Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 2062 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2062 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rimini nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE. già RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE
avverso l’ordinanza del 01/07/2024 del Tribunale di Rimini visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le richieste scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di annullarsi l’ordinanza impugnata senza rinvio con trasmissione degli atti al giudice monocratico del Tribunale di Rimini per l’ulteriore corso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 01/07/2024, il Tribunale di Rimini dichiarava la nullità del decreto di citazione diretta a giudizio emesso, in relazione all’imputata società RAGIONE_SOCIALE dalla Procura della Repubblica di Rimini il 25.3.2024 e degli atti conseguenti per vizio di esercizio dell’azione penale perché non conforme al disposto dell’art. 59, comma 1, d.lgs 231/2001, ordinando la restituzione degli atti al P.M.
Il Tribunale rilevava che secondo la disciplina speciale di cui all’art. 59, comma 1, d.lgs 231/2001, la responsabilità amministrativa delle società deve essere contestata “in uno degli atti indicati dall’art. 407 bis, comma 1, del codice di procedura penale” e, quindi, formulando l’imputazione nei casi previsti nei titoli II,II,IV,V e V bis del libro VI ovvero con richiesta di rinvio a giudizio, mentre non era contemplato il decreto di citazione diretta a giudizio ex art. 552 cod.proc.pen., onde l’azione penale, esercitata nelle forme del decreto di citazione diretta, risultava non correttamente esercitata nei confronti dell’ente.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rimini, articolando un unico motivo, con il quale deduce l’abnormità del provvedimento.
Argomenta che la tesi del Tribunale è erronea perché non tiene conto che il sistema processuale delineato dal d.lgs 231/2001 lega illecito amministrativo e reato, facendoli procedere insieme, individuando la competenza in capo al medesimo giudice ed assoggettandoli allo stesso rito, fatte salve le scelte personali difensive degli imputati e degli enti, che possono adire riti alternativi, oppure l’intervenuta estinzione dell’illecito penale o di quello amministrativo, che non si riverbera automaticamente sull’altro; tale principio corrisponde a un criterio di economicità e coerenza dell’accertamento, sancito dall’art. 36, commi 1 e 2 del d.gs 231/2001; in particolare, il secondo comma del predetto articolo stabilisce che vanno osservate le disposizioni sulla composizione del tribunale ma anche le disposizioni processuali collegate relative ai reati dai quali l’illecito amministrativ dipende; nelle disposizioni processuali collegate devono rientrare anche quelle alle modalità di esercizio dell’azione penale (richiesta di rinvio a giudizio, richiesta di decreto penale, decreto di citazione per l’udienza predibattimentale). Inoltre, il richiamo all’art. 407- bis cod.proc.pen. da parte dell’art. 59 d.lgs 231/2001 va inteso come rinvio all’esercizio dell’azione penale e non alle forme con le quali si può esercitare l’azione nei confronti dell’ente. Va anche considerato che nel testo originario del decreto legislativo 231/2001 erano previsti solo delitti per i quali si
procedeva con rinvio a giudizio (artt. 24 e 25) e che solo con il decreto legisl 121/2011 venivano inclusi anche i reati relativi all’illecita gestione di rifiu giustifica il richiamo dell’art. 59 al solo rinvio a giudizio ed all’udienza preli
Tanto premesso, il ricorrente deduce la ritualità del decreto di citazione di dell’ente e l’abnormità dell’ordinanza impugnata, che determinerebbe una stas nel procedimento, e chiede l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato.
Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio senza la partecipazione Procuratore generale e dei difensori delle parti. Il PG ha depositato requisi scritta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va dichiarato inammissibile perché proposto fuori dei ca consentiti dalla legge, non potendosi considerare abnorme il provvedimento impugnato.
Va osservato che la categoria dell’abnormità deroga eccezionalmente al principio di tassatività dei mezzi d’impugnazione (art. 568 cod.proc.pen.) e stata creata dalla giurisprudenza per far fronte a situazioni di stallo deter dall’adozione di provvedimenti strutturalmente o funzionalmente estrane all’ordinamento. In questi casi, infatti, la mancata previsione norma dell’impugnabilità del provvedimento dipende dalla sua imprevedibile estraneità qualsiasi categoria processuale; e il riconoscimento della ricorribilit cassazione tende a permettere di superare una situazione di stallo altrimenti rimediabile.
Intervenute sul tema, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che abnorme non solo il provvedimento che per la singolarità e la stranezza d contenuto risulti avulso dall’ordinamento processuale, ma, altresì, quello che, essendo in astratto espressione di un legittimo potere, si esplichi, al di là ragionevole limite, al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste n.5307 del 1/2/2008, Rv.238240).
E si è aggiunto che l’abnormità dell’atto può riguardare sia il pro strutturale, quando l’atto si pone al di fuori del sistema normativo, sia il funzionale, quando l’atto, pur non ponendosi al di fuori del sistema, determin stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo. Si è osservato che l’abn più che rappresentare un vizio dell’atto in sé, da cui scaturiscono determi patologie sul piano della dinamica processuale, integra – sempre e comunque uno sviamento della funzione giurisdizionale, la quale non risponde più al modell previsto dalla legge, ma si colloca al di là del perimetro entro il quale è ricono
dall’ordinamento. Tanto che si tratti di un atto strutturalmente “eccentri rispetto a quelli positivamente disciplinati, quanto che si versi in una ipotesi d normativamente previsto e disciplinato, ma “utilizzato” al di fuori dell’area che individua la funzione e la stessa ragione di essere nell’iter procedimentale, ciò segnala la relativa abnormità è proprio l’esistenza o meno del “potere” di adottar In questa prospettiva, dunque, abnormità strutturale e funzionale si salda all’interno di un “fenomeno” unitario. Se all’autorità giudiziaria può riconosc l’attribuzione” circa l’adottabilità di un determinato provvedimento, i rela eventuali vizi saranno solo quelli previsti dalla legge, a prescindere dal fatt da essi derivino effetti regressivi del processo. Ove, invece, sia pro rattribuzione” a far difetto – e con essa, quindi, il legittimo esercizio della fu giurisdizionale – la conseguenza non potrà essere altra che quella dell’abnormit cui consegue l’esigenza di rimozione (Sez.U,n.25957 del 26/03/2009, Toni Rv.243590).
L’ambito di rilevanza del vizio di abnormità dell’atto processuale è stat dunque, escluso nel caso in cui l’atto erroneo costituisca espressione dei po riconosciuti al giudice dall’ordinamento e non determini la stasi del procediment pur costituendo espressione di un potere male esercitato.
Le Sezioni Unite hanno sul punto precisato che il regresso del procedimento è atipico, e comporta l’abnormità del relativo provvedimento, solo se consegua ad un atto adottato dal giudice in carenza di potere ed invece non è abnorme quando il giudice, dichiarata la nullità del decreto di citazione, restituisca gli att ancorché si tratti di declaratoria originata da un suo errore, in quanto l’atto nella sfera di competenza del giudice e comporta tipicamente la regressione, sicché l’abnormità funzionale, riscontrabile nel caso di stasi del processo impossibilità di proseguirlo, va limitata all’ipotesi in cui il provvedimento giudiz imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo, rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo (Sez.U, Toni).
Solo in siffatta ipotesi il pubblico ministero può ricorrere per cassazi lamentando che il conformarsi al provvedimento giudiziario minerebbe la regolarità del processo; laddove negli altri casi egli è tenuto ad osserv provvedimenti emessi dal Giudice.
Tali principi sono stati ribaditi, più di recente da Sez U, n.37502 del 28/04/2022, Rv. 283552 – 01, che si sono pronunciate in fattispecie di ordinanz adottata ai sensi dell’art. 33-sexies cod. proc. pen. dal Giudice dell’ud preliminare, con la quale era stato disposto la restituzione degli atti al Pub ministero rilevando che per il reato di dichiarazione infedele di cui all’art. 4, 10 marzo 2000, n. 74, relativo a dichiarazioni annuali presentate nel 2014 e n 2016, rispettivamente per gli anni di imposta 2013 e 2015, avrebbe dovuto
procedersi con citazione diretta e non con richiesta di rinvio a giudizio, attesi i limiti edittali della pena prevista al momento del fatto (all’epoca, infatti, il rea era punito con la pena della reclusione da uno a tre anni, rientrando tra i casi di citazione diretta previsti dall’art. 550 cod. proc. pen).
Ebbene, è stato affermato che è abnorme non solo il provvedimento che, per la sua singolarità, non sia inquadrabile nell’ambito dell’ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di o ragionevole limite. L’abnormità dell’atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché, per la sua singolarità, si ponga fuori dal sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e la impossibilità di proseguirlo.
In questo contesto, la anomala regressione del procedimento ad una fase anteriore nonostante la regolare costituzione del rapporto processuale costituisce sintomo tipico della abnormità dell’atto (vengono citate, Sez. U, n. 19 del 18/06/1993, COGNOME, Rv. 194061; Sez. U, n. 8 del 24/03/1995, COGNOME, in motivazione; Sez. U, n. 10 del 09/07/1997, COGNOME, Rv. 208220; Sez. U., n. 4 del 31/01/2001, COGNOME, in motivazione; Sez. U. n. 22807 del 29/05/2002, Manca, Rv. 221999; Sez. U, n. 5307 del 20/12/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 238240). L’indebita regressione – affermano le Sezioni Unite- costituisce un serio vulnus all’ordo processus, inteso come sequenza logico-cronologica ordinata di atti, in spregio dei valori costituzionali dell’efficienza e della ragionevole durata del processo. Tuttavia, l’indebita regressione costituisce solo un sintomo della natura abnorme dell’atto che l’ha disposta, in quanto l’abnormità funzionale, ravvisabile nei casi di stasi del procedimento e di impossibilità di proseguirlo, è stata riferita, dalle Sez. U, Toni, all’ipotesi in cui il provvedimento giudiziario imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo, rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo: solo in tali limiti il pubblico ministero può ricorrere, lamentando che il conformarsi al provvedimento minerebbe la regolarità del processo; altrimenti è tenuto ad ottemperare, in un sistema che non ammette la possibilità di conflitto in caso di contrasto tra pubblico ministero e giudice, senza che possa dirsi di per sé caratterizzante dell’abnormità l’effetto della regressione del processo ad una fase precedente. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Le Sezioni Unite, quindi, hanno affermato che in tutti i casi di indebita restituzione degli atti ai sensi dell’art. 33-sexies cod. proc. pen., perché si proceda con citazione diretta a giudizio, ricorre almeno un’ipotesi di abnormità funzionale, da cui discende una situazione di stasi, in quanto il provvedimento, di cui non può direttamente ravvisarsi e dichiararsi la nullità, si risolve nell’imposizione di un successivo adempimento, cioè l’atto di impulso consistente nell’emissione del
decreto di citazione diretta a giudizio, che è affetto da nullità rilevabile nello sviluppo del processo, nullità che non deve essere inquadrata tra le nullità assolute (l’erronea attribuzione di un processo, infatti, determina un vizio assimilabile alla nullità a regime intermedio, suscettibile di essere rilevata entro precise scansioni temporali); la mancanza dell’udienza preliminare dà luogo anche ad una grave alterazione della corretta sequenza procedimentale, che concerne, fra l’altro, la competenza funzionale in materia di riti alternativi, oltre a determinare la diretta esposizione delle parti ad una fase processuale connotata da pubblicità, prima del momento in cui il vaglio assicurato dal giudizio demandato al giudice dell’udienza preliminare sia stato svolto. Di conseguenza il pubblico ministero, il quale non può opporsi al provvedimento, sollevando conflitto, ha uno specifico interesse alla sua rimozione, non essendo a tal fine sufficiente il meccanismo contemplato dall’art. 550, comma 3, cod. proc. pen., incentrato sulla successiva formulazione dinanzi al giudice del dibattimento di eccezione avente ad oggetto il mancato svolgimento della prevista udienza preliminare.
Le Sezioni Unite hanno, poi, precisato che tali considerazioni non valgono invece nell’ipotesi inversa – che qui rileva – cioè quella dello svolgimento, pur non previsto, dell’udienza preliminare, la quale costituisce una causa di espansione delle facoltà difensive e la cui fissazione non può di per sé dare luogo ad alcuna nullità, salva la deducibilità con le modalità e nei limiti stabiliti, della relat questione, al fine di salvaguardare l’assetto normativamente previsto; la centralità del ruolo assunto dallo svolgimento dell’udienza preliminare nella disciplina dedicata dal codice di rito ai vari tipi di patologie che possono verificarsi in sede di riparto di attribuzioni si evince dal fatto che, nel caso di svolgimento dell’udienza preliminare, può porsi solo una questione di riparto delle attribuzioni in senso orizzontale (artt. 33-septies, comma 1, cod. proc. pen.; art. 516, comma 1-bis cod. proc. pen.), essendo prevista invece la trasmissione degli atti al pubblico ministero nei casi in cui sia rilevata la mancata celebrazione dell’udienza preliminare (art. 33-septies, comma 2, cod. proc. pen. e art. 516, comma 1-ter cod. proc. pen.).
E si è sottolineato come sia stata ribadita l’insussistenza di una nullità nel caso della celebrazione dell’udienza preliminare, seppur non prevista per il reato oggetto del procedimento (in tal senso, Sez. 2, n. 9876 del 12/02/2021, Macrì, in motivazione: “la violazione delle regole previste dall’art. 550 cod. proc. pen. lede il diritto di difesa solo se l’illegittimità genera una contrazione delle garanzie processuali attraverso l’eliminazione della fase dell’udienza preliminare; diverso è il caso in cui l’errore nella scelta della forma di esercizio dell’azione penale renda il rito più garantito attraverso la celebrazione dell’udienza preliminare anche nei casi in cui la stessa non è prevista. Non a caso l’art. 550 comma 3 cod. proc. pen
prevede una nullità relativa limitatamente al caso in cui si sia proceduto con citazione diretta invece che con richiesta di rinvio a giudizio e non nel caso inverso. Sul punto si è condivisibilmente rilevato che il rito che contempla l’udienza preliminare rappresenta «un’alternativa procedimentale maggiormente garantita per l’imputato, sicché l’eventuale passaggio per l’udienza preliminare, anche ove essa non fosse stata necessaria, non determina alcuna nullità», Sez. U n. 48590 del 18/04/2019, Rv. 277304. E la Corte costituzionale – chiamata a pronunciarsi sulla questione di costituzionalità dell’art. 33- sexies cod. proc. pen., prospettata con riferimento agli artt. 2, 34 e 111 Cost. relativamente alla mancata previsione della restituzione in termini dell’imputato per la richiesta di riti alternativi nel cas in cui il giudice dell’udienza preliminare abbia erroneamente disposto il rinvio a giudizio, anziché ordinare la restituzione degli atti al pubblico ministero affinché procedesse con citazione diretta – ha escluso il dubbio di costituzionalità osservando che il rito con udienza preliminare offre, nel suo complesso, maggiori garanzie all’imputato rispetto al rito con citazione diretta, sicché deve escludersi che l’adozione della sequenza processuale non richiesta per il titolo di reato, ma comunque più garantita, possa comportare la violazione dei diritti della difesa , Corte cost., ord. n.183 del 2003”).
Nella specie, il provvedimento impugnato, pur apparendo fondate le considerazioni del PM ricorrente quanto all’art.59 d.lgs 231/2001, non può, pertanto, considerarsi abnorme, essendo espressione dei poteri riconosciuti al Giudice dall’ordinamento, non determinando la stasi insuperabile del procedimento e potendo il P.M. disporre la rinnovazione del decreto di citazione a giudizio secondo le modalità indicate dal Giudice del dibattimento, senza incorrere nell’adozione di un atto nullo.
Dalla esclusione della qualità di abnormità per l’ordinanza impugnata deriva, trattandosi di provvedimento contro il quale l’ordinamento non prevede il ricorso per cassazione, la declaratoria di inammissibilità del ricorso del P.M.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso il 05/11/2024