Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 27410 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 27410 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ROMA il 22/02/1981
avverso l’ordinanza del 09/01/2025 del TRIB. LIBERTA’ di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME il quale conclude per il rigetto del ricorso.
E’ presente l’avvocato COGNOME NOME del foro di ROMA in difesa di NOMECOGNOME che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.11 Tribunale di Roma, quale giudice dell’appello cautelare, con la ordinanza impugnata ha rigettato la impugnazione proposta da COGNOME Daniele avverso il provvedimento di rigetto parziale emessa dal Tribunale di Roma in data 19/11/2024 con il quale il ricorrente assumeva la intervenuta cessazione, per decorrenza del termine di fase, della misura cautelare disposta nei suoi confronti in relazione alla ipotesi delittuosa di cui all’art.74 dPR 309/90, mentre aveva riconosciuto la perdita di efficacia in relazione alle residue contestazioni (art.73 dPR 309/90).
A tale proposito il giudice cautelare aveva ritenuto che non fosse ancora decorso il termine previsto dall’art.303 comma primo lett.b) n.3 aumentato ai sensi dell’art.303, comma primo lett.b) n.3 bis cod. proc.pen. sul presupposto che residuasse ulteriormente il termine intermedio di sei mesi (fino alla concorrenza di due anni di misura cautelare), da scomputarsi successivamente nel grado di appello.
A fronte della doglianza articolata dalla difesa del COGNOME, secondo la quale sarebbe illegittimo il prolungamento della scadenza di fase della misura cautelare in assenza di un puntuale controllo da parte della autorità giurisdizionale mediante un provvedimento che autorizzasse tale prolungamento e, di conseguenza sulla base di un mero automatismo, prospettandosi sul punto questione di legittimità costituzionale con riferimento agli artt.13, 111, 117 Costituzione e artt.5, 6 e 7 CEDU, il Tribunale dell’appello cautelare ha affermato la univocità della giurisprudenza di legittimità che riconosce carattere automatico a tale aumento, che non necessita di un provvedimento del giudice in quanto fissato dallo stesso legislatore, in ragione del titolo di reato compreso tra quelli previsti dall’art.407, comma 2 lett.a) cod. proc. pen., con possibilità di attingere la capienza, in primo grado, o dalla fase precedente o anche da quella successiva.
Quanto alla questione di legittimità costituzionale ha ritenuto il Tribunale che la stessa risultava già affrontata in termini di manifesta infondatezza, in ragione della speciale gravità dei reati per i quali viene disposto ex lege l’aumento automatico, il che consente di ritenere la ragionevolezza della previsione e dovendo valutarsi caso per caso la congruità della durata del procedimento. Assume poi che nella specie il dibattimento risultava di particolare complessità
per il numero degli imputati e delle imputazioni, nonché della mole istruttoria da compiersi, captativa e dichiarativa.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione la difesa di COGNOME il quale ha articolato un motivo di ricorso con il quale ha dedotto violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art.303 comma 1 lett.b) n.3 bis cod. proc. pen. per contrasto con gli artt.117 Cost. e 5-6 CEDU in relazione alla automaticità dell’aumento del termine di sei mesi in difetto di provvedimento espresso del giudice che procede. Partendo dal presupposto che la disciplina processualistica, sebbene di rango legislativo, non può prevedere ipotesi di limitazioni della libertà personale dell’individuo in assenza di un provvedimento giurisdizionale, propone incidente di costituzionalità con riferimento alla norma processuale di cui all’art.303 comma 1 lett.b) n.3 bis cod.proc.pen., per contrasto con gli artt. 13 comma 1 cpv, 111 commi 1 e 6 e 117 della Costituzione in relazione all’art.6 CEDU, in ragione dell’automatismo imposto dalla norma di prolungamento della misura cautelare condizionata alla mancata utilizzazione in altre fasi o gradi del processo, anche in relazione a quanto enunciato dall’art.5 comma 3 CEDU con riferimento al fatto che la persona privata della libertà personale debba essere giudicata in un termine congruo ovvero liberata nel corso del processo, dovendosi ritenere irragionevole il prolungamento della misura custodiale sulla base di un mero automatismo e per un termine complessivo così rilevante, peraltro non sorretto da profili di prevedibilità per l’internato di interpretazioni contrastanti con quella che emerge dalla giurisprudenza comunitaria sul punto, anche in ragione della rilevanza sul piano nazionale sulla base della norma interposta integratrice dell’art.117 comma 1 Costituzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.
In particolare, secondo costante interpretazione di legittimità, la proroga ex art. 303, comma 1, lett. b, n. 3-bis, cod. proc. pen., non richiede un provvedimento ma è, in presenza di determinati, gravi, reati, individuati dal legislatore, per legge; infatti, «In tema di custodia cautelare, l’aumento fino a sei mesi della fase dibattimentale di primo grado, previsto dall’art. 303 comma primo lett. b), n. 3-bis cod. proc. pen. con riferimento ai delitti di cui all’art. 407 comma secondo lett. a) cod. proc. pen., è automatico, in quanto esplicitamente voluto dal legislatore in ragione della rilevante gravità di una particolare
categoria di delitti; ne consegue che, ai fini dell’operatività di tale aumento, non è necessario alcun provvedimento del giudice» (Sez. 1, n. 3043 del 13/01/2005, Sapia, Rv. 230871; esattamente in termini, più recentemente, Sez. 4, n. 16667 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266527; Sez. 6, n. 15431 del 15/03/2023, COGNOME, Rv. 284588). Il principio è costante e non è mai stato posto in dubbio dalla giurisprudenza di legittimità. Invero, è la ragionevolezza del sistema – è stato spiegato – è assicurata dal meccanismo di “ripartizione” del quantum di aumento, da attribuirsi alla fase precedente (delle indagini), anche solo parzialmente, ove non completamente esaurito e, solo nel caso in cui la fase precedente non sia, per così dire, “capiente”, alla fase successiva (grado di appello), peraltro senza aumento dei termini massimi, che rimangono immutati; mentre nei casi, disciplinati dagli artt. 304 e 305 cod. proc. pen., si verifica in concreto il superamento dei termini massimi previsti dall’art. 308 cod. proc. pen. ed è dunque prevista – ragionevolmente – la impugnabilità del necessario provvedimento di sospensione/proroga. Inoltre, si tratta di una disciplina «che si sottrae alle censure di incostituzionalità in quanto la discrezionalità del legislatore è stata esercitata in modo non arbitrario, ma in presenza di una base fattuale oggettiva, quale la maggiore complessità di definizione dei giudizi per i reati dell’art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen.» (così sub n. 1 del “considerato in diritto”, p. 3, di Sez. 1, n. 32223 del 01/07/2022, COGNOME Luigi, non mass.; nello stesso senso, più diffusamente, cfr. le motivazioni di Sez. 2, n. 29225 del 09/09/2020, COGNOME Giovanni, non mass., sub n. 2 del “considerato in diritto”, p. 3; Sez.4, n.3023 del 6/04/2023, Bekim, n.m. che richiama i suddetti precedenti). Si è infatti ritenuto, con affermazione che merita conferma, che «È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 303 comma primo lettera b) n. 3 bis cod. proc. pen. (il quale prevede che, qualora si proceda per i delitti di cui all’art. 407 comma secondo lettera a) dello stesso codice, i termini di custodia cautelare sono aumentati di sei mesi) per contrasto con gli artt. 13 e 24 della Costituzione, nella parte in cui ricollega detto aumento al semplice “nomen iuris” del reato contestato e non richiede uno specifico provvedimento del giudice, atteso che l’art. 3 della Costituzione garantisce un trattamento uguale in situazioni uguali mentre la disciplina citata è in particolare prevista dal legislatore in relazione alla speciale gravità dei reati (La Corte ha poi precisato, con riferimento all’art. 5 par. 3 della Convenzione sui diritti dell’uomo che garantisce che ogni persona arrestata o detenuta (…) ha diritto ad essere giudicata entro un termine ragionevole oppure posta in libertà – che dai principi convenzionali non può dedursi in via astratta la durata ragionevole del tempo di detenzione preventiva, ma che occorre valutare le circostanze caso per caso)» (Sez. 2, n. 40401 del 24/09/2008, COGNOME Rv. 241863).
2.Consegue dalle considerazioni svolte la statuizione in dispositivo e, per legge (art. 616 cod. proc. pen.), la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali nonché al pagamento di una indennità in favore della Cassa delle Ammende, non ricorrendo ipotesi di esonero per assenza di colpa. La
Cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod.
proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
Ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art., 94, comma
1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2025
Il Consigliere estensore
Il Presiden