Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33176 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: NOME COGNOME
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33176 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Data Udienza: 25/06/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME
UP – 25/06/2025
R.G.N. 10050/2025
NOME COGNOME
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a MILANO il 28/07/1990 COGNOME NOME nato a MONZA il 03/12/2002 avverso la sentenza del 19/12/2024 della Corte d’Appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentita la requisitoria del Sost. Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso: sentita la difesa dei ricorrenti avv. NOME COGNOME del foro di Grosseto che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 7 marzo 2024 il GIP del Tribunale di Milano – in rito abbreviato – ha affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione al delitto di cui all’art. 604bis , primo e terzo comma 3, cod. pen., realizzato con le condotte compiutamente descritte nella epigrafe della relativa sentenza. Gli imputati sono stati condannati alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ciascuno.
Le condotte contestate – in estrema sintesi – riguardano l’attività di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale (con diffusione di materiale di esaltazione della ideologia nazista), aggravate dalla negazione dei crimini di genocidio relativi all’olocausto ebraico (per fatti commessi nel mese di aprile del 2021).
Nella decisione di primo grado si compie riferimento alla attività di indagine che ha portato alla formulazione dell’accusa. In particolare, il monitoraggio di alcune piattaforme social ha portato alla identificazione degli imputati come aderenti al Movimento Nazionalsocialista dei Lavoratori (NSAB) e come soggetti attivi nella diffusione di post dal contenuto antisemita, discriminatorio e xenofobo.
Ciò trovava conferma negli esiti di una perquisizione domiciliare effettuata – presso entrambi gli imputati – in data 15 aprile 2021, con sequestro di materiale propagandistico sia cartaceo (volantini e locandine) che elettronico (cartelle di file con gli stessi materiali oggetto di pubblicazione). Del resto, il GIP evidenzia che in sede di memoria difensiva entrambi gli imputati non hanno negato di aver contribuito alla diffusione del materiale rinvenuto, pur
prospettando la carenza di giurisdizione dello Stato italiano.
Quanto al trattamento sanzionatorio, si rappresenta nella decisione di primo grado che gli imputati non appaiono meritevoli delle circostanze attenuanti generiche, anche in ragione dell’assenza di ogni forma di resipiscenza. La pena viene calcolata partendo dal minimo edittale dell’ipotesi aggravata, con diminuzione correlata alla scelta del rito.
La Corte di Appello di Milano con sentenza emessa in data 19 dicembre 2024 ha escluso nei confronti del solo COGNOME Giovanni la ricorrenza della circostanza aggravante del negazionismo di cui all’art. 604bis , terzo comma, cod. pen., con rimodulazione della pena (mesi sei di reclusione); la sentenza di primo grado Ł stata confermata nel resto.
In motivazione, sollecitata dai motivi di appello, la Corte di merito affronta i seguenti punti.
Dopo ampia ricognizione dei temi in diritto, con identificazione della nozione di propaganda e richiamo di pronunzie interne e sovranazionali in tema di rilevanza penale del negazionismo (anche in rapporto all’apparente contrasto con la tutela della libera manifestazione del pensiero) la Corte milanese evidenzia anzitutto la piena natura propagandistica del materiale analizzato e sequestrato e la inerenza piena ad idee discriminatorie (… secondo il Collegio tutte le pubblicazioni sono permeate da un oggettivo sentire discriminatorio sub specie superiorità della razza bianca …), con capacità diffusiva elevata in ragione del mezzo adoperato.
Segue una analisi dei contenuti dei post pubblicati dagli imputati (da pag. 11 a pag.13 della decisione impugnata) cui si può operare rinvio, con sottolineatura del contenuto negazionista di una di dette pubblicazioni, con certezza attribuibile al solo COGNOME (… chissà se in futuro gli alberi avranno diritto a una giornata della memoria per il loro vero e documentato olocausto?. ..) e della messaggistica scambiata tra i due, da cui si desume una piena condivisione dei comportamenti di ciascuno.
Vi Ł pertanto conferma della rilevanza penale delle condotte concretamente tenute dai due, integranti la diffusione dei materiali tramite piattaforme social , che ricadono senza dubbio alcuno nella ipotesi di cui al primo comma dell’art. 604bis cod. pen.
La distinzione tra i due verte proprio sui materiali negazionisti che risultano diffusi dal solo COGNOME. Da qui la esclusione della specifica circostanza aggravante per il COGNOME, pur nella constatazione della generica comunanza di intenti tra i due.
Inoltre, viene respinto il motivo in tema di contrasto tra la incriminazione e il principio costituzionale di libertà della manifestazione del pensiero, in ragione delle limitazioni legittime di tale libertà (anche in riferimento alla giurisprudenza recente della Corte Edu, v. GC COGNOME contro Francia del 15 maggio 2023) imposte dalla necessità di tutela rafforzata di altri valori cui Ł ispirata la civile convivenza.
Sul punto della negazione delle circostanze attenuanti generiche si ribadisce che nessun elemento positivo Ł rinvenibile, al di là della mera incensuratezza. Si conferma, altresì, che dalla condotta processuale Ł emersa la ‘insistita rivendicazione della bontà del proprio operato’ e la ‘prospettazione di persecuzioni e complotti ai propri danni’ il che non Ł una semplice assenza di resipiscenza, ma un quid pluris in punto di negativo giudizio sulla personalità.
Avverso detta sentenza hanno proposto – con unico atto – ricorso per cassazione entrambi gli imputati, sviluppando argomentazioni comuni, ad esclusione della parte in cui si contesta – per il solo COGNOME – l’avvenuta applicazione della aggravante del negazionismo. Il ricorso Ł affidato a tre motivi.
4.1 Al primo motivo si deduce erronea applicazione di legge con riferimento al preteso
contrasto tra la disposizione incriminatrice e la disposizione di cui all’articolo 10 della Convenzione EDU in tema di libertà di espressione, così come interpretato il caso di specie.
La critica non si spinge a contestare la legittimità costituzionale o convenzionale – in quanto tale – della previsione incriminatrice ma riguarda – a ben vedere – la contestazione di assenza di reali contenuti discriminatori nei singoli post pubblicati dagli imputati. Sotto tale profilo sarebbe stato violato – in concreto – il generale diritto soggettivo in tema di libertà di espressione e manifestazione del pensiero.
Inoltre, si rappresenta che lo Statuto del Movimento cui appartengono i due imputati non contiene alcun profilo di esaltazione di idee fondate sulla discriminazione o odio razziale. Si tratta di attività politica realizzata in modo pubblico e trasparente senza riferimenti al razzismo o a forme di violenza di alcun genere. Ciò sarebbe stato già accertato in un precedente procedimento che ha riguardato altri esponenti del Movimento in questione (si citano decisioni di merito e legittimità).
4.2 Al secondo motivo si deducono erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in punto di sussistenza, a carico del COGNOME, della aggravante del negazionismo.
Si afferma che il materiale informativo reperito in formato cartaceo non ha alcuna rilevanza penale e non può servire a colmare vuoti di interpretazione del contenuto dei post. L’unico post dal preteso sapore negazionista non ha in realtà questo significato. Si tratterebbe di un post dal contenuto non univoco, interpretato in modo forzato e illogico dai giudici del merito.
4.3 Al terzo motivo si deduce erronea applicazione di legge in tema di diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Secondo la difesa vi sarebbero piø profili di illegittimità. Il primo Ł quello di non aver preso atto della assoluta incensuratezza di entrambi gli imputati. Il secondo Ł quello di aver «eticamente» rimproverato agli imputati di non aver assunto un atteggiamento di distacco da opinioni che, in realtà, appartengono alla loro sfera di personale e legittimo convincimento politico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati, per le ragioni che seguono.
Il primo motivo appare orientato a segnalare una sorta di disapplicazione – nel caso concreto – della scriminante dell’esercizio del diritto, rappresentato dalla libertà di espressione del proprio pensiero riconosciuta dalla Costituzione e dalla Convenzione Edu. Pare al Collegio di dover in tal modo interpretare il profilo di critica, posto che non viene messa in dubbio la legittimità costituzionale – in quanto tale – della disposizione incriminatrice di cui all’art. 604bis cod. pen., ma ne viene contestata l’applicazione alle condotte degli imputati secondo il seguente schema logico: se i contenuti diffusi non hanno reale contenuto discriminatorio, allora il fatto va ricondotto alla libera manifestazione del pensiero riferibile ad un orientamento politico (in ciò sarebbe stato violato l’art. 10 Conv. Edu).
In tale direzione la difesa cita, a sostegno dell’assunto, il contenuto dello Statuto della organizzazione di appartenenza da cui non si desume – in tesi – un intento di diffusione di idee discriminatorie e/o razziste.
Tuttavia, la critica evita di confrontarsi con la parte della decisione di secondo grado in cui vengono analizzati i contenuti dei singoli post e resta su un profilo di astrattezza e genericità.
I giudici di secondo grado, infatti, hanno avuto cura – al di là dei volantini e dei
contenuti dello Statuto – di richiamare i contenuti oggetto di diffusione tramite post pubblicati, sì da evidenziarne la portata di esaltazione propagandistica di ideologie fondate sul predominio della razza bianca et similia . Si tratta di una interpretazione dei dati processuali non illogica che, dunque, non può formare oggetto di ulteriore sindacato in sede di legittimità. La affermazione di responsabilità si Ł, perciò, basata sull’apprezzamento di condotte concrete, il che rende non assimilabile il giudizio di merito ad altri casi fondati sulla interpretazione di «altre» condotte espressive o dichiarative.
Da ciò deriva che nessun profilo di violazione, in concreto, delle disposizioni convenzionali in tema di libera manifestazione del pensiero può dirsi sussistente.
Il secondo motivo Ł parimenti infondato.
La lettura fornita dalla Corte di merito del post , riportato in parte narrativa, Ł del tutto chiara e non lascia spazio a dubbi di sorta.
Negare o minimizzare gravemente l’episodio storico dell’olocausto e diffondere idee tese alla diffusione di tale pensiero Ł una condotta che può essere realizzata con qualsiasi forma espressiva, non necessariamente declinata con una costruzione sintattica di tipo diretto (ad es. il fatto storico non Ł mai avvenuto, chi lo sostiene dice il falso etc.). Anche una costruzione sintattica allusiva o indiretta come quella utilizzata dal COGNOME, che in occasione della giornata della memoria della Shoah si chiede se in futuro gli alberi ne avranno una ‘loro’, per il loro vero e documentato olocausto, ha il medesimo significato logico (in una comparazione tra il vero e il non vero evocata dalla comunicazione) e rientra, pertanto nel cono applicativo della disposizione incriminatrice.
Quanto al terzo motivo ne va affermata la inammissibilità per manifesta infondatezza. La pena per il COGNOME Ł stata commisurata nel minimo edittale dell’ipotesi aggravata proprio in ragione della condizione di incensuratezza, così come quella del COGNOME Ł particolarmente contenuta. La negazione delle circostanze attenuanti generiche Ł correttamente argomentata in ragione della assenza di fattori positivi – ulteriori – di attenuazione, sul fatto o sulla personalità. Ciò rende non decisivo il riferimento alla persistenza di un atteggiamento di non comprensione da parte degli imputati del reale disvalore del fatto, pur se il riferimento a condotte ‘persecutorie in loro danno’ Ł qualcosa in piø, come precisato dalla Corte di merito – in negativo – rispetto alla semplice rivendicazione di coerenza ideologica.
Al rigetto dei ricorsi segue ex lege la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 25/06/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente
NOME COGNOME
NOME CASA