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Propaganda razziale: il limite alla libertà d’opinione

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per due soggetti per il reato di propaganda razziale online. La Corte ha stabilito che la diffusione di materiale antisemita e negazionista, anche in forma allusiva, non rientra nella libertà di espressione ma costituisce reato, motivando il diniego di attenuanti per l’assenza di pentimento.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Propaganda Razziale Online: la Cassazione traccia il confine con la Libertà di Espressione

In un’era dominata dalla comunicazione digitale, distinguere tra libera manifestazione del pensiero e incitamento all’odio è una sfida cruciale per l’ordinamento giuridico. Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta direttamente il tema della propaganda razziale online, fornendo chiarimenti essenziali sui limiti della libertà di espressione, specialmente quando si toccano temi sensibili come l’antisemitismo e il negazionismo. Il caso riguarda due individui condannati per aver diffuso attivamente, tramite piattaforme social, materiale inneggiante all’ideologia nazista e fondato sull’odio razziale.

I Fatti di Causa

L’indagine ha origine dal monitoraggio di alcune piattaforme social, che ha portato all’identificazione di due soggetti come membri attivi di un Movimento Nazionalsocialista. Costoro erano impegnati nella diffusione di post dal contenuto palesemente antisemita, discriminatorio e xenofobo. Le successive perquisizioni domiciliari hanno confermato l’attività di propaganda, con il sequestro di volantini, locandine e file digitali inneggianti all’ideologia nazista e alla superiorità della razza bianca. Uno degli imputati era inoltre accusato dell’aggravante di negazionismo per aver pubblicato un post che, in modo allusivo, metteva in dubbio la veridicità storica dell’Olocausto.

I giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, avevano affermato la responsabilità penale degli imputati, riconoscendo la natura propagandistica e la pericolosità del materiale diffuso. La Corte d’Appello aveva parzialmente riformato la prima sentenza, escludendo per uno solo degli imputati l’aggravante del negazionismo, pur confermando l’impianto accusatorio per entrambi. Gli imputati hanno quindi proposto ricorso per cassazione, sostenendo che le loro azioni rientrassero nella legittima libertà di espressione e contestando la sussistenza del reato e delle aggravanti.

La Decisione della Corte di Cassazione e la propaganda razziale

La Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi, confermando la condanna. I giudici hanno stabilito con chiarezza che le condotte degli imputati non potevano essere ricondotte a una legittima manifestazione del pensiero, ma integravano pienamente il reato di propaganda razziale previsto dall’art. 604-bis del codice penale.

La Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni difensive, sottolineando come l’analisi non dovesse basarsi su astratte dichiarazioni di intenti (come lo statuto del movimento di appartenenza), bensì sul contenuto concreto dei materiali diffusi. Questi ultimi sono stati giudicati inequivocabilmente volti a esaltare un’ideologia fondata sul predominio di una razza, violando così i principi fondamentali della convivenza civile tutelati dalla norma incriminatrice.

Le Motivazioni

La sentenza si fonda su tre pilastri argomentativi principali.

Libertà di espressione vs. Propaganda Razziale

Il primo motivo di ricorso, basato sulla presunta violazione della libertà di espressione (art. 10 Convenzione EDU), è stato respinto. La Cassazione ha chiarito che il diritto di esprimere le proprie opinioni, anche quelle che possono offendere o scioccare, non è assoluto. Trova un limite invalicabile nella necessità di proteggere la dignità e i diritti altrui, nonché la sicurezza pubblica. La diffusione di idee che promuovono la superiorità razziale e l’odio non è un’opinione, ma una forma di propaganda che la legge punisce per la sua intrinseca pericolosità sociale. L’interpretazione dei dati processuali da parte dei giudici di merito è stata ritenuta logica e non sindacabile in sede di legittimità.

L’aggravante del Negazionismo

La Corte ha affrontato anche la specifica contestazione sull’aggravante del negazionismo. La difesa sosteneva che il post incriminato fosse non univoco e interpretato forzatamente. I giudici hanno invece affermato che negare o minimizzare un genocidio come l’Olocausto può avvenire anche con forme espressive indirette o allusive. La frase utilizzata dall’imputato, che ironizzava su un futuro ‘vero e documentato olocausto’ per gli alberi, è stata ritenuta avere un chiaro e inequivocabile significato logico di negazione dello sterminio ebraico attraverso una comparazione retorica. Pertanto, rientra pienamente nel cono applicativo dell’aggravante.

Il Diniego delle Attenuanti Generiche

Infine, è stato giudicato infondato anche il motivo relativo al diniego delle circostanze attenuanti generiche. Sebbene gli imputati fossero incensurati, i giudici hanno evidenziato la totale assenza di resipiscenza. Anzi, la loro condotta processuale, volta a rivendicare la ‘bontà’ del proprio operato e a dipingersi come vittime di persecuzioni, ha rappresentato un elemento negativo ulteriore. Questa persistenza nella propria coerenza ideologica, unita alla mancanza di qualsiasi segno di comprensione del disvalore delle proprie azioni, ha correttamente portato i giudici di merito a negare qualsiasi beneficio.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: esiste una linea netta tra l’espressione di un pensiero politico, per quanto radicale, e la propaganda razziale. Quando la comunicazione mira a diffondere idee di superiorità, discriminazione e odio, cessa di essere un diritto e diventa un reato. La decisione sottolinea inoltre che la legge non punisce solo le affermazioni dirette, ma anche quelle subdole e allusive, se il loro scopo è quello di veicolare messaggi di odio e negazionismo. La mancanza di pentimento e la rivendicazione ideologica, infine, sono elementi che il giudice può legittimamente considerare per valutare la personalità dell’imputato e negare la concessione di benefici.

La diffusione di idee discriminatorie sui social media è protetta dalla libertà di espressione?
No. Secondo la sentenza, la diffusione di materiale con contenuti di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale, come nel caso di post antisemiti e xenofobi, non rientra nell’esercizio del diritto alla libera manifestazione del pensiero ma integra il reato di cui all’art. 604-bis cod. pen.

Come viene valutata l’aggravante del negazionismo anche quando espressa in forma allusiva?
La Corte ha stabilito che il negazionismo può essere penalmente rilevante anche se espresso con una costruzione sintattica allusiva o indiretta. Una frase che, attraverso una comparazione, evoca il dubbio sulla veridicità dell’Olocausto ha lo stesso significato logico di una negazione diretta e rientra nell’applicazione dell’aggravante.

Perché sono state negate le circostanze attenuanti generiche agli imputati?
Le attenuanti generiche sono state negate perché, al di là della loro condizione di incensurati, non è emerso alcun elemento positivo. Anzi, la loro condotta processuale, caratterizzata dalla rivendicazione della bontà del proprio operato e dalla prospettazione di essere vittime di complotti, ha dimostrato un’assenza totale di resipiscenza, configurando un elemento negativo nel giudizio sulla loro personalità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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