Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 316 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 316 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nato in Albania il 01/09/1982;
avverso l’ordinanza del 23/05/2024 emessa dalla Corte di appello di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; lette le repliche e le conclusioni dei difensori, avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME che hanno insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata la Corte di appello di Firenze ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di revisione della sentenza n. 555/16 R.G. sent. emessa dalla Corte di appello di Perugia in data 10 maggio 2016, divenuta
irrevocabile in data 2 dicembre 2016 proposta, ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., dal condannato NOME COGNOME
Gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME difensori di RAGIONE_SOCIALE ricorrono avverso questa ordinanza e ne chiedono l’annullamento, proponendo due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, i difensori deducono l’inosservanza dell’art. 13, comma 3-quater, d. Igs. 6 settembre 1998, n. 286, in quanto in data 5 marzo 2003, prima dell’emissione del decreto dispositivo del giudizio in data 29 giugno 2005 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Macerata, l’imputato era stato espulso dal territorio dello Stato italiano e rimpatriato in Albania.
La Corte di appello, dunque, non avrebbe considerato che, all’atto del emissione del decreto dispositivo del giudizio, l’azione penale era improcedibile; tale causa di improcedibilità rileverebbe anche ove non dedotta prima della definizione dell’udienza preliminare (come statuito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 270 del 2019) e, dunque, potrebbe essere rilevata in ogni stato e grado del processo.
2.2. Con il secondo motivo, i difensori censurano l’inosservanza di prova nuova di cui all’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., con riferimento all’interpretazione della nozione di «prova nuova».
Illegittimamente, infatti, la Corte di appello di Firenze avrebbe dichiarato l’inammissibilità della richiesta di revisione, in ragione della tardiva deduzione la prova dell’espulsione del ricorrente prima dell’emissione del decreto dispositivo; ad avviso dei difensori, infatti, il giudice deputato dal codice di rito all’esame del prova del difetto della condizione di procedibilità era il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Macerata, che non aveva svolto alcun sindacato sul punto.
Questa prova, peraltro, non essendo stata valutata nel merito, neppure dalla Corte di appello di Ancona, sarebbe «nuova» nel significato giuridico accolto dall’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
Questa prova sarebbe, peraltro, idonea a disarticolare il giudicato e a determinare l’adozione di una pronuncia di proscioglimento del condannato per improcedibilità dell’azione penale ai sensi dell’art. 13, comma 3-quater, d. Igs. 6 settembre 1998, n. 286.
La Corte costituzionale, infatti, nella sentenza n. 270 del 2019 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nella parte in cui non prevede che, nei casi di decreto di citazione diretta a giudizio ai sensi dell’art. 550 del codice di procedura penale, i giudice possa rilevare, anche d’ufficio, che l’espulsione dell’imputato straniero è
stata eseguita prima che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio e che ricorrono tutte le condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere.
La giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, esteso l’ambito applicativo della previsione di cui all’art. 14, comma 5-septies, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, secondo cui, in caso di avvenuta espulsione dello straniero, deve essere pronunciata sentenza di non luogo a procedere relativamente ai reati di cui ai commi 5-ter e 5-quater del medesimo articolo, anche alla successiva fase del giudizio (e ha citato in proposito Sez. 1, n. 25358 del 29/04/2019, COGNOME, Rv. 276145 – 01).
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 28 ottobre 2024, il Procuratore generale NOME COGNOME ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
Con memoria depositata in data 15 novembre 2024 l’avvocato NOME COGNOME ha replicato alla requisitoria e ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato, in quanto i motivi proposti sono infondati.
Con il secondo motivo, che assume valenza preliminare, i difensori censurano l’inosservanza dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in quanto la prova del rimpatrio del ricorrente prima della pronuncia del decreto di rinvio a giudizio sarebbe “nuova”.
Il motivo è infondato.
3.1. La revisione di una sentenza di condanna è ammessa dal codice di rito quando sopraggiungano, dopo il suo passaggio in giudicato, decisioni giudiziali di segno diverso che si pongano in insanabile contrasto con quanto si era accertato (nei casi descritti dalle lettere a) e b) dell’art. 630 cod. proc. pen. sopraggiungano o si scoprano (in tale ultimo caso superando il limite del “deducibile”) «nuove prove», che conducano al proscioglimento del condannato o consentano di acclarare la falsità delle prove su cui era fondata la condanna (i casi delle lettere c) e d) dell’art. 630).
L’art. 631 cod. proc. pen. prescrive che gli elementi in base ai quali la revisione viene richiesta siano tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto, oltre che nei casi ex artt. 530 e 531 cod. proc. pen., anche
nelle ipotesi di sentenza di non doversi procedere ex art. 529 cod. proc. pen. («se l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita»).
L’istituto della revisione, nella sua formulazione attuale, comprende, pertanto, anche il caso in cui il condannato, come richiede il ricorrente, debba essere prosciolto assolto perché l’azione penale non avrebbe potuto essere iniziata (o proseguita) per difetto di una condizione di procedibilità (ex plurimis: Sez. 4, n. 17170 del 31/01/2017, M., Rv. 269826 – 01).
L’art. 634 cod. proc. pen. impone, da ultimo, la declaratoria di inammissibilità dell’istanza quando sia stata proposta per casi non previsti dall’art. 630 cod. proc. pen., per inosservanza delle forme, ivi comprese quelle dettate dall’art. 633, o, anche, quando la stessa risulti manifestamente infondata.
3.2. La Corte di appello ha correttamente dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza la richiesta di revisione, ai sensi dell’art. 631, comma 1, cod. proc. pen., in quanto l’improcedibilità dell’azione di merito per effetto dell’espulsione del ricorrente dal territorio italiano è stata già dedotta nel giudizi di merito e ritenuta tardiva.
La questione dell’improcedibilità dell’azione penale esercitata nei confronti di RAGIONE_SOCIALE è, infatti, stata dedotta dal difensore dell’imputato nel giudizio di appello e la Corte di appello di Ancona, con sentenza n. 1640 emessa in data 7 maggio 2013, ha ritenuto infondata l’eccezione.
Il difensore di NOME ha proposto ricorso per cassazione anche su tale punto e la Quarta sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 4516 del 15/01/2006, ha annullato la sentenza emessa dalla Corte di appello di Ancona in data 7 maggio 2013 nei confronti di NOME COGNOME limitatamente ai reati di cui ai capi nn. 2 ed 8, perché estinti per prescrizione, ha rinviato alla Corte d’Appello di Perugia per la rideterminazione della pena in ordine ai residui illeciti e ha rigettato nel resto il ricorso.
In questa sentenza la Corte di cassazione ha delibato, come primo motivo di ricorso, la richiesta di declaratoria d’improcedibilità dell’azione penale con riferimento al rimpatrio di Krypa, espulso dal territorio nazionale con provvedimento eseguito il 5 marzo 2003, prima della pronuncia del decreto dispositivo del giudizio in data 29 giugno 2005.
La Corte ha espressamente rilevato che «la prova dell’espulsione del Krypa in epoca antecedente il decreto dispositivo del giudizio è stata tardivamente dedotta, e la conseguente instaurazione del giudizio (avvenuta in epoca antecedente la produzione degli elementi a sostegno della tesi difensiva) ha spiegato efficacia preclusiva sulla deducibilità della citata causa di improcedibilità».
Nella valutazione, congruamente motivata della Corte di appello di Firenze, dunque, la prova dedotta dal condannato non costituisce una prova nuova, idonea
a fondare la revisione del giudicato, ma solo una prova tardivamente dedotta nel giudizio di merito.
3.3. Questa valutazione è, peraltro, conforme alla disciplina di legge.
In tema di revisione, attesa la natura straordinaria del mezzo di impugnazione, è inammissibile la richiesta fondata su motivi già esaminati nel corso del giudizio (Sez. 5, n. 9169 del 31/01/2017, COGNOME, Rv. 269060 – 01).
La revisione è, infatti, un mezzo di impugnazione straordinario e, pertanto, i motivi in esso addotti non possono essere i medesimi sui quali si è già discusso nel contradittorio che ha portato alla sentenza che si chiede di rescindere.
In altri termini, se è consentito, a particolari condizioni, opporre i “deducibile”, non è invece compatibile con la struttura del mezzo dedurre nuovamente il già interamente “dedotto” nel giudizio di condanna, visto che, altrimenti, la revisione si troverebbe ad assumere l’improprio ruolo di ulteriore grado di impugnazione ordinaria.
La richiesta di revisione proposta dal ricorrente, pertanto, è inammissibile in quanto non è fondata su una prova nuova, bensì sulla pretesa di esercitare il diritto alla prova in maniera diversa e più ampia di quanto non sia stato fatto nel giudizio di cognizione.
Il ricorrente, nelle conclusioni scritte, ha invocato a fondamento della propria prospettazione il principio di diritto affermato dalla sentenza n. 9207 del 2024, che ha ritenuto «prova nuova», rilevante ex art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., quella – sopravvenuta alla sentenza di condanna o scoperta successivamente ovvero non acquisita nel precedente giudizio o acquisita, ma non valutata neanche implicitamente (Sez. 3, n. 9207 del 09/01/2024, Franco, Rv. 286022 – 01).
Questo principio, tuttavia, non è conferente nel caso di specie, in quanto la prova dedotta dal ricorrente è stata prodotta nel corso del giudizio di merito e specificamente esaminata dai giudici di merito, tanto da essere ritenuta inammissibile, in quanto tardivamente proposta.
Le Sezioni unite di questa Corte hanno, del resto, statuito che, in tema di revisione, per prove nuove rilevanti a norma dell’art. 630 lett. c) cod. proc. pen. ai fini dell’ammissibilità della relativa istanza devono intendersi non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l’omessa conoscenza da parte di quest’ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell’errore giudiziario (Sez U, n. 624 del 26/09/2001, dep. 2002, COGNOME, Rv. 220443 – 01),
La prova ritenuta inammissibile perché tardivamente dedotta nel giudizio di merito, come nel caso di specie, dunque, non può essere considerata “nuova” ai fini della proposizione di ricorso per revisione ex art. 630 cod. proc. pen. (ex plurimis: Sez. 5, n. 8997 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 282824 – 01; Sez. 4, n. 17170 del 31/01/2017, M., Rv. 269826 – 01; Sez. 3, n. 2562 del 10/06/1996, Galli, Rv. 206046).
Con il primo motivo, il difensore deduce l’inosservanza dell’art. 13, comma 3 -quater, d. Igs. 6 settembre 1998, n. 286, in quanto l’imputato è stato espulso e rimpatriato in Albania due anni prima dell’emissione del decreto dispositivo del giudizio, emesso in data 29 giugno 2005, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Macerata.
5. Il motivo è manifestamente infondato.
La questione specifica è, infatti, già stata interamente dedotta nel corso del giudizio e sulla stessa si è formato il giudicato; per le ragioni esposte, non sussistono i presupposti che legittimano l’accesso al rimedio straordinario della revisione.
Alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve essere rigettato
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 20/11/2024.