Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27180 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27180 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a ROMA il 18/12/1984
avverso l’ordinanza del 05/02/2025 del Giudice per l’udienza preliminare del TRIBUNALE di TIVOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale COGNOME che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 5 febbraio 2025 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli rigettava la richiesta di sospensione del processo ex art. 721 cod. proc. pen. avanzata nell’interesse dell’imputato COGNOME PaoloCOGNOME
Rassegnava che il difensore aveva depositato documentazione attestante che il COGNOME era stato attinto da mandato di arresto europeo, che l’autorità svizzera interpellata aveva comunicato l’assenso del prevenuto all’estradizione semplificata ed autorizzato l’estradizione, precisando che il COGNOME non aveva rinunciato al principio di specialità, che quest’ultimo era stato effettivamente estradato in Italia e che la misura cautelare emessa nei suoi confronti dal
Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ravenna era stata eseguita, che il Tribunale per il riesame aveva sostituito la misura custodiale applicata con quella degli arresti domiciliari, che il difensore dell’imputato aveva dichiarato che quest’ultimo, a seguito della revoca della misura, aveva fatto rientro nella propria città di residenza, all’estero, che diversamente il Pubblico Ministero aveva depositato un documento dal quale risultava che il COGNOME, successivamente alla revoca della misura cautelare, intervenuta il 17 ottobre 2024, era stato fermato, in data 27 gennaio 2025, mentre si trovava ancora in territorio italiano e precisamente nel territorio del comune di Falloppio.
Riteneva che, trattandosi di cittadino italiano residente all’estero e non sottoposto a misura cautelare, a mente dell’art. 721 cod. proc. pen. e della legge n. 69/2025 l’imputato poteva essere sottoposto a procedimento penale diverso da quello per il quale era stata concessa l’estradizione e già pendente, per reati punibili con pene che prevedevano la restrizione della libertà personale, in caso di permanenza nel territorio dello Stato trascorsi quarantacinque giorni dalla sua definitiva scarcerazione o dal rientro nel medesimo territorio, condizioni che nella specie risultavano essersi verificate a tenore dell’annotazione di p.g. agli atti che dava conto del fatto che il COGNOME, nei quarantacinque giorni dall’ordinanza di riesame, era rimasto o comunque era rientrato nel territorio dello Stato in data 27 gennaio 2025.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando un unico motivo di doglianza, con il quale deduceva erronea applicazione degli artt. 721, commi 1 e 2, cod. proc. pen. e 32 della legge n. 69/2005, nella parte in cui era stato ritenuto non applicabile il principio di specialità per essere l’imputato volontariamente rientrato nel territorio dello Stato, una volta cessati gli effetti della misura cautelare applicata nell’ambito di un procedimento penale avente ad oggetto fatti antecedenti e diversi rispetto a quelli per i quali era stato estradato.
Esponeva che con sentenza delle Sezioni Unite del 28 febbraio 2001, Ferrarese, Rv. 218767, la Corte di Cassazione aveva stabilito che la clausola di specialità di cui all’art. 14, comma 1, della Convenzione Europea di Estradizione sottoscritta in data 13 dicembre 1957 costituiva una condizione di procedibilità, la cui mancanza era ostativa all’esercizio dell’azione penale, il cui esercizio, pertanto, risultava inibito per fatti diversi da quelli per i quali l’estradizione e
stata concessa e anteriori alla consegna, salva la ricorrenza di una delle cause di estinzione dell’estradizione previste dal citato art. 14, comma 1 lett. b).
Richiamava, inoltre, un recente arresto della Corte di legittimità a tenore del quale la deroga al principio di specialità, costituita dal mancato allontanamento dal territorio dello Stato di consegna della persona liberata, operava a condizione che la situazione fosse tale da Pr assumere al comportamento dell’imputato un preciso significato di accettazione del procedimento per fatti estranei al provvedimento di estradizione e anteriori alla consegna, condizione che non poteva dirsi verificata nel caso in cui l’imputato fosse stato scarcerato per ritenuta cessazione delle esigenze cautelari ovvero per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare, giacché in tali ipotesi non poteva dirsi che la liberazione avesse avuto carattere definitivo e che la permanenza nel territorio dello Stato fosse stata il frutto di una libera scelta.
Riteneva, conclusivamente, che per ritenere sussistente la deroga al principio di specialità fosse necessaria la prova della stabilizzazione dell’imputato nel territorio dello Stato, e non un mero rientro occasionale nel detto territorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
La Suprema Corte si è espressa più volte in argomento, affermando che, in tema di rapporti giurisdizionali con autorità straniere, costituisce violazione del principio di specialità di cui all’art. 26 della legge 22 aprile 2005, n. 69, il rigetto della richiesta di sospensione dell’ordine di esecuzione di una pena inflitta, con sentenza irrevocabile, per un fatto commesso anteriormente all’estradizione e diverso da quello cui la stessa si riferisce, nei confronti di un soggetto la cui permanenza nel territorio dello Stato, trascorsi quarantacinque giorni dalla scarcerazione per il reato per il quale l’estradizione é stata concessa, non sia frutto di una libera scelta, ma sia determinata dalla necessità di difendersi nel procedimento per il quale é stata chiesta l’estradizione (Sez. 5, n. 17823 del 02/02/2022, COGNOME, Rv. 283103 – 01).
In tal senso si è espressa anche Sez. 1, n. 17159 del 13/01/2022, COGNOME, Rv. 283056 – 01, secondo cui, in tema di estradizione dall’estero, la “purgazione” dell’estradizione, che consegue al permanere dell’estradato sul territorio dello Stato trascorsi quarantacinque giorni dalla sua liberazione o al
suo volontario ritorno, legittima il pieno esercizio del potere giurisdizionale dello Stato procedente, senza che assumano rilevanza gli obblighi del principio di specialità e le garanzie accordate al soggetto consegnato.
In motivazione la Corte ha evidenziato che la “purgazione” dell’estradizione, secondo l’enunciazione normativa (artt. 14, lett. b), della Convenzione europea di estradizione e 721, comma 5, lett. c), cod. proc. pen.), ricorre quando l’estradato, avendone la possibilità, non ha lasciato il territorio dello Stato al quale è stato consegnato trascorsi quarantacinque giorni dalla sua definitiva liberazione oppure, dopo averlo lasciato, vi ha fatto volontariamente ritorno.
La descrizione del fatto che dà luogo alla “purgazione” dell’estradizione di cui sopra rappresenta le, condizionQin cui lo Stato della precedente consegna è svincolato dagli obblighi del principio di specialità e può affermare la sua giurisdizione, senza che la presenza nel proprio territorio di colui che era stato estradato possa più ricollegarsi alla consegna a suo tempo eseguita.
L’avverarsi del fatto specificamente individuato dalla norma, ai fini del ripristino delle regole dell’esercizio della giurisdizione nel territorio dello Stato, viene a separare definitivamente la posizione dell’interessato dalle garanzie accordategli in sede di estradizione.
La descrizione dei presupposti contenuti nella norma assicura in sé la salvaguardia degli interessi in gioco in tale materia, avendosi una precisa perimetrazione delle specifiche condizioni richieste, attraverso il chiaro richiamo alla “possibilità” di allontanarsi e alla contestuale indicazione del requisito della “liberazione” rispetto al procedimento di cui alla precedente estradizione, con l’individuazione di un ulteriore periodo di copertura dovuta al principio di specialità idoneo ad attuare agevolmente l’espatrio, avente in sé gli effetti della sottrazione alla procedibilità per il fatto di cui trattasi, fino al successivo rientro volontario (cioè non dovuto ad altri provvedimenti coercitivi ovvero a ragioni connesse alla necessità d difendersi nel procedimento per il quale era stata chiesta e ottenuta l’estradizione), nello stesso Stato.
Il giudice che procede deve, dunque, verificare dette condizioni unicamente accertando la corrispondenza del dato fattuale a quanto descritto dalla norma, senza che vengano in rilievo profili interpretativi di un’espressione della volontà dell’interessato, di una sorta di consenso tacito, rispetto all’esercizio nei propri confronti dell’azione penale e, pertanto, della giurisdizione per il fatto commesso nel territorio dello Stato della permanenza antecedentemente all’estradizione.
A tanto si è attenuto il Giudice del merito, come risulta dalla lettura del provvedimento impugnato, con riguardo al controllo degli estremi di legge sotto
tutti i profili di cui sopra.
Si deve, infine, osservare, che la difesa non ha allegato alcunché di specifico in merito alla connotazione e alle ragioni della permanenza, o del rientro, del
COGNOME nel territorio dello Stato, e in particolare non ha dedotto che il rientro o la permanenza del ricorrente nel territorio dello Stato fossero stati determinati
dalla necessità di difendersi nel procedimento per il quale era stata chiesta l’estradizione.
2. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile; il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art.
616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186,
e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”,
deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 16/05/2025