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Procedura de plano: quando il giudice non può usarla

Un condannato ha chiesto la revoca della sua sentenza, sostenendo che il reato fosse stato abrogato. Il giudice dell’esecuzione ha respinto la richiesta con una procedura de plano, cioè senza udienza. La Corte di Cassazione ha annullato questa decisione, stabilendo che per questo tipo di istanza è obbligatoria un’udienza in contraddittorio, e che la procedura de plano è ammessa solo in casi limitati, come la dichiarazione di inammissibilità, non per una decisione di merito.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Procedura de plano: i limiti imposti dalla Cassazione al Giudice dell’Esecuzione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22008 del 2025, è intervenuta per tracciare un confine netto sull’utilizzo della procedura de plano da parte del giudice dell’esecuzione. Questo importante chiarimento riafferma il principio fondamentale del contraddittorio, specificando quando un’istanza può essere decisa senza udienza e quando, invece, la presenza delle parti è un requisito imprescindibile. La decisione scaturisce dal ricorso di un condannato, la cui richiesta di revoca della sentenza era stata respinta senza la convocazione di un’udienza formale.

I Fatti del Caso: Istanza di Revoca e Decisione “De Plano”

Un soggetto condannato in via definitiva aveva presentato un’istanza al Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, per ottenere la revoca della propria sentenza. La richiesta si fondava sulla tesi dell’ abolitio criminis, ovvero la presunta abrogazione della norma penale che aveva portato alla sua condanna.

Il Tribunale, anziché fissare un’udienza per discutere la questione, ha deciso direttamente l’istanza, respingendola nel merito con un’ordinanza emessa de plano. Contro questo provvedimento, il condannato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando una chiara violazione di legge: la decisione era stata presa con una procedura semplificata non applicabile al suo caso.

La Procedura de plano e i Principi della Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, cogliendo l’occasione per ribadire la distinzione tra i due riti che governano la fase dell’esecuzione penale.

Il Rito Ordinario (art. 666 c.p.p.)

Questo è il rito principale e residuale. Prevede che il giudice decida dopo aver celebrato un’udienza camerale, garantendo il contraddittorio tra accusa e difesa. L’eccezione a questa regola è la possibilità di emettere un provvedimento de plano solo per dichiarare un’istanza inammissibile (ad esempio, perché presentata senza i requisiti di legge o perché mera ripetizione di una precedente richiesta già rigettata).

Il Rito Speciale (art. 667 c.p.p.)

Questo rito, applicabile solo a materie specificamente elencate dalla legge (come dubbi sull’identità del detenuto, estinzione del reato o della pena, pene accessorie), prevede che il giudice decida sempre de plano. Tuttavia, contro questa decisione, le parti possono proporre opposizione allo stesso giudice, che a quel punto sarà obbligato a fissare un’udienza camerale.

La Corte ha specificato che l’istanza di revoca della sentenza per abolitio criminis, disciplinata dall’art. 673 c.p.p., rientra a pieno titolo nel rito ordinario. Pertanto, il giudice avrebbe dovuto obbligatoriamente fissare un’udienza.

Le Motivazioni della Decisione

Il cuore della motivazione della Cassazione risiede nella constatazione che il giudice di primo grado non si è limitato a dichiarare l’istanza inammissibile, ma l’ha rigettata nel merito. In questo modo, ha esercitato un potere decisionale che la legge, per quel tipo di istanza, riserva a un procedimento in contraddittorio.

La Corte ha sottolineato che emettere un provvedimento di rigetto nel merito equivale a una valutazione approfondita che non può essere compiuta senza aver prima sentito le argomentazioni delle parti. La violazione di questa regola procedurale fondamentale rende l’ordinanza nulla, vizio che può essere rilevato in ogni stato e grado del procedimento, anche d’ufficio.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza impugnata e ha rinviato gli atti al Tribunale per un nuovo giudizio. Il giudice dovrà ora provvedere sull’istanza del condannato, ma solo dopo aver attivato il contraddittorio nelle forme dell’udienza camerale, come previsto dall’art. 666 c.p.p.

Questa sentenza rafforza un principio cardine dello stato di diritto: il diritto alla difesa e al contraddittorio non può essere compresso se non nei casi espressamente e tassativamente previsti dalla legge. La procedura de plano, sebbene utile per la celerità processuale, non può mai trasformarsi in uno strumento per eludere il confronto tra le parti quando si discute del merito di una questione che incide sulla libertà personale.

Il giudice dell’esecuzione può sempre decidere un’istanza senza fissare un’udienza?
No. La sentenza chiarisce che il giudice può decidere “de plano” (senza udienza) solo in casi specifici previsti dalla legge (procedura speciale ex art. 667 c.p.p.) oppure, nella procedura ordinaria, solo per dichiarare un’istanza inammissibile o manifestamente infondata.

Cosa succede se il giudice decide nel merito “de plano” quando era richiesta un’udienza?
Secondo la Corte di Cassazione, l’ordinanza emessa in questo modo è nulla. La violazione delle regole procedurali che garantiscono il contraddittorio tra le parti comporta l’annullamento del provvedimento.

La richiesta di revoca di una sentenza per “abolitio criminis” richiede un’udienza?
Sì. La sentenza conferma che l’istanza di revoca per abrogazione del reato (abolitio criminis), disciplinata dall’art. 673 c.p.p., rientra nella procedura ordinaria dell’esecuzione penale (art. 666 c.p.p.), che prevede come regola generale lo svolgimento di un’udienza camerale in contraddittorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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