Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 9578 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 9578 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: nel procedimento a carico di: NOME COGNOME nato in SENEGAL il 15/09/1997
Procuratore generale presso Corte d’appello di Brescia
avverso la sentenza del 27/05/2024 del TRIBUNALE di Bergamo udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sost Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con trasmissione degli atti al Tribunale di Bergamo.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza impugnata è stata deliberata dal Giudice monocratico del Tribunale di Bergamo che, su istanza formulata ex art. 129 cod. proc. pen. dal pubblico ministero una volta terminate le indagini, ha prosciolto ex art. 131-bis cod. pen. NOME COGNOME imputato del reato di cui agli artt. 477, 482 cod. pen. per avere formato una falsa patente di guida italiana, apponendovi o facendovi apporre la propria fotografia e le proprie generalità; tale patente era stata
mostrata dall’imputato ad agenti della Polizia stradale durante un controllo avvenuto il 13 febbraio 2020.
Ricorre avverso la predetta sentenza il Procuratore generale presso la Corte di appello di Brescia, che lamenta violazione degli artt. 129, 469 e 529 cod. proc. pen. e 131-bis cod. pen.
Le ragioni di ricorso sono due.
2.1. La prima attiene all’irritualità della sentenza impugnata siccome pronunziata su richiesta del pubblico ministero e senza avere prima fissato udienza, in spregio agli insegnamenti di Sezioni Unite n. 12283 del 25 gennaio 2005.
2.2. La seconda, riguarda il giudizio di particolare tenuità perché:
la contraffazione del documento, lungi dall’essere non particolarmente accurata, era invece idonea ad ingannare la pubblica fede;
l’imputato stava guidando con il documento contraffatto ed era sprovvisto di patente di guida, creando pericolo per la pubblica incolumità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere accolto.
E’ assorbente la fondatezza del primo motivo di ricorso, che deduce l’irritualità della pronunzia della sentenza ex art. 129 cod. proc. pen. al di fuori della sede propria, vale a dire quella del «processo».
1.1. In ordine logico-giuridico è necessario precisare preliminarmente che il Collegio ha ritenuto il ricorso del Procuratore generale ammissibile siccome sorretto dal necessario interesse ex art. 568, comma 4, cod. proc. pen., dal momento che la parte ricorrente non pone solo la questione in rito, ma contesta l’an della decisione avversata, in quanto non ritiene corretta la valutazione circa la particolare tenuità del fatto.
1.2. Venendo al vizio dedotto, l’esame degli atti del procedimento possibile in ragione della natura processuale della censura – ha consentito di verificare che la sentenza impugnata è stata emessa dal Giudice monocratico de plano, richiamando l’art. 129 cod. proc. pen., a seguito di richiesta del pubblico ministero formulata prima dell’esercizio dell’azione penale, senza contraddittorio con l’indagato e al di fuori di qualsiasi modulo procedimentale previsto dal legislatore.
La pronunzia è, pertanto, affetta da nullità di ordine generale a regime intermedio ex art. 178, lett. b) e c) cod. proc. pen. perché non assunta nel
contraddittorio delle parti. A questo riguardo, vanno richiamati gli insegnamenti di Sez. U, n. 12283 del 25/01/2005, COGNOME, Rv. 230529 – 01, che ha ben delineato la portata della regola di cui all’art. 129 cod. proc. pen., stabilendo che essa non attribuisce al giudice un potere di giudizio ulteriore ed autonomo rispetto a quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l’epilogo liberatorio nelle varie fasi e nei diversi gradi del processo – artt. 425, 469, 529, 530 e 531 stesso codice -, ma enuncia una regola di condotta rivolta al giudice che, operando in ogni stato e grado del processo, presuppone un esercizio della giurisdizione con effettiva pienezza del contraddittorio. Particolarmente confacente al caso di specie è poi l’osservazione che pure si legge nella sentenza COGNOME, secondo cui: «L’operatività dell’art. 129, implicando comunque un accertamento sul fatto, presuppone necessariamente un’azione penale già esercitata e, pertanto, non può essere attivata nel corso delle indagini preliminari, proprio perché manca l’imputazione, la quale soltanto investe il giudice dei relativi poteri cognitivi e decisori sul fatto. Nella fase delle indagini preliminari, le situazioni ipotizzate dalla norma in esame trovano soluzione nel diverso istituto dell’archiviazione».
In applicazione di questo principio, le Sezioni Unite hanno sancito la nullità di ordine generale ai sensi dell’art. 178, lett. b) e c) cod. proc. pen., della sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto pronunziata dal giudice dell’udienza preliminare, investito della richiesta del pubblico ministero di rinvio a giudizio dell’imputato, senza la previa fissazione dell’udienza in camera di consiglio.
L’applicazione al caso di specie – in cui addirittura la pronunzia si è collocata prima dell’esercizio dell’azione penale – del principio segnato dall’autorevole ed insuperato approdo di questa Corte comporta la necessità di annullare la sentenza impugnata al fine di consentire l’ulteriore corso del procedimento secondo la sua fisiologia, che avrebbe imposto, ai sensi dell’art. 407-bis cod. proc. pen., che la fase delle indagini preliminari si concludesse con uno degli unici due momenti terminativi previsti dal codice di rito, vale a dire l’esercizio dell’azione penale ovvero la richiesta di archiviazione, che, peraltro, ove fondata sulla ritenuta particolare tenuità del fatto, prevede l’attivazione del contraddittorio anche con l’indagato ex art. 411, comma 1-bis cod. proc. pen.
E’ questa la ragione per cui all’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata deve seguire non già la restituzione degli atti al Tribunale, ma al pubblico ministero, dal momento che, come già osservato, non vi è stato esercizio dell’azione penale e, quindi, è mancata l’unica, possibile modalità di transizione dalla fase delle indagini a quella del giudizio che il codice di rito conosce. Diversamente opinando – ossia rimettendo gli atti al Tribunale – si
avallerebbe la deformazione della sequenza procedimentale voluta dal legislatore cui hanno dato luogo l’errore del pubblico ministero e del giudice monocratico, dando per avvenuto l’esercizio dell’azione penale; così peraltro determinando una mortificazione della possibilità dell’indagato di dimostrare l’assenza di responsabilità legata, da una parte, al difetto degli adempimenti prodromici alla citazione a giudizio – si pensi alla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e alle possibilità sollecitatorie di cui all’art. 415-bis , comma 3, cod. proc. pen. – e, dall’altra, alla mancata possibilità della difesa di esercitare il contraddittorio a seguito della notifica del decreto di citazione a giudizio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone rimettersi gli atti al Procuratore della Repubblica di Bergamo per l’ulteriore corso. Così è deciso, 23/1/2025
CORTE DI CASSAZIONE V SEZIONE PENALE