Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 10679 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 10679 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MESSINA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 09/11/2023 del TRIBUNALE di MESSINA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
(f!/sentite le conclusioni del PG-3
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Messina, con ordinanza emessa in data 9/11/2023 (N. 1/23 R.G. Ricorsi, N. 223/22 SIGE), ha rigettato l’opposizione proposta da . COGNOME NOME avverso il provvedimento di diniego della richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione il richiedente, a mezzo del difensore, ai sensi dell’art. 99, comma 4, d.P.R. 115/2002.
La difesa lamenta violazione dell’art. 76, comma 4-bis, d.P.R. 115/2002 sotto un duplice profilo.
Il Giudice dell’opposizione, evidenzia nel ricorso, ha ritenuto che tra i reati legittimanti la presunzione relativa del superamento dei limiti di reddito debbano includersi quelli commessi dal richiedente nell’anno 2003, giudicati con sentenza della Corte di appello di Messina del 15/2/2006, irrevocabile il 12/5/2006. In realtà, trattandosi di violazioni riguardanti gli artt. 74, comma 6 e 73, comma 5, d.P.R. 309/90, dette fattispecie non sono ricomprese nel novero dei reati ex art. 76, comma 4-bis, d.P.R. 115/2002. Ne consegue l’erroneità dell’assunto sostenuto dal giudice dell’opposizione secondo cui, ai fini della verifica circa l’assolvimento dell’onus probandi a carico del richiedente, dovrebbe considerarsi l’arco temporale intercorrente tra l’anno 2003 e l’agosto 2014. Il periodo di riferimento, avuto riguardo alla imputazione di cui all’art. 74, comma 1, d.P.R. 309/90, per la quale il COGNOME ha riportato condanna, avrebbe dovuto essere quello compreso tra il novembre 2010 e l’agosto 2014.
Sussiste altresì COGNOME il COGNOME vizio di COGNOME violazione di COGNOME legge con COGNOME riferimento all’argomentazione riguardante la mancata allegazione di concreti elementi di fatto idonei a superare la presunzione di superamento del limite legale reddituale. Ritiene il Tribunale che l’istante abbia prodotto una mera autocertificazione, mentre risulta dall’istanza principale di ammissione al patrocinio a spese dello Stato del 13/10/2022 e dalla memoria integrativa del 18/01/2023, la produzione di certificazioni proveniente da Enti pubblici (RAGIONE_SOCIALE delle Entrate, PRA e Catasto). Il Tribunale non si confronta con la circostanza della condizione detentiva decennale patita dal richiedente, omettendo di vagliare tale aspetto.
Evidenzia, da ultimo, come il ricorrente sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato nell’ambito di altro procedimento (RGT n. 1648/19), sulla base della medesima documentazione reddituale allegata al presente ricorso. Il
provvedimento era stato adottato da altro collegio del Tribunale di Messina, a cui aveva preso parte il giudice relatore che ha disatteso l’istanza qui impugnata.
Preso atto del mancato pervenimento delle conclusioni scritte del P.G., la cui mancanza non osta alla decisione del collegio (cfr. Sez. 2, n. 24629 del 02/07/2020, Rv. 279552).
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di doglianza sono infondati; pertanto, il ricorso deve essere rigettato.
Va intanto ribadito che la presunzione di superamento del reddito, prevista dall’art. 76, comma quarto bis, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dal D.L. n. 92 del 2008, conv. in I. n. 125 del 2008, ha natura relativa e non assoluta, con la conseguenza che, alla luce della sentenza della Corte cost. n. 139 del 2010, è ammessa la prova contraria e spetta, pertanto, al richiedente dimostrare la sussistenza dello stato di non abbienza, con adeguate allegazioni di concreti elementi di fatto, dai quali possa desumersi in modo chiaro ed univoco la sua effettiva situazione economica, che il giudice deve rigorosamente vagliare . Non è tuttavia compito del giudice condurre accertamenti in merito alle condizioni economico-patrimoniali dell’istante, anche ai sensi dell’art. 96, comma terzo, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, qualora il richiedente versi nella condizione prevista dall’art. 76, comma quarto bis, del medesimo d.P.R. e non abbia allegato concreti elementi di fatto, idonei a consentire il superamento della presunzione (cfr. Sez. 4 n. 30499 del 17/06/2014, Rv. 262242).
Inoltre, deve evidenziarsi come l’ordinanza che decida l’opposizione di cui all’art. 99 d.P.R. 115/02 possa essere impugnata con ricorso per cassazione solo per violazione di legge e non per vizio della motivazione, a norma del quarto comma della norma citata.
Deve rilevarsi come il Tribunale, nel valutare i presupposti di applicazione dell’istituto, abbia fatto espresso rinvio a due sentenze di condanna, la prima intervenuta in data 12 maggio 2006, la seconda intervenuta il 5/10/2017 riguardanti la contestazione della fattispecie associativa di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90.
La difesa deduce, sostenendo l’assunto con idonea allegazione, che la prima di tali condanne, la quale ha riguardato il reato di cui all’art. 74, comma 6, d.P.R. 309/90, non determina l’operatività della presunzione stabilita dall’art. 76, comma 4-bis, d.P.R. 115/2002.
Ebbene, il fatto che la sentenza di condanna da ultimo citata abbia avuto riguardo a reati esclusi dal novero di quelli per i quali opera la presunzione di cui si discute non incrina il ragionamento sostenuto dai giudici in sentenza. Il Tribunale, invero, ha posto in evidenza come il richiedente fosse stato raggiunto anche da altra condanna definitiva riguardante il reato di cui all’art. 74, comma 1, d.P.R. 309/90 (dal 2010 con condotta perdurante fino all’agosto 2014). Tale circostanza è da sola sufficiente ad integrare il presupposto di cui all’art. 76, comma 4 bis d.P.R. 115/2002, a mente del quale “Per i soggetti già condannati con sentenza definitiva per i reati di cui agli articoli 416-bis del codice penale, 291-quater del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 80, e 74, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché per i reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, e per i rea commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, ai soli fini del presente decreto, i reddito si ritiene superiore ai limiti previsti”.
Il profilo riguardante il dato temporale posto in evidenza dalla difesa a sostegno della incongruità logica del provvedimento emesso dal Tribunale non ha carattere decisivo nella economia della motivazione. La militanza in associazioni per delinquere finalizzate al commercio degli stupefacenti, pure se limitata al solo periodo 2010-2014 ai fini dell’applicazione della presunzione di cui all’art. 76 TU spese giustizia, è egualmente idonea a sostenere la conclusione a cui perviene il Tribunale secondo cui “il COGNOME ha goduto dei remunerativi proventi di tale attività illecita”, tanto più che, come accertato nella sentenza emessa dalla Corte di appello di Reggio Calabria il 5/10/2017 egli aveva rivestito un ruolo verticistico.
Come già rammentato in precedenza, il ricorso per cassazione ex art. 99, comma 4, d. P. R. 30 maggio 2002, n. 115 è ammesso esclusivamente per violazione di legge. Riguardo alla nozione di violazione di legge, le Sezioni unite, chiamate ad affrontare il tema con riferimento all’analoga previsione normativa di cui all’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., hanno chiarito che in tale nozione rientrano la mancanza assoluta di motivazione e la presenza di una motivazione soltanto apparente. Invero, in tali casi, si realizzerebbe l’inosservanza dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., che impone l’obbligo della motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali (Sez. U., n. 25080 del 28-5-2003, COGNOME, Rv. 224611). Non vi rientra, invece, l’illogicità manifesta, la quale può essere dedotta, nel giudizio di legittimità, soltanto tramite lo specifico e autonomo
motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 cod. proc. pen. (Sez. U., n 2 d 28/1/2004, COGNOME).
Pertanto, ove il ricorso per cassazione sia limitato alla sola violazione di legge, come nel caso in esame, le censure che attengono alla motivazione del provvedimento, vengono in rilievo solo sotto il profilo dell’asseiza di motivazione e della presenza di una motivazione apparente.
Tale ultimo vizio, è ravvisabile allorché la motivazione espressa dal giudice, sia completamente priva dei requisiti minimi di coerenza e di completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito, oppure, nel caso in cui le linee argomentative siano talmente scoordinate, da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento (Sez. U., n.5876 del 28/01/2004 Rv. 226710). In linea con tali principi, si è recentemente affermato come la motivazione apparente sia riconoscibile in provvedimenti nei quali il ragionamento dell giudice è del tutto avulso dalle risultanze processuali o si avvale di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa (così Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014, Rv. 263100).
Alla luce di tale premesse, le ragioni di censura avanzate dalla difesa del ricorrente nel primo motivo di ricorso sono infondate. Invero, ricorre il presupposto applicativo della presunzione di superamento del limite legale reddituale per effetto della condanna irrevocabile intervenuta in data 5/10/2017 a carico del richiedente per il reato di cui all’art. 74, comma 1, d.P.R. 309/90; la conclusione in base alla quale il ricorrente ha goduto, per un apprezzabile lasso di tempo, dei proventi illeciti derivanti dal commercio di stupefacenti, trovandosi al vertice di una organizzazione dedita a tale lucrosa attività, È affermazione non disarticolata dalla esclusione del periodo attinto dalla condanna per il reato di cui all’art. 74, comma 6, dpr 309/90.
Le argomentazioni illustrate nel secondo motivo di ricorso sono generiche: la difesa lamenta che il Tribunale ha errato nel sostenere che il superamento della presunzione si sarebbe sostanziato nella semplice produzione di COGNOME autocertificazione, COGNOME avendo COGNOME il COGNOME richiedente COGNOME allegato COGNOME a COGNOME sostegno dell’autodichiarazione certificazioni provenienti da enti pubblici. Il ricorrente tuttavia, non illustra il significato di tali certificazioni, avversando la decisione termini meramente oppositivi rispetto a quanto sostenuto nel provvedimento.
Escluso che la partecipazione di un componente del collegio all’adozione di altro provvedimento, conclusosi con esito diverso rispetto a quello assunto in questa sede, possa inficiare la validità dell’atto, rimane da considerare l’ultima argomentazione illustrata nel ricorso.
Il fatto che il ricorrente abbia patito il regime di restrizione per lungo tempo, anche in condizione di 41 bis 0.P., non è circostanza efficace ai fini del superamento della presunzione ex art. 76, cornma 4-bis, d.P.R,, 115/2002.
In ordine a tale profilo, il Tribunale, non trascurando di considerare la doglianza difensiva, ha correttamente richiamato consolidato orientamento di legittimità in base al quale lo stato di detenzione, anche in regime di 41 bis, consente egualmente di fare luogo a presunzioni circa il superamento della soglia reddituale (cfr. Sez. 4, n. 38351 del 02/07/2008, COGNOME, Rv. 242121:”In tema di revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, la revoca del provvedimento di sottoposizione al regime carcerario ex art. 41-bis O.P. non esclude, di per sè, la possibilità di desumere, per presunzioni semplici, che il capo di un’associazione di tipo mafioso tragga, anche durante la detenzione, i mezzi di sostentamento proprio e della propria famiglia dalle attività illecite occulte esplicate dalla cosca mafiosa cui appartiene”).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In Roma, così deciso il 20 febbraio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente