Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 30686 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 30686 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
NOME COGNOME, nato in Romania il DATA_NASCITA, contro l’ordinanza della Corte d’appello di Bologna dell’1.3.2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Bologna ha respinto l’istanza proposta nell’interesse di NOME per la rescissione del giudicato relativamente alla sentenza
del Tribunale di Bologna del 26.1.2021, confermata dalla Corte d’appello del capoluogo emiliano divenuta irrevocabile il successivo 20.11.2022;
ricorre per cassazione NOME COGNOME tramite il difensore di fiducia che deduce:
2.1 violazione di legge penale e processuale con riferimento agli artt. 296, 420-bis, 420-quater cod. proc. pen., 24 e 111 Cost. e 6 CEDU: ripercorre /’iter del processo che aveva riguardato la rapina del 7.7.2014 in danno di tale NOME COGNOME e per la quale, in data 25.8.2014, era stato fermato altro soggetto mentre il ricorrente era stato fermato in data 27.8.2014 relativamente, tuttavia, ad una serie di furti ma subito rimesso in libertà a séguito della mancata convalida della misura precautelare e del rigetto richiesta di misura cautelare; segnala che successivamente, in data 14.11.2014, era stata depositata la richiesta di applicazione della misura cautelare seguita dalla adozione, in data 4.12.2014, del provvedimento del GIP in relazione ai capi F), H), L), M), N) e O) della rubrica, solo quest’ultimo concernente i fatti per i quali era intervenuto il fermo di PG poi non convalidato; segnala che, all’esito della adozione del provvedimento, il PM aveva disposto le ricerche del prevenuto che avevano dato esito negativo ed a cui era perciò seguito il decreto di latitanza che, tuttavia, era stato adottato in assenza degli elementi per desumere la volontaria sottrazione del COGNOME alla misura carceraria in quanto l’avvenuta remissione in libertà all’esito della mancata convalida del fermo aveva autorizzato il ricorrente a ritenere la vicenda ormai chiusa risultando perciò arbitrario ritenere che egli si fosse sottratto alla misura essendosi limitato semplicemente a rientrare in Romania ove era facilmente rintracciabile; ribadisce che la volontaria sottrazione alla misura cautelare non può esser desunta dal solo fatto che il catturando non sia stato ritracciato dovendo risultare che egli si è posto volontariamente in condizione di non essere reperito avendo avuto notizia del provvedimento adottato a suo carico; evidenzia che il NOME non ha mai vissuto in Italia dove ha soggiornato per un breve periodo come ospite presso un connazionale; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta concludendo per il rigetto del ricorso: rileva che la nomina di un difensore di fiducia, nonostante la successiva rinuncia di costui, è indice di conoscenza del processo unitamente, nel caso di specie, alla adozione di un decreto di fermo che aveva cristallizzato l’accusa ed aveva comportato la necessaria consapevolezza, in capo al ricorrente, di essere sottoposto ad un procedimento penale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
1. È opportuno, in primo luogo, chiarire come il procedimento abbia ad oggetto la rescissione della sentenza n. 289 del 2021 del Tribunale di Bologna, confermata dalla Corte di appello del capoluogo emiliano in data 7.7.2022, irrevocabile il successivo 20.11.2022, con cui NOME COGNOME era stato condannato in absentia alla pena anni 6 e mesi 8 di reclusione per il delitto di rapina in danno di tale NOME COGNOME.
Il ricorrente aveva infatti lamentato di non aver mai avuto conoscenza della instaurazione del processo esitato nella sentenza sopra indicata atteso che, dopo essere stato fermato nel mese di agosto del 2014 per una serie di furti, era stato rimesso in libertà a seguito della mancata convalida del fermo e del rigetto della richiesta di adozione di misure cautelari per carenza di indizi e, di conseguenza, era tornato in Patria dove sarebbe stato facilmente reperibile anche ai fini della esecuzione della misura custodiale che sarebbe stata emessa soltanto nel mese di novembre del 2014 e per fatti quasi tutti diversi da quelli per cui era intervenuto il fermo (salvo l’episodio di cui al capo O) e per (taluno de)i quali sarebbe intervenuta la condanna della cui rescissione si discute.
In quest’ottica, dunque, la ritualità della dichiarazione di latitanza che era stata pronunciata all’esito delle ricerche susseguenti la adozione della misura custodiale, ha rappresentato una questione in qualche modo “recessiva” e “conseguenziale” rispetto a quella, principale, della mancata conoscenza del processo da valutarsi alla luce dei principi ormai parte del “diritto vivente” e delineati dalle sentenze delle SS.UU. n. 28912 del 28/02/2019, Innaro, Rv. 275716 – 01 e n. 23948 del 28/11/2019, dep. 17/08/2020, NOME COGNOME Rv. 279420 – 01).
2. Si è d’altra parte recentemente chiarito che, ai fini della dichiarazione di assenza ex art. 420-bis cod. proc. pen., nella formulazione antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, non può ritenersi presupposto idoneo la sola corretta dichiarazione dello stato di latitanza che, costituendo un mero indice legale di conoscenza del procedimento, non sostituisce, né elimina l’esigenza di una verifica, in concreto, dell’effettiva conoscenza da parte dell’imputato COGNOME (cfr., COGNOME in COGNOME tal COGNOME senso, COGNOME Sez. 1 , n. 2078 del 12/12/2023, dep. 17/01/2024, COGNOME, Rv. 285717 – 01).
Si è correttamente affermato che “… il profilo costitutivo della condizione di latitanza non è infatti l’irreperibilità, a cui consegue l’impossibilità di notificazion degli atti nelle forme ordinarie, quanto appunto la volontarietà di sottrarsi alle ricerche dell’Autorità funzionali non già alla notificazione di un qualsiasi atto del
procedimento ma all’esecuzione di un provvedimento restrittivo, della cui esistenza o probabile futura emissione il soggetto interessato deve avere consapevolezza” (cfr., dalla motivazione della sentenza “COGNOME” sopra richiamata).
Altrettanto puntualmente si è sostenuto che “alla corretta dichiarazione dello stato di latitanza non segue, però, la validità della citazione a giudizio” in quanto “l’art. 420-bis cod. proc. pen. in tema di procedimento in assenza prevedeva … che si desse a luogo al giudizio in assenza dell’imputato anche quando vi era la prova certa della conoscenza in capo all’imputato del procedimento o che questi si era volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo”.
E, tuttavia, facendo espresso riferimento alle considerazioni sviluppate dalla sentenza “NOME“, si è chiarito che lo stato di latitanza, connotato proprio dall’accertamento della volontarietà della sottrazione alla conoscenza di atti fondamentali del procedimento, legittimava la celebrazione del procedimento in assenza sulla base non già di una presunzione invincibile quanto di un indice legale di conoscenza che non sostituiva né assorbiva l’esigenza di una verifica in concreto della sua effettività.
Le stesse SS.UU. “NOME” avevano d’altra parte e puntualmente sottolineato che “non è in alcun modo sostenibile che gli indici dell’art. 420-bis cod. proc. pen. siano forme di presunzioni reintrodotte surrettiziamente proprio con quella normativa che intendeva superare definitivamente il sistema del processo in contumacia e della estrema valorizzazione del sistema legale delle notifiche” aggiungendo che “… una tale interpretazione non potrebbe mai essere consentita perché in violazione delle disposizioni convenzionali quali interpretate dalla Corte Edu …”.
Con specifico riferimento alla condizione di latitanza, dunque, le Sezioni Unite avevano escluso che essa potesse automaticamente equipararsi alla piena consapevolezza dell’esistenza e del contenuto del procedimento: non a caso, nella motivazione della sentenza, erano state evocate alcune situazioni in cui, la di là del dato formale e di un iniziale “contatto” con il procedimento, non vi era alcun elemento tale da poter fondare una qualche presunzione di conoscenza del processo (cfr., pag. 24 della motivazione, in cui la Corte ha fatto riferimento “… all’ipotesi del soggetto arrestato in flagranza per un qualsiasi reato che riesca a fuggire subito dopo la cattura, prima ancora della formalizzazione dell’attività della polizia giudiziaria e, soprattutto, della presentazione al giudice” spiegando che questa “non è certo una situazione che consenta di ritenere la consapevolezza del processo, essendo, si ripete ancora, escluso che il processo in assenza sia una
forma di sanzione” ed aggiungendo che “… lo stesso vale per la misura cautelare restata ineseguita per irreperibilità dell’indagato”).
Le considerazioni in diritto sin qui sviluppate conducono all’annullamento dell’ordinanza della Corte d’appello di Bologna.
Secondo la Corte d’appello due sarebbero gli elementi significativi dell’effettiva conoscenza del procedimento da parte del COGNOME e della sua volontaria sottrazione al processo: si tratterebbe, in primo luogo, il fermo operato in relazione ad una serie di furti dei quali sarebbe stato giudicato responsabile unitamente al più grave delitto di rapina aggravata in concorso; in secondo luogo, la nomina, in quella fase, di un difensore di fiducia nella persona dell’AVV_NOTAIO del foro di Bologna.
Di qui, secondo i giudici bolognesi, l’onere di tenersi informato sullo sviluppo delle indagini e, di converso, la volontarietà della sua sottrazione al processo.
La Corte ha inoltre condiviso la valutazione di correttezza del decreto di latitanza in quanto “… quando ha abbandonato il territorio italiano l’indagato era a conoscenza di articolate indagini a suo carico, sfociate in un provvedimento di fermo, e ragionevolmente suscettibili, malgrado la mancata convalida della misura precautelare e la mancata applicazione di una misura cautelare, di approfondimenti e di evoluzione di approdare quindi ad un provvedimento di chiusura delle indagini preliminari e ad una richiesta di rinvio a giudizio” (cfr., pag. 3).
Il COGNOME, invece, secondo i giudici bolognesi, si sarebbe disinteressato totalmente della vicenda omettendo anche di tenere contatti con il difensore di fiducia non potendosi, perciò, configurare alcuna incolpevole mancata conoscenza del processo quanto “… un deliberato rifiuto dell’odierno istante di mantenersi aggiornato sull’esito di un procedimento della cui esistenza aveva avuto precisa notizia” (cfr., ancora, ivi, pag. 3).
Ebbene, ribadito il carattere “relativo” degli indici di conoscenza richiamati dall’art. 420-bis, comma secondo, cod. proc. pen. (nella formulazione antecedente l’entrata in vigore del D. Lg.vo 150 del 2022) è sufficiente osservare che, nel caso di specie, il fermo è stato seguito dall’immediata liberazione dell’odierno ricorrente e che, per altro verso, il successivo processo avrebbe avuto ad oggetto fatti e reati pressoché tutti diversi da quelli per i quali era stata adottata la misura precautelare.
In secondo luogo, se è vero che, nell’occasione, il COGNOME aveva nominato un difensore di fiducia, è anche vero che quest’ultimo, come riconosciuto dalla Corte
d’appello, avrebbe successivamente rinunciato; è pacifico, d’altra parte, che, in sede di emissione della misura custodiale – intervenuta nel novembre – al ricorrente venne nominato un difensore di ufficio (cfr., in tal senso, e per l’appunto, la ricostruzione operata a pag. 2 del provvedimento qui impugnato).
Pacifico, dunque, che il NOME non abbia mai ricevuto notifica della vocatio in judicium, rileva il collegio la manifesta illogicità della affermazione secondo cui egli avrebbe avuto l’onere di tenersi informato degli sviluppi del procedimento che aveva portato al fermo: non soltanto, infatti, la mancata convalida della misura precautelare ed il rigetto della richiesta di misura cautelare sarebbero intervenuti per carenza di gravi indizi di colpevolezza, non comprendendosi, pertanto, quale sarebbe stato l’interesse e la “preoccupazione” del ricorrente per il (solo eventuale) sviluppo processuale della vicenda; ma, soprattutto, perché i fatti per i quali era intervenuto il fermo erano pressoché integralmente diversi da quelli per i quali, nel novembre, sarebbe intervenuta la misura custodiale e, infine, la condanna della cui rescissione di discute.
A tal proposito, e per inciso, dalla lettura degli atti risulta che la misura cautelare era stata emessa in relazione ai capi F, H, I, L, M, N, O; che il ricorrente era stato condannato per i capi A, B, D, E, F, G, H, O e, invece, era stato assolto per i capi I, 3, L, M, N; tra queste imputazioni soltanto il capo O era contemplato nel decreto di fermo.
Il provvedimento va dunque annullato, con conseguente rinvio alla Corte d’appello di Bologna per nuovo esame: nell’occasione occorrerà verificare se, al di là della ritualità o meno della adozione del decreto di latitanza, si possa ritenere che il ricorrente si sia volontariamente – e nella consapevolezza dello svolgimento di indagini a suo carico per i fatti per i quali sarebbe stato rinviato a giudizio e condannato – sottratto al processo; se, per altro verso, la nomina di un difensore di ufficio sia stata seguita dalla instaurazione di un reale rapporto professionale con il professionista officiato.
P.Q.M.
annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Bologna.
Così deciso in Roma, il 12.6.2024