Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 6784 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 6784 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/12/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a Milano il 15/06/1987
avverso la sentenza emessa il 29/04/2024 dalla Corte d’Appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procurat Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilit del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 29/04/2024, la Corte d’Appello di Brescia ha parzialmente riformato (dichiarando estinto per intervenuta prescrizione il reato di ome dichiarazione ai fini delle imposte dirette e dell’IVA per l’anno di imposta 2 rideterminando il trattamento sanzionatorio per il residuo reato, revocando sospensioni condizionali precedentemente concesse, e confermando nel resto) la sentenza emessa dal Tribunale di Brescia, in data 03/07/2023, con la quale NOME NOME era stato condannato alla pena di giustizia in relazione al reato continu di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, limitatamente alle dichiarazioni relat
anni di imposta 2012 e 2013, a lui ascritto nella qualità di legale rappres del consorzio RAGIONE_SOCIALE (il Tribunale aveva invece assolto l’imputato dalle residue analoghe imputazi contestate per gli anni di imposta 2010 e 2011).
Ricorre per cassazione il COGNOME a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla rit sussistenza dell’elemento psicologico del reato contestato. Si censura la se per avere ignorato la ricostruzione offerta dal NOME, secondo cui egli era un prestanome del padre, ignaro degli obblighi correlati all’assunzione della car per avere così confermato la condanna in assenza della necessaria indagine dolo specifico, che deve necessariamente sussistere anche in capo alla cd. tes legno.
2.2. Vizio di motivazione sul calcolo operato dall’Agenzia delle Entrate censura il ragionamento “meramente tautologico ed a senso unico” che avev impedito di quantificare la somma evasa in misura inferiore alla soglia di puni
2.3. Violazione di legge con riferimento alla mancata applicazione dell’ 131-bis cod. pen. Si censura il riferimento all’abitualità della condotta, a con riguardo a fatti risalenti nel tempo, e l’irrilevanza in senso ostativo de di punibilità.
2.4. Violazione dì legge e vizio di motivazione con riferimento al trattam sanzionatorío e alla mancata sostituzione della pena detentiva con il lav pubblica utilità. Si censura la misura della pena applicata e la mancata conces della sospensione condizionale, negata per ì soli precedenti a carico considerare gli elementi favorevoli indicati dalla difesa.
Con requisitoria ritualmente trasmessa, il Procuratore Generale solle una declaratoria di inammissibilità del ricorso, per il carattere reiterativo generico delle doglianze formulate in presenza di una “doppia conform congruamente motivata, ed in assenza di travisamenti del rilievo denunciabil caso di conformi decisioni di condanna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo presenta connotazioni reiterative, oltre che priv adeguato confronto con il percorso argomentativo tracciato dalla Corte territor
Quest’ultima ha infatti disatteso il corrispondente motivo di ap evidenziando: che la tesi della totale inconsapevolezza del ricorrente, già r “irrealìstica” dal primo giudice, era stata prospettata solo con una dichia scritta nell’ultima udienza dinanzi al Tribunale, a distanza di dieci anni d
senza che tale ipotesi ricostruttiva fosse stata mai avanzata all’Agenzia delle Entrate nel corso della verifica fiscale; che comunque nessun elemento in atti riscontrava l’assunto del NOME di essere stato un mero prestanome del padre; che la posizione di mero prestanome era stata esclusa anche da una recentissima condanna per lo stesso titolo di reato; che il ricorrente risultava anche essere stato componente del comitato direttivo del consorzio, circostanza ulteriormente indicativa della inconsistenza della tesi difensiva, considerato anche che l’omessa presentazione delle dichiarazioni si era protratta dalla costituzione del consorzio fino al 2013 (cfr. pag. 6 seg. della sentenza impugnata).
Si tratta di un percorso argomentativo del tutto immune da censure qui deducibili, che la difesa si è limitata a contrastare con una mera riproposizione delle doglianze già dedotte e motivatamente disattese.
Il secondo motivo appare totalmente generico, non essendovi stata alcuna effettiva confutazione di quanto osservato dalla Corte d’Appello in ordine al calcolo, operato dall’Agenzia delle Entrate, dei costi e dei ricavi in base alle risultanze del c.d. spesometro (cfr. pag. 7 della sentenza).
Manifestamente infondata è la censura concernente la mancata applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., avendo la Corte territoriale correttamente valorizzato, in punto di abitualità della condotta, sia le due condanne per fatti della stessa specie riportate dal COGNOME, in un caso per la violazione dell’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, nell’altro per lo stesso titolo di reato oggetto dell’odierno giudizio (cfr. pag. 6, cit.), sia anche l’ampiezza del periodo interessato dalle omesse dichiarazioni, a nulla rilevando la declaratoria di intervenuta prescrizione per una parte del periodo medesimo (cfr. pag. 7).
La decisione della Corte d’Appello risulta del tutto in linea con principi del tutto consolidati nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo cui «ai fini del presupposto ostativo alla configurabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen., il comportamento è abituale quando l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame» (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591 – 01): assumendo rilevanza, a tale ultimo proposito, anche «i reati della stessa indole dichiarati prescritti nell’ambito dello stesso procedimento, posto che l’estinzione del reato per prescrizione non elide ogni effetto penale della sentenza» (Sez. 3, n. 32857 del 12/07/2022, COGNOME, Rv. 283486 – 01).
Ad analoghe conclusioni di manifesta infondatezza deve pervenirsi quanto alle censure formulate in ordine al trattamento sanzionatorio.
Va invero evidenziato che la pena base per il residuo anno di imposta è stata determinata nel minimo edittale dell’epoca, con un aumento di un solo mese per la continuazione interna, mentre le doglianze concernenti la sospensione condizionale non si confrontano con le risultanze in atti, comprovante la già avvenuta concessione per due volte del beneficio, ed la necessità della revoca, disposta dalla Corte territoriale (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata).
Quanto poi alla mancata sostituzione della pena detentiva, la difesa ha inammissibilmente riproposto la tesi della meritevolezza del beneficio, a fronte di una compiuta motivazione della Corte d’Appello in ordine alla prognosi sfavorevole desunta dai precedenti specifici, e dall’assenza di concrete allegazioni in ordine alle attuali condizioni dell’odierno ricorrente (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata).
Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibilità del ricorso, e la condanna del DORIA al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che, tenuto conto della causa di inammissibilità, appare equo determinare in Euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 17 dicembre 2024
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Il Presidente