Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 43100 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 43100 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI PORDENONE nei confronti di:
COGNOME NOME nata a PORDENONE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 25/03/2024 del TRIBUNALE di PORDENONE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME
COGNOME, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa all’udienza del 25 marzo 2024, il Tribunale di Pordenone (in composizione monocratica), in sede di udienza predibattimentale, celebrata nel corso del procedimento a carico di COGNOME NOME, per il reato di percosse, ha disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero.
Il Tribunale ha rilevato che: originariamente l’azione penale era stata esercitata dinnanzi al Giudice di pace, che, però, con la sentenza n. 43/2023 del
17 febbraio 2023, aveva dichiarato la propria incompetenza per materia, ravvisando, nei fatti oggetto della sua cognizione, la ricorrenza degli elementi costitutivi dell’aggravante di cui all’art. 577, comma 2, cod. pen., ritenendo perciò sussistente la competenza del Tribunale; il pubblico ministero, nell’emettere il decreto di citazione a giudizio davanti al Tribunale, non aveva modificato l’imputazione, continuando a non contestare l’aggravante in questione.
Ha, pertanto, disposto la trasmissione degli atti al pubblico ministero affinché quest’ultimo «valuti se contestare l’aggravante indicata dal Giudice di pace oppure restituire gli atti al Giudice di pace per il giudizio sulla base dell’immutat imputazione».
Avverso l’ordinanza, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pordenone ha proposto ricorso per cassazione, deducendo l’abnormità dell’ordinanza.
Il ricorrente rappresenta di avere esercitato «l’azione penale dinnanzi al Tribunale … senza contestare alcuna circostanza aggravante», «essendo vincolato dalla pronuncia declinatoria di competenza del Giudice di Pace, pur non condividendone i contenuti».
Tanto premesso, sostiene che il Tribunale «abbia adottato un provvedimento abnorme, incorrendo in plurime violazioni e/o errate applicazioni della legge penale sostanziale e processuale, finendo per determinare una regressione indebita del procedimento e una stasi sostanzialmente insuperabile».
Secondo il ricorrente, il Tribunale se avesse ritenuto che il pubblico ministero «aveva citato a giudizio l’imputata in relazione a un’imputazione non aderente rispetto alle emergenze fattuali desumibili dagli atti d’indagine ovvero comunque manchevole della contestazione di talune circostanze aggravanti, giusta la previsione già ricordata di cui all’art. 554-bis cod. proc. pen., avrebbe dovuto invitare il pubblico ministero d’udienza a provvedere in conformità e, solo in esito a un’eventuale inerzia dell’organo requirente, avrebbe potuto disporre con ordinanza la restituzione degli atti». «Omettendo la sopra descritta fase di stimolo alla riflessione in sede di udienza predibattimentale» avrebbe «adottato un provvedimento extra ordinem, determinante una regressione del procedimento del tutto indebita nelle modalità procedimentali con le quali ha avuto luogo».
Il ricorrente, inoltre, contesta la decisione con la quale il Giudice di pace aveva dichiarato l’incompetenza per materia, sostenendo che non potrebbero applicarsi alla fattispecie delle percosse le circostanze aggravanti di cui all’art. 577 cod. pen.
Secondo il ricorrente, il Tribunale avrebbe implicitamente condiviso la tesi del Giudice di pace, atteso che, in caso contrario, avrebbe rilevato d’ufficio la propria incompetenza per materia e sollevato il conflitto negativo.
Il Tribunale avrebbe trasmesso «del tutto irritualmente gli atti al pubblico ministero, incorrendo in errore e ponendo in essere una sequenza procedimentale del tutto abnorme e avulsa dal sistema delineato dal legislatore della recente riforma, con ciò determinando una stasi insuperabile poiché il pubblico ministero, essendo vincolato dalla statuizione di competenza contenuta nella sentenza del Giudice di pace, non potrebbe far altro che restituire – in modo del tutto irrituale – gli atti al giudice dell’udienza predibattimentale, avendo già esercitato l’azione penale e avendo, conseguentemente, consumato tale prerogativa».
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Con la riforma Cartabia (d.lgs. n. 150 del 2022), il legislatore, nel disciplinare la “nuova” udienza predibattimentale, ha attribuito al giudice il compito di verificare la correttezza dell’imputazione.
Nell’articolazione codicistica, sono stati previsti due “moduli”.
Al comma 5 dell’art. 554-bis c.p.p., è stabilito che il giudice, anche d’ufficio, verifichi la completezza dell’imputazione ai sensi dell’art. 552, comma 1, lett. c), e, ove ravvisi delle lacune, sentite le parti, inviti il pubblico ministero a riformul in modo corretto l’imputazione. Laddove ciò non accada, il giudice dovrà dichiarare la nullità dell’imputazione e disporre la restituzione degli atti al pubblico ministero
Al comma 6, in termini ancora più ampi, è previsto che il giudice, anche d’ufficio, sentite le parti, verifichi che il fatto, la definizione giuridica, le circo aggravanti e quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, siano indicati in termini corrispondenti rispetto a quanto emerge dagli atti di indagine. Anche in questo caso, laddove il pubblico ministero non attivi i propri poteri correttivi, il giudice dovrà disporre la restituzione degli atti. Viceversa, caso di ottemperanza, il pubblico ministero modificherà l’imputazione e procederà alla relativa contestazione.
Attraverso tale disciplina, si vuole evitare che, in fase dibattimentale, si verifichino la radicale retrocessione del processo di cui all’art. 521 cod. proc. pen. oppure l’innestarsi delle vicende modificative previste dagli articoli 516 e ss. cod. proc. pen., «che, in ogni caso, sono causa di inefficienza e complicazioni» (relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo, pag. 152).
La nuova disciplina è, in maniera evidente, ispirata alla giurisprudenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione in tema di udienza preliminare (Sez. U, 20 dicembre 2007, n. 5307, Battistella, Rv. 238239), così come poi avallata dalla Corte costituzionale (Corte cost., 29 marzo 2019, n. 66).
Va evidenziato che, in quella pronuncia, le Sezioni unite hanno posto in rilievo come l’udienza preliminare costituisca la “sede” ove, in linea di principio, «sanare l’eventuale discrasia registratasi tra l’imputazione e le emergenze dell’indagine». Il riferimento ai principi affermati nella sentenza Battistella, dunque, appare del tutto coerente, atteso che, come visto, al giudice predibattimentale del procedimento a citazione diretta è affidato l’analogo compito di verificare la correttezza dell’imputazione, garantendone la corrispondenza rispetto a quanto emerso dagli atti di indagine.
Nella sentenza in questione, le Sezioni unite, all’esito di un’ampia ricostruzione del quadro normativo, come interpretato da una parte della giurisprudenza di legittimità e dalla Corte costituzionale con le decisioni n. 88 del 1994 e n. 131 del 1995, hanno affermato che «il controllo del giudice dell’udienza preliminare sulla validità dell’imputazione, siccome immanente al sistema, deve esplicarsi secondo una sequenza razionale (già prefigurata da una parte della dottrina) che, in prima battuta, privilegia l’emendatio delle lacune imputative attraverso gli strumenti di adeguamento previsti dall’art. 423, comma 1, nell’ambito e all’interno della medesima fase processuale, evitando così situazioni di stallo decisorio che, altrimenti, comporterebbero la regressione del procedimento a seguito della trasmissione degli atti al pubblico ministero; solo successivamente – non alternativamente – e in caso di mancata adesione del pubblico ministero alla richiesta correttiva, integrativa o modificativa nei termini indicati dall’ordinanza interlocutoria del giudice, quindi di cronicizzazione del conflitto fra giudice e pubblico ministero sulla configurazione dell’imputazione, è consentito il ricorso a un provvedimento conclusivo di restituzione degli atti, che non necessita di una previa dichiarazione di nullità (non prevista dal legislatore) della richiesta di rinvio a giudizio che determina la retrocessione del procedimento, sulla falsariga di quanto disposto dall’art. 521 comma 2, onde consentire il nuovo esercizio dell’azione penale in modo aderente alle effettive risultanze d’indagine». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Le Sezioni unite hanno evidenziato che, «nel percorso virtuoso» che si è andato delineando, la soluzione restitutoria comportante la regressione del procedimento costituisce una «evenienza marginale ed eccezionale, prefigurandosi come extrema ratio: in perfetta coerenza, d’altra parte, con le esigenze di economia e di ragionevole durata del processo, le quali, pure nel corretto contemperamento fra il valore dell’efficienza e le garanzie del giusto processo, entrambi presi in considerazione dal novellato art. 111 della Costituzione,
pretendono comunque la razionalizzazione dei tempi e dell’organizzazione del processo e, con essa, l’effettività della giurisdizione penale a fronte delle legittime aspettative della collettività di fronte al delitto».
Va evidenziato che il «percorso virtuoso» delineato dalla sentenza Battistella corrisponde sostanzialmente a quello previsto dai commi 5 e 6 dell’art. 554-bis per il giudice predibattimentale del procedimento a citazione diretta.
Appare, dunque, corretto, nel valutare le conseguenze che debbano trarsi nel caso di violazione della disciplina posta dai commi 5 e 6 dell’art. 554-bis, tenere presente quanto è stato affermato dalle Sezioni unite con riferimento alla “deviazione” dall’analogo «percorso virtuoso» che si è andato delineando nell’ambito dell’udienza preliminare.
Ebbene, le Sezioni unite hanno affermato il seguente principio: «è abnorme, e quindi ricorribile per cassazione, il provvedimento con cui il giudice dell’udienza preliminare disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero per genericità o indeterminatezza dell’imputazione, senza avergli previamente richiesto di precisarla. È invece rituale il provvedimento con cui il medesimo giudice, dopo aver sollecitato il pubblico ministero nel corso dell’udienza preliminare ad integrare l’atto imputativo senza che quest’ultimo abbia adempiuto al dovere di provvedervi, determini la regressione del procedimento onde consentire il nuovo esercizio dell’azione penale in modo aderente alle effettive risultanze d’indagine».
Le Sezioni unite hanno ritenuto che il provvedimento con cui il giudice dell’udienza preliminare disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero per genericità o indeterminatezza dell’imputazione, senza avergli previamente richiesto di precisarla, risulti «radicalmente eccentrico rispetto alle sequenze procedimentali nelle quali si snoda il percorso virtuoso sopra delineato».
In tali casi, «il pur legittimo potere di controllo dell’azione e dell’imputazione riservato al giudice dell’udienza preliminare,» risulta esercitato «oltre ogni ragionevole limite, non essendo consentito a quel giudice di disporre ex abrupto la regressione del procedimento alla fase antecedente delle indagini preliminari, segnandone così l’anomalo epilogo, senza avere prima richiesto al pubblico ministero di attivare li rimedio correttivo del vizio dell’atto imputativo nell’ambi della medesima udienza».
Questo Collegio ritiene che i principi affermati dalle Sezioni unite nella sentenza Battistella debbano essere applicati anche quando la violazione dal «percorso virtuoso», delineato dall’ordinamento per sanare le discrasie tra l’imputazione e le emergenze l’indagine, avvenga nel corso dell’udienza predibattimentale. Tale conclusione appare coerente con il fatto che: il legislatore, nei procedimenti a citazione diretta, ha affidato al giudice dell’udienza predibattimentale quella stessa funzione di verificare la correttezza
dell’imputazione, che negli altri procedimenti ha affidato al giudice dell’udienza preliminare; la disciplina prevista dai commi 4 e 5 dell’art. 544-bis ricalca quella ricostruita nella sentenza Battistella.
Ebbene, applicando i principi della sentenza Battistella al caso in esame, risulta evidente l’abnormità del provvedimento con il quale il giudice dell’udienza predibattimentale ha restituito gli atti al pubblico ministero, senza aver minimamente consentito al rappresentante della pubblica accusa di poter interloquire sul punto. Risulta evidente, anche in tale caso, la vistosa deviazione dal «percorso virtuoso» delineato dal legislatore per sanare le eventuali discrasie tra imputazione ed emergenze delle indagini. Deviazione che ha determinato ex abrupto la regressione del procedimento alla fase antecedente delle indagini preliminari, segnandone così l’anomalo epilogo. Anche il tale caso, il pur legittimo potere di controllo dell’azione e dell’imputazione, riservato al giudice dell’udienza predibattimentale, risulta esercitato «oltre ogni ragionevole limite», con un provvedimento «radicalmente eccentrico rispetto alle sequenze procedimentali nelle quali si snoda il percorso virtuoso sopra delineato».
Nel caso in esame, si è venuta a creare un’anomala regressione del procedimento, che ha posto il pubblico ministero in una situazione per la quale egli non può più esercitare l’azione penale davanti al giudice di pace, che si è dichiarato incompetente, ma non può neppure rappresentare al Tribunale le ragioni a sostegno dell’imputazione da lui configurata – basata sulla non contestabilità delle aggravanti previste dall’art. 577 cod. pen. -, eventualmente sollecitando il giudice a sollevare un conflitto negativo di competenza. La situazione determinatasi per effetto del provvedimento impugnato – se non se ne consentisse l’impugnabilità per abnormità – finirebbe per costringere il pubblico ministero (che, per il disposto dell’art. 568, comma 2, cod. proc. pen., non aveva avuto la possibilità di ricorrere per cassazione avverso la sentenza di incompetenza del Giudice di pace) a esercitare l’azione penale, contestando delle aggravanti che ritiene insussistenti, senza avere avuto neppure la possibilità di rappresentare al Tribunale le ragioni a sostegno della propria tesi. Si finirebbe, in tal modo, per determinare un’eccessiva limitazione dei poteri del pubblico ministero, poco compatibile con il dettato costituzionale, che gli attribuisce la titolarità dell’azione penale, e anche con i sistema delineato dal codice di rito, che gli riconosce il potere di formulare l’imputazione e successivamente di incidere su di essa, anche nella fase dibattimentale (art. 516 e ss. cod. proc. pen.).
Tali ultimi profili confermano la radicale eccentricità del provvedimento che, per motivi relativi all’imputazione, determini una regressione del procedimento, senza consentire neppure l’interlocuzione al pubblico ministero, al quale la Costituzione e il codice di rito attribuiscono un ruolo di primario rilievo rispetto
quell’imputazione, al punto da consentirgli di incidere su di essa, ancora nella fase di batti mentale.
La tesi dell’abnormità del provvedimento del giudice predibattimentale, dunque, appare non solo in linea con la sentenza Battistella, che ha chiaramente ispirato le norme in esame, ma appare anche coerente con il dettato costituzionale e con il sistema delineato dal codice di rito.
Il provvedimento impugnato, pertanto, risultando radicalmente eccentrico rispetto al sistema delineato dal codice di rito e avendo determinato un’anomala regressione del processo, deve essere annullato senza rinvio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Pordenone per l’ulteriore corso.
Così deciso, il 30 settembre 2024.