Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 30514 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 30514 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI CATANZARO nei confronti di:
COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il 26/12/1987 COGNOME NOME nato a CATANZARO il 29/11/1996
avverso l’ordinanza del 24/09/2024 del TRIBUNALE di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME lette/sentite le conclusioni del PG
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
udito il difensore
FATTO E DIRITTO
Con l’ordinanza di cui in epigrafe il tribunale di Catanzaro, nell’ambito del procedimento penale instaurato a carico di COGNOME NOME e di COGNOME NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 624 bis, cod. pen., aggravato ai sensi dell’art. 625, disponeva, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento e in accoglimento di un’eccezione difensiva sul punto, la trasmissione degli atti al pubblico ministero, posto che “il reato per cui è processo non rientra nei casi di citazione diretta a giudizio ai sensi dell’art. 550, co. 3”, cod. proc. pen.
Avverso la suddetta ordinanza, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Catanzaro, deducendo l’abnormità del provvedimento di cui si discute, in quanto il provvedimento di restituzione degli atti al pubblico ministero, fondato sull’erroneo presupposto che debba procedersi con richiesta di rinvio a giudizio, laddove per costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, anche a seguito delle modifiche apportate all’art. 624 bis, cod. pen., dalla I. n. 103 del 2017, il pubblico ministero deve esercitare l’azione penale con la citazione diretta a giudizio e non con la richiesta di rinvio a giudizio dell’imputato al giudice per le indagini preliminari, impone all’organo dell’accusa di compiere un’attività processuale contra legem, ossia di esercitare l’azione penale secondo uno schema diverso da quello previsto, determinando, di conseguenza, la stasi del procedimento e l’impossibilità di proseguirlo.
Con requisitoria scritta del 15.5.2025, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dott.ssa NOME COGNOME chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
Il ricorso va dichiarato inammissibile, in quanto, il provvedimento impugnato, non potendosi considerare abnorme, non è suscettibile di essere impugnato con il ricorso per cassazione.
Al riguardo si osserva che il Collegio condivide la soluzione della questione di diritto sottoposta alla sua attenzione fornita da un recente arresto di questa stessa Sezione, che si condivide integralmente (cfr.
Sez. 5, n. 8054 del 04/02/2025, Rv. 287567), in cui viene affrontato un caso del tutto sovrapponibile a quello in esame.
Il punto di partenza del ragionamento da seguire va individuato nel principio affermato in una recente decisione delle Sezioni Unite Penali di questa Corte (cfr. Sez. U, n. 37502 del 28/04/2022, COGNOME, Rv. 283552), secondo cui «E’ abnorme, e quindi ricorribile per cassazione, l’ordinanza del giudice dell’udienza preliminare che, investito della richiesta di rinvio a giudizio, disponga, ai sensi dell’art. 33-sexies cod. proc. pen., la restituzione degli atti al pubblico ministero sull’erroneo presupposto che debba procedersi con citazione diretta a giudizio, trattandosi di un atto che impone al pubblico ministero di compiere una attività processuale “contra legem” e in violazione dei diritti difensivi, successivamente eccepibile, ed è idoneo, pertanto, a determinare una indebita regressione, nonché la stasi del procedimento».
Come è stato osservato “l’autorevole arresto, benché apparentemente non pertinente rispetto all’odierna regiudicanda, siccome concernente l’ipotesi inversa, ha invece un indubbio rilievo rispetto al tema oggi al vaglio del Collegio, dal momento che, in motivazione, si è preso cura di affrontare anche situazioni come quella verificatasi” nel caso in esame.
Giova, al riguardo, ripercorrere, sia pure sinteticamente, l’approdo interpretativo cui è giunta la giurisprudenza della Suprema Corte, nel definire la nozione di abnormità, costruita come un vizio dell’atto processuale, non codificato, ma individuato per sanzionare anomalie del procedimento di rilevanza tale da alterare l’ordinaria sequenza procedimentale e che, ciononostante, non trovano rimedio nel sistema delle invalidità previsto dal legislatore e nei sistemi impugnatori azionabili.
L’ individuazione di siffatta categoria di vizi è stata specificamente attribuita dal Legislatore alla giurisprudenza, come si evince dalla Relazione al progetto preliminare del nuovo codice di procedura penale, ove si dà atto della rinuncia a prevedere espressamente l’impugnazione dei provvedimenti abnormi, «attesa la rilevante difficoltà di una possibile tipizzazione e la necessità di lasciare sempre alla giurisprudenza di
rilevarne GLYPH l’esistenza GLYPH e GLYPH di GLYPH fissarne GLYPH le GLYPH caratteristiche GLYPH ai GLYPH fini dell’impugnabilità».
Come evidenziato dalle Sezioni Unite COGNOME, l’esigenza cui risponde la categoria dell’abnormità è quella di «assicurare la legalità di ogni sequenza procedimentale e di scongiurare il rischio di anomalie imprevedibilmente insorte e non riconducibili ad altra specie di patologia, tali nondimeno da alterare lo sviluppo del procedimento e da arrecare pregiudizio alle prerogative riconosciute alle parti: di qui l’ammissibilità in questi casi, in deroga al principio della tipicità dei mezzi di impugnazione, del ricorso per cassazione, al fine di eliminare quegli atti, ove il vizio non sia riconducibile alle categorie della nullità o dell’inutilizzabilità e non sia previsto altro mezzo di impugnazione», dovendosi comunque escludere che qualunque violazione di norme processuali possa automaticamente dare luogo ad un’ipotesi di abnormità, in violazione dei principi di tassatività delle nullità e dei mezzi di impugnazione» (cfr. oltre a Sezioni Unite COGNOME, c Sez. U, n. 42603 del 13/07/2023, COGNOME, Rv. 285213; Sez. U, n. 10728 del 16/12/2021, COGNOME, Rv. 2828079, che richiama Sez. U, n. 40984 del 22/03/2018, COGNOME, Rv. 273581; Sez. U, n. 20569 del 18/01/2018, COGNOME, Rv. 272715; Sez. U, n. 21243 del 25/03/2010, COGNOME, Rv. 246910; Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni, Rv. 243590; Sez. U, n. 5307 del 20/12/2007, COGNOME, Rv. 238240-01; Sez. U, n. 22909 del 31/05/2005, COGNOME, GLYPH Rv. GLYPH 231163-01; Sez. GLYPH U, GLYPH n. 19289 GLYPH del 25/02/2004, COGNOME, GLYPH Rv. GLYPH 227356; GLYPH Sez. GLYPH U, GLYPH n. GLYPH 28807 del 29/05/2002, Manca, Rv. 221999; GLYPH Sez. U, n. 34536 del 11/07/2001, COGNOME, GLYPH Rv. 219598; Sez. U, n. 4 del 31/01/2001, COGNOME, Rv. 217760; Sez. U, n. 33 del 22/11/2000, COGNOME, Rv. 217244; Sez. U, n. 26 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 215094; Sez. U, n. 17 del 10/12/1997, dep. 1998, COGNOME, Rv. 209603; Sez. U, n. 11 del 09/07/1997, COGNOME, Rv. 208221).
Ciò posto, l’esame della giurisprudenza sul tema dell’abnormità consente di affermare che ad oggi resta ferma la tradizionale distinzione tra
abnormità strutturale e funzionale, anche se vi è una marcata tendenza alla sovrapposizione tra le due categorie.
In particolare, l’abnormità strutturale ricorre, sia quando il giudice adotta un provvedimento che, per la singolarità e stranezza del suo contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, sia quando si tratti di provvedimento che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite (in questi casi il giudice «esercita un potere che non gli è dato, o meglio esercita una attribuzione completamente al di fuori dei casi consentiti».
L’abnormità funzionale, ricorre, invece, quando il provvedimento determina la stasi o la regressione del procedimento a cui il pubblico ministero può porre rimedio solo compiendo un atto affetto da nullità (Sezioni Unite Toni), non assoluta (Sezioni Unite COGNOME).
Proprio a tale ultimo proposito, occorre, tuttavia, segnalare che – con particolare riferimento al tema di interesse per la soluzione dell’odierna questione, quello dei rapporti tra giudice e pubblico ministero e della regressione del procedimento – il processo di ricostruzione della nozione non è stato sempre lineare, giacché l’esegesi sul punto ha registrato apparenti balzi in avanti nell’individuazione dell’ambito dell’abnormità e precisazioni successive in senso restrittivo.
Uno snodo esegetico di grande impatto sul concetto di abnormità, in particolare, è stato rappresentato da Sez. U, n. 5307 del 2007, COGNOME, che ha fatto propria una visione ampia del vizio, reputando che, «alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, è configurabile il vizio dell’abnormità in ogni fattispecie di indebita regressione del procedimento in grado di alterarne l’ordinata sequenza logico-cronologica».
A questo ampliamento è seguito un rinnovato approccio restrittivo, che si deve soprattutto a Sez. U, n. 25957 del 2009, Toni, secondo cui, nei casi di regressione, l’abnormità è ravvisabile soltanto in mancanza di ulteriori strumenti di gravame lato sensu offerti dal sistema processuale per rimediare con prontezza all’anomalia della pronuncia giudiziale. Sulla
scorta della ritenuta connotazione derogatoria dell’abnormità rispetto ai tradizionali mezzi di impugnazione ed alle nullità, Sezioni Unite Toni ha ritenuto trattarsi di un rimedio eccezionale e, con riguardo alla abnormità funzionale, l’ha reputata sussistente solo nel caso di stasi del processo e di impossibilità di proseguirlo, cioè quando il provvedimento giudiziario «imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso del futuro del procedimento o del processo», mentre negli altri casi il pubblico ministero è tenuto ad osservare i provvedimenti emessi dal giudice.
A contrario secondo tale pronuncia – non basta a far ritenere abnorme un provvedimento la sola regressione del procedimento, ancorché legata ad una statuizione sbagliata. Tali principi sono stati ripresi, più di recente, da Sez. U, n. 20569 del 2018, Ksouri, che ha escluso l’abnormità di un provvedimento compiuto per finalità diverse da quelle che legittimano l’esercizio della funzione quando la stasi determinatasi sia «superabile da una successiva corretta determinazione giudiziale che dia corretto impulso al processo o dalla sopravvenienza di una situazione tale da averne annullato gli effetti, averlo privato di rilevanza ed avere eliminato l’interesse alla sua rimozione».
Ritornando a Sezioni Unite COGNOME, la pronunzia, premesso un inquadramento storico dell’abnormità e dopo aver ricondotto la regressione verificatasi nella specie all’abnormità funzionale – siccome fenomeno rappresentativo dell’alterato funzionamento del procedimento – ha, tuttavia, preso atto della direzione assunta dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite dopo le sentenze COGNOME e COGNOME ricordando che l’abnormità funzionale da stasi è stata riferita – come sopra ricordato alla sola ipotesi in cui il provvedimento giudiziario imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo, rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo: solo in tali limiti – si legge pure nella sentenza COGNOME – il pubblico ministero può ricorrere, lamentando che il conformarsi minerebbe la regolarità del processo; altrimenti è tenuto ad ottemperare, in un sistema che non ammette la possibilità di conflitto in caso di contrasto tra pubblico ministero e
giudice, senza che possa dirsi di per sé caratterizzante dell’abnormità l’effetto della regressione del processo ad una fase precedente. Ciò che rileva, dunque, è che, alla situazione di stasi, si accompagni l’imposizione di un adempimento che dia luogo ad una nullità rilevabile, principio affermato dalla sentenza Toni e ribadito o, comunque, non smentito, dalla giurisprudenza successiva delle Sezioni Unite.
Ragionando su questa base teorica, la sentenza COGNOME ha ritenuto che la restituzione indebita da parte del giudice dell’udienza preliminare al pubblico ministero per esercitare l’azione penale con citazione diretta sia abnorme nella misura in cui determina una regressione del procedimento, a cui il pubblico ministero può reagire solo con una nuova attività propulsiva foriera di una nullità; vale a dire l’errato esercizio dell’azione penale con citazione diretta per un reato per cui è invece prevista l’udienza preliminare, produttivo di una nullità di ordine generale a regime intermedio ex art. 178, lett. c, cod. proc. pen., perché sottrae all’imputato una fase garantita come quella che si svolge dinanzi al giudice dell’udienza preliminare, con conseguente vulnus del suo diritto di intervento e assistenza.
Viceversa, la stessa sentenza COGNOME esclude che alla medesima conclusione possa giungersi nell’ipotesi inversa, in cui il tribunale restituisca erroneamente gli atti al pubblico ministero affinché richieda il rinvio a giudizio al giudice dell’udienza preliminare, dal momento che, in un’ipotesi di tal fatta, alla nuova propulsione dell’azione penale come indicata dal giudice del dibattimento non conseguirà alcun vizio, perché la celebrazione dell’udienza preliminare assicura all’imputato un passaggio giurisdizionale ulteriore e, quindi, maggiori garanzie partecipative. Da tanto consegue che, in tale evenienza, la restituzione degli atti da parte del predetto primo Giudice al pubblico ministero non ha i caratteri dell’abnormità.
Ne consegue che, nel caso in esame, la regressione del procedimento a carico del COGNOME e del COGNOME, pur essendosi effettivamente determinata a seguito dell’ordinanza del tribunale, non comporta l’abnormità funzionale di quest’ultima perché il pubblico ministero, senza
incorrere in alcuna nullità, potrà esercitare l’azione penale con richiesta di rinvio a giudizio. Né, si aggiunge, il provvedimento può ritenersi affetto da abnormità strutturale, perché il Giudice ha esercitato un potere che l’art. 550, comma 3 cod. proc. pen. gli riconosce e non può dirsi che lo abbia esercitato oltre ogni ragionevole limite solo perché il provvedimento era fondato su un’esegesi difforme da quella assolutamente maggioritaria, secondo la quale anche per il reato di cui all’art. 624-bis cod. pen. si procede con citazione diretta a giudizio (cfr., su quest’ultimo punto, tra le altre, Sez. 4, n. 1792 del 16/10/2018, Rv. 275078).
Una precisazione ulteriore si impone.
Il principio oggi fatto proprio dal Collegio era stato già sancito da Sez. 5, n. 47635 del 26/05/2014, Rv. 261005, che aveva escluso l’abnormità in un caso del tutto sovrapponibile al presente «considerato che trattasi di provvedimento non avulso dal sistema normativo, in quanto espressione di un potere riconosciuto al giudice dall’ordinamento, cui non consegue una stasi insuperabile del procedimento, ben potendo il P.M. procedere di nuovo all’esercizio dell’azione penale».
Successivamente si era registrato un fronte interpretativo di segno opposto, secondo cui un provvedimento come quello oggi sub iudice era da considerarsi abnorme siccome foriero di regressione e di stasi (Sez. 5, n. 28694 del 19/05/2022, Rv. 283578; Sez. 5, n. 38743 del 10/07/2019, Rv. 277638; Sez. 4, n. 1792 del 16/10/2018, Rv. 275078; Sez. 4, n. 53382 del 15/11/2016, Rv. 268487.
Si tratta, tuttavia, di pronunzie che non avevano potuto fare tesoro dei contenuti della sentenza COGNOME, in quanto deliberate e depositate tutte prima del deposito delle motivazioni della decisione del massimo Consesso, motivazioni sulle quali si fonda la decisione assunta in questa sede.
Motivazioni che trovano ulteriore conferma in altro arresto in cui si è affermato come non possa considerarsi abnorme il provvedimento del giudice dell’udienza preliminare che, investito della richiesta di rinvio a giudizio per il delitto di cui all’art. 624-bis cod. pen., anche dopo
l’aumento dei limiti edittali previsto dalla legge 26 aprile 2019 n. 36, disponga, fuori dall’udienza preliminare, la restituzione degli atti al
pubblico ministero per l’esercizio dell’azione penale nelle forme della citazione diretta a giudizio (cfr. Sez. 5, n. 9601 del 03/02/2021, Rv.
280576).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso del P.M.
Così deciso in Roma il 4.6.2025.