata errata nel merito, essa rappresenta comunque l’esercizio di un potere riconosciuto al giudice dall’ordinamento. Non si tratta di un atto ‘eccentrico’ o fuori sistema.

Soprattutto, non si configura un’abnormità funzionale. L’ordinanza non crea una stasi insuperabile del procedimento. Il Pubblico Ministero, infatti, non è costretto a compiere un atto nullo. Al contrario, può semplicemente conformarsi a quanto indicato dal giudice ed esercitare nuovamente l’azione penale nella forma ritenuta corretta (ad esempio, con una richiesta di rinvio a giudizio), senza che questo comporti la nullità degli atti futuri.

La Cassazione ha richiamato i principi espressi dalle Sezioni Unite, secondo cui la semplice regressione del procedimento a una fase precedente non è di per sé sintomo di abnormità. Lo diventa solo quando il giudice impone al PM un adempimento che concretizzerebbe un atto nullo, rilevabile nel futuro corso del processo. Poiché tale condizione non era presente nel caso di specie, l’ordinanza non poteva essere qualificata come abnorme e, di conseguenza, il ricorso non era ammissibile.

Le conclusioni: il principio di tassatività delle impugnazioni

La sentenza ribadisce un principio cardine del nostro sistema processuale: la tassatività dei mezzi di impugnazione. Non tutti i provvedimenti ritenuti errati possono essere contestati. La categoria del provvedimento abnorme è un rimedio eccezionale, da applicare solo in situazioni estreme di stallo procedurale non altrimenti risolvibili.

Un’ordinanza che, pur potenzialmente errata, si limita a indicare una diversa via procedurale da seguire, rientra nella fisiologia del processo e nell’esercizio dei poteri del giudice. Spetta al Pubblico Ministero adeguarsi a tale indicazione per garantire la prosecuzione del procedimento. Questa decisione consolida un orientamento giurisprudenziale volto a evitare un uso eccessivo del ricorso per cassazione per contestare decisioni procedurali che non compromettono in modo irrimediabile il corso della giustizia.

Quando un provvedimento del giudice è considerato ‘abnorme’ e quindi ricorribile in Cassazione?
Un provvedimento è considerato abnorme solo quando è strutturalmente estraneo al sistema processuale (per la sua singolarità e stranezza) o quando, pur essendo previsto, causa funzionalmente una paralisi insuperabile del processo, ad esempio costringendo il Pubblico Ministero a compiere un atto nullo.

Un’ordinanza che annulla una citazione diretta e restituisce gli atti al Pubblico Ministero è un provvedimento abnorme?
No, secondo questa sentenza della Cassazione, non è un provvedimento abnorme. Anche se l’ordinanza fosse basata su un’interpretazione errata della legge, rientra nei poteri riconosciuti al giudice dall’ordinamento e non crea una stasi insuperabile, poiché il PM può semplicemente emettere un nuovo atto conforme alle indicazioni ricevute.

Cosa succede se un giudice sceglie un rito con più garanzie (es. udienza preliminare) quando non sarebbe previsto?
La sentenza chiarisce, citando precedenti, che l’adozione di una sequenza processuale più garantita (come l’udienza preliminare non prevista) non determina alcuna nullità, in quanto costituisce un’espansione delle facoltà difensive. Il problema di nullità si pone nel caso inverso, ovvero quando viene eliminata una fase di garanzia come l’udienza preliminare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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