Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 14728 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14728 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME, nato in Marocco il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del 06-07-2023 della Corte di appello di Torino; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni rassegnate dal AVV_NOTAIO Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. NOME, tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del 6 luglio 2023, con cui la Corte di appello di Torino ha dichiarato inammissibile l’appello proposto nel suo interesse avverso la sentenza di condanna (riferita al reato di cui agli art. 73, comma 5, e 80 comma 1 lett. A cod. proc. pen.) emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Torino il 18 aprile 2023, avendo la Corte territoriale rilevato il mancato deposito da parte del difensore della procura speciale a impugnare rilasciata dopo la pronuncia della sentenza e della contestuale dichiarazione o elezione di domicilio.
Il ricorso è affidato a un unico motivo, con il quale la difesa ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 581, comma 1 quater, cod. proc. pen., in quanto confliggente con gli art. 3, comma 1 e 24 comma 2 Cost., evidenziando che la norma censurata opera un’ingiustificata e irragionevole discriminazione tra soggetti normoinseriti e coloro che, per svariati motivi, connessi comunque alle loro condizioni personali e sociali, non sono in condizione di poter fornire al difensore riferimenti utili ai fini di un loro pronto reperimento, o che comunque diventano di fatto irreperibili; ciò è quanto avvenuto nella vicenda in esame, in cui COGNOME, dopo essere stato tratto in arresto, in sede di convalida ha indicato il suo domicilio di fatto presso il fratello, conferendo al difensore procura speciale per la definizione del procedimento penale mediante riti alternativi.
Dunque, ai fini della predisposizione dell’atto di appello, il difensore si è attivato al fine di reperire l’imputato per fargli sottoscrivere il mandato a impugnare e la domiciliazione, ma senza esito, perché COGNOME era privo di utenza telefonica e il fratello, interpellato, ha riferito che da mesi non ha più notizie del congiunto.
Ciò nonostante, l’imputato era a conoscenza del procedimento penale a suo carico e, conferendo al difensore procura speciale con elezione di domicilio presso il suo studio, aveva chiaramente manifestato la sua volontà di esercitare pienamente il suo diritto di difesa nel procedimento penale a suo carico, diritto indebitamente precluso dalla previsione di cui al citato art. 581 comma 1 quater.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Premesso che nel giudizio di primo grado si è proceduto in assenza di COGNOME, deve rilevarsi che l’impugnata declaratoria di inammissibilità dell’appello è stata correttamente ancorata dalla Corte territoriale al rilievo della mancanza della procura speciale a impugnare e del contestuale deposito della dichiarazione o elezione di domicilio dell’imputato, ciò ai sensi dell’art. 581, comma 1 quater,
cod. proc. pen., norma entrata il 30 dicembre 2022, dunque in epoca antecedente a quella di emissione della sentenza appellata (18 aprile 2023), secondo cui, nel caso di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza, con l’atto d’impugnazione del difensore è depositato, a pena d’inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio.
Il difetto di procura speciale a impugnare e l’omesso deposito della dichiarazione o elezione di domicilio dell’imputato assente connotano peraltro non solo l’atto di appello già dichiarato inammissibile, ma anche l’odierno ricorso per cassazione, che pertanto, alla stregua delle argomentazioni svolte, deve essere anch’esso dichiarato a sua volta inammissibile, con onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso il 16/01/2024