Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 17173 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 17173 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SIDERNO il 25/08/1977
avverso l’ordinanza del 14/11/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME veniva sottoposta alla misura cautelare della custodia in carcere, con ordinanza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Locri in data 10 febbraio 2020, in relazione al delitto di omicidio doloso pluriaggravato, commesso, in concorso con NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in danno di NOME COGNOME convivente con l’indagata.
Con sentenza pronunciata il 12 luglio 2024, la Corte di assise di appello di Reggio Calabria disponeva, ai sensi dell’art. 304, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la sospensione dei termini di custodia cautelare in carcere durante il termine riservato per il deposito della motivazione, pari a 90 giorni.
Con successivo provvedimento del 27 settembre 2024, il Presidente della Corte di appello di Reggio Calabria prorogava detto termine, ai sensi dell’art. 154, comma 4-bis, disp. att. cod. proc. pen., di ulteriori 90 giorni.
Con ordinanza del 23 ottobre 2024, la Corte di assise di appello di Reggio Calabria, preso atto dei provvedimenti antecedenti, sospendeva i termini di durata della custodia cautelare nei confronti dell’imputata per l’ulteriore periodo di 90 giorni, pari al termine di proroga concesso per la redazione della sentenza di secondo grado.
Avverso quest’ultima ordinanza proponeva appello il difensore dell’interessata, ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., dolendosi dell irragionevolezza e illegittimità del provvedimento nella parte in cui, nel disporre la sospensione dei termini di durata massima di custodia cautelare, aveva assimilato l’ipotesi di cui all’art. 544, commi 2 e 3, cod. proc. pen., a quella di cui all’art. comma 4-bis, disp. att. cod. proc. pen.
Ad avviso della difesa, non era condivisibile l’argomentazione secondo la quale la norma da ultimo citata avrebbe rappresentato disposizione integratrice di quella prevista dall’art. 544 cod. proc. pen., in quanto, in primo luogo, l’art. 30 cod. proc. pen. andava considerata quale norma sottoposta al principio di stretta legalità, essendo afferente ai casi e ai modi cui l’art. 13 Cost. subordinava forme di restrizione della libertà individuale.
Da qui la necessità, a parere della difesa, di una norma ad hoc ad integrazione del catalogo di cui all’art. 304, comma 1, cod. proc. pen., che contemplasse, espressamente, alla lettera c), anche le ipotesi di proroga di cui all’art. 154, comma 4-bis, disp. att. cod. proc. pen., così rendendo possibile, normativamente, un’operazione di “assimilazione” che, al momento, in presenza del denunciato vuoto normativo, non avrebbe potuto ritenersi ammissibile.
In secondo luogo, il meccanismo delineato dall’art. 154, comma 4-bis, citato appariva ulteriormente censurabile nella parte in cui, con provvedimento
amministrativo di natura discrezionale, non garantiva una sufficiente prevedibilità della durata della proroga nel fissare un tetto massimo individuato in 90 giorni.
Trattavasi, dunque, secondo il difensore, di una tipologia di provvedimento assimilabile a quello oggetto di valutazione da parte della Corte costituzionale nella sentenza n. 140 del 2021.
Tanto imponeva di sollevare questione di legittimità costituzionale, in relazione al combinato disposto di cui agli artt. 304, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. e 154, comma 4-bis, disp. att. cod. proc. pen., per contrasto con gli artt. 3 e 117 Cost., quest’ultimo in riferimento all’art. 5 CEDU.
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Reggio Calabria rigettava l’appello cautelare.
Preliminarmente, il Tribunale adito riteneva manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dedotta dalla difesa, rilevando che, nel caso di specie, risultava rispettata la riserva di legge prevista dall’art. 13 Cost., quanto la disposizione di cui all’art. 154, comma 4-bis, disp. att. cod. proc. pen., in ragione del suo espresso riferimento ai termini previsti dall’art. 544, comma 3, cod. proc. pen., andava considerata “espressamente integrativa del dettato codicistico” (richiamava, sul punto, Sez. 5, n. 20822 del 2009), sicché non vi erano ostacoli a una ricomprensione dei termini “prorogati” in quelli suscettibili d giustificare la sospensione della durata della custodia cautelare ex art. 304 cod. proc. pen.
Chiariti i motivi che non consentivano di ravvisare “similitudini” tra il contenuto della pronuncia n. 140/2021 della Corte costituzionale e la vicenda oggetto di impugnazione, il Tribunale di Reggio Calabria osservava, in sintonia con la giurisprudenza di legittimità, che la sospensione del termine di durata massima della custodia cautelare si atteggiava allo stesso modo sia ove derivasse dall’iniziale termine indicato dal giudice per la stesura della sentenza sia ove discendesse da una proroga dello stesso “concessa” mediante provvedimento del Presidente dell’Ufficio, non sussistendo distinzioni di sorta circa la “natura” dei due ambiti temporali, da ricomprendersi, entrambi, ai fini del computo del termine massimo di custodia cautelare ai sensi delj’art. 304, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
Aggiungeva il giudice dell’incidente cautelare che l’unico effettivo ostacolo all’ampliamento della sospensione del termine di durata massima della custodia cautelare avrebbe potuto ricondursi al mancato rispetto della “procedura” appositamente delineata dalla Corte di legittimità – implicante l’emissione di una ulteriore ordinanza di sospensione, ai sensi dell’art. 304 citato, relativa al periodo di proroga – in adempimento della quale, invece, l’effetto sospensivo si sarebbe prodotto anche in riferimento all’eventuale frangente temporale accordato ex art.
154, comma 4-bis, disp. att. cod. proc. pen., su richiesta del giudice estensore, dal Presidente del Tribunale o della Corte di appello (cita Sez. 6, n. 15162 del 2014).
Concludeva l’organo de libertate che, nella specie, l’ordinanza impugnata aveva dato atto che la “nuova” sospensione del termine di durata della custodia cautelare (successiva a quella già disposta con la sentenza resa dalla stessa Corte di assise di appello in data 12 luglio 2024) era conseguita alla intervenuta proroga disposta, con provvedimento del 27 settembre 2024, dal Presidente della Corte di appello di Reggio Calabria, di ulteriori 90 giorni, dell’originario termine di deposit della sentenza, sicché l’apposito procedimento di “giurisdizionalizzazione” del provvedimento del Capo dell’Ufficio doveva reputarsi pienamente portato a termine in tutte le sue parti, con integrale rispetto dei diritti costituzionali impli
Tenuto conto, peraltro, della individuazione, con il provvedimento di proroga stesso, di un termine ab origine circostanziato (non superiore, comunque, a 90 giorni e non ulteriormente prolungabile), andava disattesa anche la doglianza afferente alla pretesa carenza di proporzionalità dell’operazione in questione.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’interessata, per mezzo del suo difensore, deducendo, con un unico ed articolato motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 125, 304, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., 154, comma 4-bis, disp. att. cod. proc. pen. e 544, comma 3, cod. proc. pen.
Ad avviso del difensore della ricorrente, non merita condivisione l’orientamento di legittimità richiamato dal provvedimento impugnato, secondo cui i termini di custodia cautelare in carcere rimarrebbero sospesi anche nell’ipotesi disciplinata dall’art. 154, comma 4-bis, cod. proc. pen., e cioè nell’ipotesi di proroga del termine per il deposito della sentenza ad opera del Presidente della Corte di appello, essendo questa norma complementare rispetto a quella di cui all’art. 544, comma 3, cod. proc. pen., espressamente richiamata dall’art. 304, comma 1), lett. c), cod. proc. pen.
Sostiene, diversamente, la difesa che la sospensione dei termini di custodia cautelare al di fuori delle ipotesi specificamente previste dalla legge nell’art. 304 cod. proc. pen. si porrebbe in contrasto con il principio di stretta legalità di cui all’art. 13, comma 4, Cost. e con principi di carattere sovranazionale, quali l’art. 5 CEDU e l’art. 52 della Carta di Nizza, anche a fronte della genericità della disposizione di cui all’art. 154, comma 4-bis, cod. proc. pen. sia in punto di presupposti legittimanti la proroga sia in punto di durata della proroga.
Insiste, infine, nel prospettare l’assimilabilità tra il provvedimento d proroga adottato ai sensi del citato art. 154, comma 4-bis e quello di rinvio dei
procedimenti che il Capo dell’Ufficio adottò nel periodo dell’emergenza epidemiologica COVID-19 sulla base di norma, l’art. 83, comma 9, d.l. n. 18/2020, giudicata incostituzionale.
Il Procuratore generale di questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, in quanto manifestamente infondato.
L’avv. NOME COGNOME nell’interesse della ricorrente, ha fatto pervenire, per via telematica, memoria di replica con conclusioni scritte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
Non è superfluo, in via preliminare, ricordare che costituisce principio di diritto acquisito quello secondo il quale il provvedimento di sospensione dei termini di custodia assunto ai sensi dell’art. 304, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. ha valenza meramente dichiarativa, tanto che può essere deliberato anche da un giudice diverso da quello dinanzi al quale si è verificata la causa che ha dato luogo alla sospensione (Sez. 3, n. 3637 del 15/12/2010, dep. 2011, M., Rv. 249157 01; Sez. 6, n. 47803 del 17/11/2003, COGNOME, Rv. 228445 – 01; Sez. 3, n. 36396 del 15/07/2003, NOME COGNOME, Rv. 226386 – 01).
Non è, poi, revocabile in dubbio che siffatto provvedimento di sospensione possa essere assunto d’ufficio, senza il previo contraddittorio delle parti (Sez. U, n. 27361 del 31/03/2011, Ez COGNOME, Rv. 249969 – 01), all’unica condizione che, nel momento in cui venga adottato, non siano già scaduti i termini di custodia cautelare che l’ordinanza intende sospendere (Sez. 6, n. 31632 del 16/05/2017, Marino, Rv. 270462 – 01; Sez. 3, n. 3637 del 15/12/2010, dep. 2011, cit.).
Secondo il consolidato orientamento della Corte di legittimità, è altrettanto pacifico che il provvedimento di sospensione dei termini di custodia cautelare, adottato nella fase del giudizio per il tempo necessario alla redazione della motivazione della sentenza, possa ricomprendere anche il periodo di proroga del termine per il deposito della motivazione ai sensi dell’art. 154, comma 4-bis, disp. att. cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 12809 del 19/02/2020, COGNOME, Rv. 278683 01; Sez. 6, n. 29150 del 09/05/2017, COGNOME e altri, Rv. 270696 – 01; Sez. 2, n. 26241 del 23/02/2017, COGNOME, Rv. 269958 – 01; Sez. 6, n. 15162 del 19/03/2014, COGNOME, Rv. 258635 – 01; Sez. 6, n. 22811 del 25/05/2011, COGNOME e altri, Rv. 250107 – 01).
3.1. Nella sua elaborazione ermeneutica, la Corte di cassazione, per quel che qui rileva, ha chiarito che, qualora con provvedimento del Capo dell’ufficio,
adottato ai sensi dell’art. 154 disp. att. cod. proc. pen., sia disposta la proroga straordinaria del termine di deposito della motivazione della sentenza, la sospensione dei termini di custodia deve essere recepita dal giudice che procede con apposita ordinanza, suscettibile di gravame; nondimeno, alla luce della formulazione letterale dell’art. 304, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., detto giudice non deve più valutare le condizioni di legittimità della misura, ma solo la concreta necessità della sospensione, al fine di evitare scadenze intempestive.
3.2. Sez. 2, n. 26241 del 2017, cit., ha, al riguardo, condivisibilmente evidenziato come il provvedimento di proroga, emesso dal responsabile dell’ufficio e non dal collegio giudicante, abbia natura giurisdizionale, in ragione dei suoi immediati riflessi nel processo, desumibili dall’incidenza che esso assume sul decorso dei termini per proporre impugnazione, sebbene la sua efficacia sul prolungamento del termine di custodia cautelare, sia pure automatica, in ragione della previsione – priva di contenuto valutativo – di cui all’art. 304, comma 1, lett c), cod. proc. pen., postuli indefettibilmente l’emissione di una successiva ordinanza suscettibile di gravame.
3.3. A tale ultimo riguardo, Sez. 6, n. 15162 del 2014, cit., ha ulteriormente spiegato che l’assenza di una esplicita pronuncia in tema di sospensione dei termini massimi della fase processuale esclude che possa ritenersi operante, quale effetto dell’automatica correlazione tra termine stabilito in dispositivo e termine prorogato, la sospensione disposta in occasione della prima indicazione, poiché essa deve rapportarsi ad una prescrizione definita, e non suscettibile di modificazione potenziale in futuro, che comprenda la possibilità per il giudice estensore di richiedere una proroga del termine inizialmente comunicato.
Rimarca, sul punto, la richiamata pronuncia:
«Diversamente opinando risulterebbe del tutto privo di tutela il diritto di libertà dell’interessato, che verrebbe compresso in misura ulteriore rispetto a quella ordinariamente stabilita dalla legge, sulla base di un provvedimento, di natura giurisdizionale, proveniente da giudice estraneo al processo, che interviene con valutazioni attinenti alle giustificazioni del ritardo, ed all’ampiezza del proroga, su cui sarebbe sottratta all’interessato qualsiasi possibilità di interlocuzione, in difformità a quanto previsto espressamente dall’art. 304, comma 1, cod. proc. pen., in fattispecie in cui gli spazi valutativi delle condizi legittimanti il termine sono, quanto meno, sovrapponibili.
Inoltre, proprio l’espresso richiamo contenuto in tale norma all’ordinanza appellabile, impone che essa debba trovare concreta attuazione, raccordandosi alla disposizione in materia di termini per proporre impugnazione; cosicché si deve escludere che il provvedimento di proroga disposto ex art. 154, comma 4-bis, disp. att. cod. proc. pen. possa manifestare i suoi effetti sui termini di custodia, in vi
automatica, in conseguenza della sua correlazione con l’imposizione del termine di cui all’art. 544, comma 3, cod. proc. pen., che non potrebbero in tal caso che connettersi ad un atto precedente, già a conoscenza delle parti, i cui elementi giustificativi risulterebbero però mutati nel corso del tempo, con l’effetto di rendere insindacabili sia gli elementi giustificativi del secondo atto, costituiti da motivazione sulla base della quale il giudice sollecita, ed il Presidente concede, la proroga, che l’entità dell’ulteriore termine riconosciuto».
L’insindacabilità che deriverebbe da tale interpretazione – conclude Sez. 6 n. 15162 del 2014, cit. – appare contrastante sia con i principi di cui all’art. 111, comma 7, Cost., contenuti anche nelle norme CEDU, per i quali in materia di provvedimenti de libertate deve sempre essere previsto il controllo delle parti, sia con la previsione specifica dell’art. 304, comma 1, cod. proc. pen., che di tale principio costituisce attuazione, nello specifico caso, oltre che con la stessa natura giurisdizionale riconosciuta all’intervento del Presidente dell’ufficio sul punto, il cu contenuto, non veicolato in una valutazione mediata del giudice del processo, verrebbe così sottratto ad ogni nuova analisi di merito.
3.4. Alla stregua di quanto esposto, poiché la sospensione dei termini di custodia cautelare si pone in diretta relazione funzionale con la fissazione di un termine per il deposito della motivazione ai sensi dell’art. 544, comma 3,, cod. proc. pen., si è affermato che l’obbligo di motivazione del provvedimento che la dispone è correttamente assolto – come avvenuto nel caso di specie, non risultando specifiche contestazioni sul punto – con riferimento all’avvenuta proroga del termine di cui all’art. 154, comma 4-bis, disp. att. cod. proc. pen. e ai presupposti legittimanti detto provvedimento (da ultimo, v. Sez. 2, n. 12809 del 2020, cit.).
Incensurabile, in definitiva, appare l’ordinanza impugnata, poiché pienamente conforme al consolidato indirizzo di legittimità richiamato, il che consente di escludere la ravvisabilità di qualsivoglia violazione degli artt. 3 e 111 Cost., quest’ultimo in riferimento all’art. 5 CEDU.
Parimenti corretto è l’approdo cui è pervenuto il giudice di merito nell’escludere qualsiasi “parallelismo” tra la vicenda processuale al vaglio e quella oggetto di valutazione nella sentenza n. 140/2021 della Corte costituzionale.
Con tale pronuncia, il Giudice delle leggi dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 83, comma 9, del decreto-legge 17 marzo 2020 n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per le famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID19), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020 n. 27, nella parte in cui prevedeva la sospensione del corso della prescrizione per il tempo in cui i
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procedimenti penali erano rinviati ai sensi del precedente comma 7, lettera g) e, in ogni caso, non oltre il 30 giugno 2020.
Detto comma 7, lett. g), faceva riferimento alle misure organizzative che i capi degli uffici giudiziari erano facoltizzati ad adottare per contrastare l’emergenza epidemiologica, ivi compresa la previsione del rinvio generalizzato delle udienze a data successiva al 30 giugno 2020 nei procedimenti civili e penali, con le eccezioni indicate al comma 3.
Ciò posto, da una piana lettura della citata pronuncia è agevole desumere la palese differenza, rispetto alla vicenda sottoposta all’odierno vaglio di legittimità, dei presupposti che hanno condotto a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 83, comma 9, d.l. n. 18 del 2020.
La Corte costituzionale, nella sintesi conclusiva della pronuncia n. 140 del 2021, ha, infatti, evidenziato che «la norma attualmente censurata, nel prevedere una fattispecie di sospensione del termine di prescrizione, rinvia a una regola processuale, recante la sospensione del processo, il cui contenuto è definito integralmente dalle misure organizzative del capo dell’ufficio giudiziario, così esibendo un radicale deficit di determinatezza, per legge, della fattispecie, con conseguente lesione del principio di legalità limitatamente alla ricaduta di tale regola sul decorso della prescrizione» (par. 16, ultimo periodo).
Giova ricordare che, con la stessa decisione in commento, il Giudice delle leggi dichiarò, viceversa: a) la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 83, comma 4, del d.l. n. 18 del 2020, sollevate, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7 CEDU; b) la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 83, comma 4, del d.l. n. 18 del 2020, sollevate, in riferimento all’art. 25, secondo comma, Cost., ribadendo, riguardo a quest’ultima statuizione, quanto già in precedenza deciso con sentenza n. 278 del 2020.
Per quel che qui rileva, va rimarcato che, a giudizio della Corte costituzionale, la sospensione del corso della prescrizione di cui all’art. 83, comma 4, cit. non poteva considerarsi illegittima, giacché la causa di sospensione legata all’emergenza epidemiologica era prevista da una norma avente forza di legge, costituita, segnatamente, dall’art. 159, primo comma, cod. pen., laddove prevede che “Il corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge [..1”.
Nel richiamare, sul tema, la precedente decisione n. 270 del 2020, la Corte suddetta ha ribadito la manifesta infondatezza della denunciata violazione dell’art. 25, secondo comma, Cost., rilevando che la sospensione del processo, da cui consegue la sospensione della prescrizione, ai sensi dell’art. 83, comma 4, del d.l.
n. 18 del 2020, è prevista «da una norma che impon una “stasi” del giudizio basata su elementi certi ed oggettivi». Sicché la «riconducibilità della fattispecie in esame alla disciplina di cui all’art. 159, primo comma, cod. pen. esclude che si sia in presenza di un intervento legislativo» in contrasto con il principio di irretroattività della norma penale sostanziale sfavorevole, sancito dall’evocato parametro.
Ha, quindi, conclusivamente affermato «che il principio di legalità è rispettato perché la sospensione del corso della prescrizione, di cui alla disposizione censurata, essendo riconducibile alla fattispecie della “particolare disposizione di legge” di cui al primo comma dell’art. 159 cod. pen., può dirsi essere anteriore alle condotte contestate agli imputati nei giudizi a quibus».
Il Tribunale di Reggio Calabria ha puntualmente rilevato che, diversamente dal caso sotto all’esame del Giudice delle leggi, la proroga di un termine processuale avente natura sostanziale, quale quello di durata massima della custodia cautelare, rappresenta la conseguenza non di un provvedimento amministrativo discrezionale originato da mere “esigenze logistiche d’ufficio”, quanto, piuttosto, da un vero e proprio provvedimento giurisdizionale, così dovendo qualificarsi, per costante giurisprudenza di legittimità, il provvedimento di proroga del termine per il deposito della motivazione, che, sebbene emesso dal capo dell’ufficio e non dal giudice procedente, produce immediati riflessi nel processo, richiedendo, perciò, come già ampiamente chiarito, il successivo “recepirnento” in un’apposita ordinanza emessa dal medesimo giudice procedente, suscettibile di impugnazione e idonea, pertanto, a salvaguardare i diritti costituzionali dell’imputato.
Ineccepibile deve, quindi, ritenersi la conclusione in termini di manifesta infondatezza della questione di costituzionalità sollevata in sede di merito, e oggi riproposta, essendo pienamente rispettata, nel caso di specie, la riserva di legge prevista dall’art. 13 Cost., atteso che la disposizione di cui all’art. 154, comma 4bis, disp. att. cod. proc. pen., in ragione del suo espresso riferimento ai termini previsti dall’art. 544, comma 3, cod. proc. pen., risulta “espressamente integrativa del dettato codicistico” (Sez. 2, n. 20822 del 31/03/2009, Federico, Rv. 243943 01), non essendovi, pertanto, ostacoli ad una ricomprensione dei termini “prorogati” in quelli suscettibili di giustificare la sospensione della durata della custodia cautelare ai sensi dell’art. 304 cod. proc. pen.
Per le esposte considerazioni, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2025
Il Consigliere estensore