Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 25180 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 25180 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 11/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: HUSSEN TA.IE (ALIAS HUSSEIN TAJE CODICE_FISCALE nato il 01/01/1983
avverso l’ordinanza del 12/12/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette/septeKe le conclusioni del PG L t .L e L e rv t. c otj ‘ (
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RITENUTO IN FATTO
Il ricorrente, a mezzo del proprio difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Roma del 12 dicembre 2024 con cui è stata rigettata la richiesta di rescissione della sentenza resa, in assenza dell’imputato, dal Tribunale della medesima città il 27 aprile 2023 e passata in giudicato il 4 ottobre 2023.
La Corte d’appello ha rigettato la richiesta di rescissione osservando che dall’esame dei verbali di svolgimento delle udienze risultava che il ricorrente, dall’inizio, era sempre stato rappresentato dal difensore di fiducia, avv.to COGNOME il quale aveva dichiarato di non aver mai avuto contatti con l’imputato che, ricercato presso l’associazione indicata come luogo di residenza, non veniva da lui reperito per essersene allontanato per ignota destinazione. Ha evidenziato quindi: che l’imputato parla e conosce la lingua italiana; che era a conoscenza del numero di telefono del difensore da lui nominato; che dal verbale di identificazione risultava essere stato correttamente identificato e informato del procedimento iniziato sulla base della denuncia sporta dalla persona offesa di cui era indicato il nome; che nel verbale risultava specificato che, in ogni caso, avrebbe potuto chiedere ulteriori informazioni accedendo presso gli uffici della Procura di Roma; che aveva facoltà di rimanere assente dal processo a cui aveva diritto di partecipare; che la nomina del difensore di fiducia costituisce indice di sicura conoscenza del processo e che l’imputato non si era attivato per mantenere i rapporti con il professionista e che, quindi, si era volontariamente posto nelle condizioni di non ricevere adeguate notizie del procedimento.
Il difensore di fiducia del ricorrente propone avverso il suddetto provvedimento di rigetto due motivi di ricorso.
3.1. Con il primo motivo lamenta il vizio di motivazione e la violazione della legge processuale. La Corte di appello, si deduce, avrebbe dato erroneamente per presupposta la conoscenza del procedimento da parte dell’imputato in quanto assistito da un difensore di fiducia e, errando, avrebbe ritenuto suff~afmlarela processo, la regolare notificazione della citazione in giudizio al domicilio eletto dall’imputato presso il difensore di fiducia, nonostante l’assenza di alcun contatto con il professionista. Si censura la motivazione anche alla luce della riforma del 2022, in quanto la Corte sarebbe incorsa nella violazione di legge processuale avendo ritenuto, sulla base del previgente testo di cui all’art. 629-bis, comma 1, cod. proc. pen. non più in vigore dal 10 gennaio 2023, addebitabile all’imputato la mancata conoscenza del processo attesa la sua inerzia informativa. legale del
3.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge processuale in relazione al mancato accoglimento della richiesta, subordinata, di restituzione nei termini per l’appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è fondato, restando per l’effetto assorbito il secondo.
Preliminarmente deve affermarsi che nella vicenda che qui ci occupa trova applicazione il nuovo testo dell’art. 629-bis cod. proc. pen. come riformato dall’art. 37, comma 1, d.lgs. n. 150 del 2022 che, come disposto dall’art. 6 di. n. 162 del 2022, è entrato in vigore, in assenza di disposizioni transitorie, il 30 dicembre 2022.
Ed invero, nel caso in esame, la sentenza di primo grado, oggetto di richiesta di rescissione, è stata resa il 27 aprile 2023 ed è divenuta irrevocabile il 4 ottobre 2023 per cui nessun dubbio sussiste in ordine all’applicabilità della nuova disciplina perdendo ogni rilevanza la questione, pur affrontata da questa Corte in altri procedimenti in tema di rescissione del giudicato (Sez. 4, n. 2580 del 19/10/2023, dep. 2024, Dedu, Rv. 285701; Sez. 5, n. 380 del 15/11/2021, deo. 2022, Saban, Rv. 282528), se ai fini dell’individuazione della norma applicabile, in assenza di disposizioni transitorie, debba farsi riferimento al momento della pronuncia della sentenza passata in giudicato o a quello in cui il condannato in “assenza” ha avuto conoscenza della stessa e ha avuto, quindi, la possibilità di esercitare il diritto di impugnazione straordinaria. Nel caso in esame, infatti, a prescindere dalla data in cui il ricorrente riferisce di aver avuto conoscenza della sentenza (19 giugno 2024, data in cui è stato eseguito l’arresto), già al momento in cui è passata in giudicato la sentenza di condanna, era in vigore il testo dell’art. 629-bis cod. proc. pen. come novellato.
Ciò precisato, deve rilevarsi che, a norma della nuova disciplina introdotta con la cd. Riforma Cartabia, a differenza di quanto stabilito in precedenza, il richiedente non ha più l’onere dimostrare l’incolpevole mancata conoscenza del processo, ma è sufficiente ch,e «provi che sia stato dichiarato assente in mancanza dei presupposti previsti dall’articolo 420-bis, e che non abbia potuto proporre impugnazione della sentenza nei termini senza sua colpa, salvo risulti che abbia avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo prima della pronuncia della sentenza».
Orbene, la Corte d’appello ha ritenuto che la mancata conoscenza del procedimento e dei suoi sviluppi fosse attribuibile al ricorrente, il quale, pur avendo nominato un difensore di fiducia, presso il quale aveva eletto domicilio,
non si era poi reso parte diligente al fine di conoscere l’andamento dell’iter procedimentale.
Tale motivazione non è appagante posto che, come reiteratamente affermato da questa Corte (per tutte, Sez. U, n. 28912 del 28/02/2019, COGNOME, Rv. 275716 – 01, in tema di restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale ex art. 175, comma 2, cod. proc. pen e, specificatamente in tema dì rescissione, Sez. 5, n. 19949 del 06/04/2021, COGNOME, Rv. 281256-01; Sez. 6, n. 43140 del 19/09/2019, COGNOME Rv. 277210-01), l’effettiva conoscenza del processo, che legittima il giudizio in assenza, deve essere riferita all’accusa contenuta in un provvedimento formale di vocatio in iudicium e non può essere desunta dalla nomina, in fase di indagini preliminari, di un difensore di fiducia con elezione di domicilio presso il suo studio e la mera regolarità formale delle notifiche (eseguite, nel caso di specie, presso il difensore di fiducia domiciliatario) nessuna influenza esercita sulla conoscenza effettiva del processo.
Orbene, la mera nomina del predetto difensore (a cui è conseguita la pacifica inesistenza, ad initio e per tutta la durata del procedimento, di un effettivo rapporto professionale) e la mancata attivazione dell’allora indagato a mantenere rapporti con lo stesso non sono di per sé sufficienti a ritenere, come ha invece affermato la Corte distrettuale, che la vocatio in iudicium sia stata regolarmente effettuata e la dichiarazione di assenza correttamente pronunziata.
Ed invero, già prima dell’intervento della cd. “Riforma Cartabia”, le Sezioni Unite con la sentenza “Ismail” (Sez. u, n. 23948 del 28/11/2019, Rv. 279420) hanno affermato che «Ai fini della dichiarazione di assenza non può considerarsi presupposto idoneo la sola elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio, da parte dell’indagato, dovendo il giudice, in ogni caso, verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata l’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest’ultimo abbia avuto conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla stessa». Tale volontaria sottrazione, però, deve ricavarsi da condotte positive, rispetto alle quali occorre un accertamento in fatto anche con riferimento al coefficiente psicologico della condotta. Si legge, infatti, a tal proposito, nella motivazione di Sez. U “Ismail” che «L’art. 420-bis cod. proc. pen. non “tipizza” e non consente di tipizzare alcuna condotta particolare che possa ritenersi tale; quindi non possono farsi rientrare automaticamente in tale ambito le situazioni comuni quali la irreperibilità, il domicilio eletto etc. Certamente la manifesta mancanza diligenza informativa, la indicazione di un domicilio falso, pur se apparentemente valido ed altro, potranno essere circostanze valutabili nei casi concreti, ma non possono essere di per sé determinanti, su di un piano solo astratto, per potere affermare
la ricorrenza della “volontaria sottrazione”: se si esaspera il concetto di “mancata diligenza” sino a trasformarla automaticamente in una conclamata volontà di evitare la conoscenza degli atti, ritenendola sufficiente per fare a meno della prova della consapevolezza della vocatio in ius per procedere in assenza, si farebbe una mera operazione di cambio nome e si tornerebbe alle vecchie presunzioni, il che ovviamente è un’operazione non consentita».
A tali presunzioni fa ricorso invece la Corte d’appello là dove afferma «la colpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo non richiede che l’imputato si sia deliberatamente sottratto alla vocatio in iudicium con comportamenti a ciò finalizzati, essendo sufficiente che si sia posto consapevolmente e volontariamente nella condizione di sottrarsi alla conoscenza del processo indipendentemente dai motivi di tale comportamento». Tale affermazione non solo contrasta con quanto già richiesto dalle richiamate Sezioni Unite, ma mal si attaglia al testo riformato dell’art. 629-bis cod. proc. pen. che ha rafforzato ulteriormente quanto già affermato in precedenza dalla giurisprudenza avendo elevato il livello di garanzie per l’imputato assente attraverso la previsione che il processo può svolgersi in assenza quando esistono elementi idonei a dare certezza del fatto che egli è a conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza è dovuta a una sua scelta volontaria e consapevole.
Alla luce delle coordinate ermeneutiche di cui si è detto, risulta dunque evidente, nella vicenda che qui ci occupa, l’erronea valutazione delle circostanze di fatto e dei presupposti legittimanti la celebrazione del processo in assenza in quanto: la nomina del difensore di fiducia è avvenuta non solo in una fase iniziale del procedimento, ancora fluida e non necessariamente destinata a sfociare in un’iniziativa processuale con citazione a giudizio, ma addirittura contestualmente all’esecuzione di un ordine di arresto per altra causa; alla citazione a giudizio, notificata presso il difensore domiciliatario, non ha fatto seguito la partecipazione al giudizio dell’imputato che pacificamente non ha intrattenuto alcun rapporto con il difensore. Nel merito, dunque, non è stata effettuata alcuna verifica in ordine alla certa conoscenza del processo da parte del ricorrente e alla sua inequivoca e non presunta rinuncia a presenziarvi e la Corte di appello, nel ritenere sufficiente la conoscenza legale del processo e non provata l’incolpevole mancata conoscenza del processo da parte dell’imputato, ha eluso il dovere di controllo imposto al giudice della rescissione a cui sono demandati controlli (senza limitazioni nella conduzione dell’accertamento), non solo formali, ma anche sostanziali, sui dati fattuali dai quali desumere la conoscenza della celebrazione del processo. (Sez. U, n. 15498 del 26/11/2020, dep. 2021, Lovric) e non ha considerato in alcun modo quanto anche di recente
precisato da questa Corte (Sez. 6, n. 24729 del 07/03/2024, COGNOME Rv.
286712) là dove ha affermato che la negligenza informativa dell’imputato, che non abbia mantenuto i contatti con il proprio difensore e si sia reso di fatto
irreperibile, non costituisce di per sé prova della volontaria sottrazione alla conoscenza della pendenza del processo, valorizzabile
ex art. 420-bis, comma 3,
cod. proc. pen.
Il difensore, d’altra parte, deve ritenersi abbia assolto all’ “onere di allegazione” che gli compete (Sez. 5, n. 7428 del 18/12/2024, dep. 2025, Frej,
Rv. 287645-01) avendo illustrato delle circostanze di fatto – quali la detenzione, per altro procedimento, iniziata contestualmente al verbale di identificazione e
nomina del difensore essendo stato tratto in arresto, per l’esecuzione di un residuo di pena, lo stesso giorno e nei medesimi locali della redazione del
verbale; la lacunosità di tale ultimo atto che non poteva non permettere al ricorrente, attesa la sovrapposizione con l’esecuzione dell’ordine di arresto, di
comprendere la ragione per cui avrebbe dovuto comunicare con il proprio difensore; la liberazione intervenuta dopo solo due mesi che poteva far ritenere
superfluo coltivare il rapporto con il difensore; la mancata proposizione dell’appello – su cui la Corte d’appello non si è soffermata avendo incentrato sostanzialmente la propria decisione sulla considerazione che la sussistenza del verbale di dichiarazione di nomina e elezione di domicilio presso il difensore.
L’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Roma perché accerti se la mancata conoscenza della vocatio in iudicium sia imputabile a una deliberata scelta del ricorrente di sottrarsi ad essa.
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Roma.
Roma, 11 aprile 2025