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Provvedimento abnorme: Cassazione annulla l’ordinanza

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza della Corte d’Appello, qualificandola come provvedimento abnorme. Il giudice d’appello, invece di pronunciarsi sul merito e sulla qualificazione del reato, aveva disposto un’indebita regressione del procedimento trasmettendo gli atti al Pubblico Ministero. La Cassazione ha stabilito che il giudice deve decidere sulla questione devolutagli, anche riqualificando il fatto, senza creare una paralisi processuale.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Provvedimento Abnorme: Quando il Giudice non Decide ma Torna Indietro

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 44763 del 2024, ha chiarito i confini del potere del giudice d’appello, sanzionando con l’annullamento un’ordinanza che ha generato un’indebita regressione del processo. Il caso in esame offre uno spaccato fondamentale sulla corretta gestione del processo penale, evidenziando il concetto di provvedimento abnorme e l’importanza di non paralizzare la giustizia. Analizziamo insieme i fatti e le ragioni di questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Un Rinvio Inaspettato

La vicenda trae origine da un procedimento d’appello. La Corte d’Appello, chiamata a decidere sulla posizione di un imputato, ha ritenuto che i fatti contestati non integrassero il reato originariamente ipotizzato, bensì una diversa fattispecie criminosa (minaccia aggravata).

Invece di procedere, come la legge prevede, a una riqualificazione del fatto e a una pronuncia sul merito della causa, il collegio ha preso una decisione inusuale: ha separato la posizione dell’imputato e ha ordinato la trasmissione di tutti gli atti al Pubblico Ministero del primo grado per l’ulteriore corso. In sostanza, ha ‘rimandato la palla’ all’accusa, facendo regredire il processo a una fase precedente e omettendo di decidere sull’appello proposto.

Contro questa ordinanza, sia l’imputato che il Procuratore Generale hanno proposto ricorso in Cassazione, lamentando la violazione delle norme processuali e la natura abnorme del provvedimento.

La Decisione della Corte di Cassazione e il Provvedimento Abnorme

La Suprema Corte ha accolto le doglianze, annullando senza rinvio l’ordinanza impugnata e restituendo gli atti alla Corte d’Appello di Bari affinché proceda correttamente. La Cassazione ha qualificato l’ordinanza come un provvedimento abnorme sotto il profilo funzionale.

Un atto è ‘abnorme’ non solo quando è strano o stravagante, ma soprattutto quando si pone al di fuori del sistema processuale, determinando una stasi o, come in questo caso, un’illegittima regressione del procedimento. Il giudice d’appello, omettendo di pronunciarsi sulla sentenza di primo grado, è venuto meno al suo compito fondamentale, creando una situazione di stallo e violando i principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo.

Le Motivazioni della Sentenza

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella corretta interpretazione dei poteri del giudice. La Corte ha spiegato che il giudice d’appello, una volta investito della questione, ha il dovere di decidere. Se ritiene che il fatto storico sia lo stesso ma debba essere qualificato diversamente dal punto di vista giuridico, ha lo strumento per farlo: l’articolo 521 del codice di procedura penale gli consente di dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione.

L’operazione compiuta dalla Corte d’Appello è stata censurata per diverse ragioni:

1. Omessa pronuncia: Il giudice non ha deciso sull’oggetto della sua cognizione, ovvero la sentenza di primo grado impugnata.
2. Regressione indebita: Ha fatto tornare il processo indietro senza alcuna valida ragione normativa, costringendo l’imputato a un nuovo iter processuale per lo stesso fatto.
3. Violazione del diritto di difesa: Sebbene la riqualificazione del reato possa avvenire, deve sempre tutelare il diritto di difesa. In questo caso, la Corte ha sottolineato che il fatto storico contestato era già sufficientemente ampio da includere gli elementi del ‘nuovo’ reato. Pertanto, il giudice avrebbe potuto riqualificare e decidere senza pregiudicare l’imputato.

La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: la violazione della correlazione tra accusa e sentenza si verifica solo quando vi è una trasformazione radicale del fatto, tale da generare un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione e un reale pregiudizio per la difesa.

Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio cardine del nostro ordinamento processuale: il processo deve progredire verso una decisione, non avvitarsi su se stesso. Un giudice non può spogliarsi della propria funzione decisoria rimandando gli atti all’accusa per una nuova valutazione giuridica che egli stesso ha il potere e il dovere di compiere. Il concetto di provvedimento abnorme serve proprio a sanzionare queste deviazioni funzionali che minano l’efficienza e la logica del sistema giudiziario. La decisione garantisce che l’imputato non sia sottoposto a una duplicazione di procedimenti e che il suo diritto a ottenere una pronuncia in tempi ragionevoli sia rispettato.

Quando un’ordinanza del giudice è considerata un ‘provvedimento abnorme’?
Un provvedimento è considerato ‘abnorme’ quando si pone al di fuori del sistema processuale, creando una stasi o un’ingiustificata regressione del procedimento. In questo caso, l’atto di trasmettere gli atti al Pubblico Ministero invece di decidere sull’appello è stato ritenuto abnorme perché ha bloccato il normale corso della giustizia.

Cosa avrebbe dovuto fare il giudice d’appello se riteneva che il reato fosse diverso da quello contestato?
Secondo la Cassazione, il giudice d’appello avrebbe dovuto utilizzare il potere conferitogli dall’articolo 521 del codice di procedura penale. Avrebbe dovuto, cioè, procedere a una ‘riqualificazione giuridica’ del fatto, dandogli una diversa definizione legale, e poi emettere una sentenza che decidesse l’appello, senza far regredire il processo.

Perché la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero ha danneggiato il processo?
La trasmissione degli atti ha causato un danno perché ha omesso una pronuncia dovuta sulla sentenza di primo grado, ha creato una regressione illegittima del procedimento e ha esposto l’imputato al rischio di una duplicazione dei processi per lo stesso fatto, violando i principi di economia processuale e del giusto processo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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