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Processo in assenza: quando è illegittimo?

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che negava la rescissione di un giudicato a un imputato condannato in sua assenza. La Corte ha stabilito che la mancata elezione di domicilio o la scarsa diligenza dell’imputato nel contattare il difensore d’ufficio non sono sufficienti per presumere la conoscenza del procedimento. Per un legittimo processo in assenza, il giudice deve accertare in positivo la conoscenza effettiva della ‘vocatio in ius’ da parte dell’imputato, senza invertire l’onere della prova.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Processo in Assenza: La Cassazione Annulla la Condanna per Mancata Prova della Conoscenza

Il diritto a un giusto processo è uno dei pilastri fondamentali del nostro ordinamento giuridico. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 19158/2024) ribadisce un principio cruciale in materia di processo in assenza: la semplice negligenza dell’imputato non può mai trasformarsi in una presunzione di conoscenza del procedimento a suo carico. Approfondiamo questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Un uomo veniva condannato in primo grado senza mai essere presente in aula. Tutte le notifiche relative al procedimento erano state inviate al suo difensore d’ufficio, con il quale, tuttavia, l’imputato sosteneva di non aver mai avuto alcun contatto professionale. Venuto a conoscenza della condanna solo al momento della notifica dell’ordine di esecuzione, presentava un’istanza per la rescissione del giudicato, chiedendo di fatto di poter celebrare un nuovo processo.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello respingeva la richiesta, ritenendo l’imputato ‘colpevole’ della sua stessa ignoranza. Secondo i giudici di secondo grado, l’uomo era consapevole dell’esistenza di un procedimento a suo carico ma si era deliberatamente sottratto all’onere di eleggere un domicilio o di informarsi, un comportamento che lo rendeva responsabile della mancata conoscenza del processo. In pratica, la sua inerzia veniva interpretata come una scelta volontaria di rimanere all’oscuro.

Le Motivazioni della Cassazione sul Processo in Assenza

La Suprema Corte ha completamente ribaltato questa visione, giudicandola ‘errata in diritto’. Richiamando i principi consolidati, in particolare la fondamentale sentenza a Sezioni Unite ‘Darwish Ismail’, la Corte ha chiarito che non è possibile procedere a un processo in assenza basandosi su mere presunzioni.

Il giudice ha l’obbligo di verificare in modo positivo e concreto che l’imputato abbia avuto effettiva conoscenza della ‘vocatio in ius’ (la chiamata in giudizio) o che si sia volontariamente sottratto ad essa con un comportamento attivo e inequivocabile. La semplice notifica degli atti al difensore d’ufficio, senza che sia provata l’instaurazione di un reale rapporto professionale tra avvocato e assistito, non è sufficiente.

La Corte ha specificato che la mancanza di diligenza dell’imputato – come il non eleggere domicilio o il non cercare il proprio avvocato – non integra automaticamente la ‘volontaria sottrazione’ alla conoscenza del processo. Trasformare una condotta passiva in una presunzione di colpevolezza significa invertire l’onere della prova e tornare a vecchie logiche procedurali, ormai superate, che non garantiscono il diritto di difesa.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza rafforza le garanzie difensive nel processo in assenza. Essa impone ai giudici un dovere di accertamento rigoroso e non meramente formale. Prima di dichiarare l’assenza di un imputato, il tribunale deve raccogliere elementi concreti che dimostrino, senza ombra di dubbio, che egli fosse a conoscenza della data dell’udienza e abbia scelto di non partecipare. La decisione sottolinea che il diritto a partecipare al proprio processo è sacro e non può essere sacrificato sull’altare di presunzioni di colpevolezza basate sulla mera passività o negligenza dell’imputato. La Corte d’Appello dovrà ora riesaminare il caso, applicando correttamente questi fondamentali principi di diritto.

La semplice notifica degli atti al difensore d’ufficio è sufficiente per considerare un imputato a conoscenza del processo?
No. La Corte di Cassazione, richiamando le Sezioni Unite, ha chiarito che non è sufficiente. Il giudice deve verificare che si sia instaurato un effettivo rapporto professionale tra il difensore d’ufficio e l’imputato, tale da garantire che quest’ultimo abbia avuto reale conoscenza del procedimento.

La mancata elezione di domicilio da parte dell’imputato lo rende automaticamente ‘colpevole’ della sua ignoranza sul processo?
No. Secondo la sentenza, la mancata elezione di domicilio o la scarsa diligenza informativa sono circostanze che possono essere valutate, ma non costituiscono di per sé una prova della volontaria sottrazione alla conoscenza del processo né possono fondare una presunzione di conoscenza.

Cosa deve accertare il giudice prima di procedere in assenza?
Il giudice deve accertare in positivo la conoscenza effettiva della ‘vocatio in ius’ (la chiamata in giudizio) da parte dell’imputato. Non può limitarsi a rilevare la regolarità formale delle notifiche, ma deve verificare che l’imputato sia stato messo concretamente in condizione di conoscere il processo, senza invertire l’onere probatorio a suo carico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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