Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 46236 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 46236 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
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NOME COGNOME nato in Bangladesh il 16.4.1986
avverso la sentenza in data 20.9.2023 della Corte di Appello di Milano IL FUNZION PJ visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procur Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvi
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 20.9.2023 la Corte di Appello di Milano ha confermato la penale responsabilità di M . A. per i reati di cui all’art. 572 (capo A) e 609 bis cod. pen., quest’ultimo consistito in più episodi susseguitisi nel med arco temporale compreso tra il gennaio 2018 e il 4 luglio 2019 (capo B), commes ai danni della moglie con lui convivente, con l’aggravante, quanto alla cond del 4.7.2019, di aver commesso il fatto alla presenza della figlia minore, n 9.5.2018, ma, a parziale riforma della condanna inflittagli all’esito del primo di giudizio, ha ridotto la pena a quattro anni e due mesi di reclusione.
2. Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite c’el proprio difensore, ricorso per cassazione articolando un unico motivo incentrato sulla confgurabilità dell’aggravante ex art. 61 n.11 quinquies cod. pen. con il quale contesta, in relazione al vizio di violazione di legge e al vizi motivazionale, che non sia richiesto, così come affermato dalla Corte di appello, dalla norma in esame che il minore sia in grado per il livello di maturità psico-fisica conseguito di comprendere la portata lesiva degli atti commessi in sua presenza, rilevando che il concetto di “presenza” è sempre stato declinato dalla giurisprudenza con riferimento alla percezione dell’atto secondo quanto emerge dalla disamina del parallelo reato di corruzione di minorenni. A tale approdo era pervenuta, chiarisce la difesa, anche la pronuncia n.12328/2017 di questa Corte menzionata nella pronuncia in esame dove l’elemento oggetto della verifica giudiziale da parte del giudice di legittimità era legato alla presenza fisica del minore agli accadimenti criminosi che, secondo tale pronuncia, non costituisce una circostanza necessaria ove il minore, quantunque la scena non si sia svolta sotto i suoi occhi, abbia compreso ed avvertito la portata dell’evento venendo puntualizzato come la percepibilità non sia legata solo al senso della vista. Si osserva, in ciò sostanziandosi il nucleo della devoluta censura, che quel che rileva ai fini dell’applicabilità dell’aggravante è che il minore abbia preso coscienza della realizzazione della condotta delittuosa, essendo nell’intenzione del legislatore, di cui occorre tenere conto nell’interpretazione della norma ai sensi dell’art. 12 delle preleggi, la necessità di salvaguardare l’armonico sviluppo dei minori e le possibili ricadute psicologiche e cognitive derivanti dagli scenari ben poco edificanti ai quali si trovino ad assistere, rischio nel quale non poteva incorrere la figlioletta della coppia che all’epoca del fatto, avvenuto peraltro senza strepiti, né pianti o richieste di aiuto da parte della vittima, aveva appena quattordici mesi CONSIDERATO IN DIRITTO Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il ricorso non può ritenersi meritevole di accoglimento.
Nell’interpretazione della locuzione “alla presenza del minore” costituente il presupposto della contestata aggravante non può prescindersi dalla disamina della complessiva formulazione normativa che prevede, ai fini della sua applicabilità, che “il fatto sia stato commesso in presenza o in danno di un minore di anni diciotto”, secondo la formulazione vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 119/2013, che ha convertito con modificazioni, il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, adottato nell’ambito di iniziative di contrasto alla c.d. violenza di genere o in danno di categorie di soggetti vulnerabili. L’unificazione di due condizioni fra loro del tutto diverse, nell’un caso trattandosi di uno spettatore e nell’altro della vittima di una condotta lesiva della
incolumità ovvero della libertà individuale penalmente rilevante, rende evidente che la volontà del legislatore, nell’alzare la soglia di protezione di soggetti il sviluppo psico fisico sia in piena formazione, è stata quella di parificare, con l’inasprimento della sanzione applicabile, ogni situazione di coinvolgimento del minore all’interno di una condotta delittuosa riconducibile a quelle indicate nella norma in esame in ragione delle possibili ricadute sul suo equilibrio, a tutela della corretta formazione della personalità dell’individuo quando la stessa sia nel percorso di crescita ancora in fieri.
Se è certamente evidente la maggiore riprovevolezza di un’azione delittuosa compiuta nei confronti di un soggetto minorenne in ragione della incisiva lesione arrecata non solo al bene giuridico tutelato quale la vita, l’incolumità personale e la libertà comuni a qualunque individuo, ma altresì alle ricadute della condotta delittuosa all’interno di un percorso evolutivo che gli eventi di cui è vittim concorrono a plasmare, il fatto che a tale condizione sia parificata la sua presenza alle medesime condotte delittuose commesse nei confronti di altri soggetti deve portare l’interprete ad interrogarsi sulla portata, identica dovendo essere la ratio sottesa alla previsione normativa, delle conseguenze che tale condizione è suscettibile di provocare: quesito che induce gioco forza a ritenere che in tal caso la voluntas legis sia stata quella di anticipare la tutela del minore, preservandolo da quello stesso turbamento del suo stato emotivo o da quelle stesse alterazioni del suo sviluppo psichico che, proprio in ragione della sua condizione di occasionale spettatore di scene delittuose compiute ai danni di terzi, possono determinarsi.
Un dirimente contributo all’esegesi del termine “presenza” si rinviene nella sentenza di questa Corte n.12328/2017 in cui, in relazione ad un omicidio avvenuto nella stanza attigua a quella in cui si trovava il minore (nella specie i figlio della donna uccisa dall’agente) e comunicante con il locale in cui era stato commesso il crimine mediante una porta rimasta aperta, è stata ritenuta la configurabilità dell’aggravante in esame per avere il minore, pur non presente fisicamente alla scena del delitto, comunque percepito la sua realizzazione (Sez. 1, Sentenza n. 12328 del 02/03/2017, Gioia, Rv. 269556). Nel pervenire a tale approdo i giudici di legittimità, avvalendosi di criterio ermeneutico di tip sistematico, hanno passato in rassegna le diverse fattispecie delittuose previste dall’ordinamento contemplanti quale elemento costitutivo la “presenza” di un determinato soggetto, rilevando che nel reato di corruzione di minorenni il compimento di atti sessuali da parte di chi agisca nell’intento di farvi assistere un minore costituisce un elemento di fatto attinente alla percepibilità dell’atto, no soltanto attraverso il senso della vista, e che analogamente ai fini della configurazione del delitto di ingiuria, già previsto dall’art. 594 cod. pen., c richiedeva la commissione del fatto in presenza dell’offeso, si era univocamente ritenuto il perfezionamento della fattispecie criminosa, quando ancora penalmente
rilevante, nell’ipotesi in cui la persona offesa, anche se non vista dal soggetto agente, avesse avuto la possibilità di percepire ed avesse effettivamente percepito le espressioni ingiuriose. Da qui la conclusione, rigorosamente coerente con le premesse poste, secondo cui quando il legislatore fa riferimento a condotte criminose reaPzzate “in presenza” di un determinato soggetto, non è necessario che il reato sia commesso sotto gli occhi del medesimo, essendo sufficiente che costui lo percepisca.
Se, quindi, il concetto di presenza deve essere ancorato alla nozione di percezione, allora perde automaticamente di consistenza l’argomentazione della difesa secondo cui è necessario un certo livello di maturità da parte del minore per applicare l’aggravante, al fine di presumere che egli abbia compreso la portata dei fatti delittuosi commessi. Al contrario, è proprio il concetto di percezione, nella su accezione semantica, a coinvolgere tutte le componenti sensoriali, attraverso le quali un individuo, indipendentemente dalla sua età o maturità, è in grado di registrare e interiorizzare gli stimoli esterni che portano, all’assimilazio dell’evento di cui è stato partecipe.
Nulla autorizza a ritenere necessario, così come sostiene il ricorrente, che il minore abbia acquisito consapevolezza del significato di quanto percepito, essendo invece solo la percezione dell’evento la condizione necessaria e sufficiente alla configurabilità della circostanza in esame. Non soltanto, infatti, il termin ‘presenza” rimanda al concetto di partecipazione di natura esclusivamente fisica ad un determinaco accadimento e dunque ben diverso dal piano afferente la sfera razionale, ma, a ben guardare, è proprio il mancato raggiungimento della maturità corrispondente alla piena capacità cognitiva e volitiva fissata dal legislatore a compimento del diciottesimo anno, che esclude, quale che sia l’età del minore, qualsiasi verifica del perfezionamento di un processo di elaborazione legato al dato esperienziale.
La formazione della personalità del fanciullo è, infatti, concetto più complesso rispetto alla fase cognitiva ristretta dal ricorrente alla sfera razionale riferimento al livello di maturità psicofisica raggiunto, involgendo invece ogni stimolo esterno Che ne condizioni la formazione e che non è valutabile ex ante, tenuto conto che, secondo i più recenti studi in materia di psicologia, è proprio nei primi mesi di vita che si plasma la sfera emotiva così come quella cognitiva lato sensu intesa dell’individuo, il quale è sin dalla primissima infanzia esposto, i quanto dotato di un sistema sensoriale pienamente funzionante, ad un afflusso di stimoli e sensazioni che ne determinano ben più rapidamente rispetto alle fasi successive della crescita, il pensiero, il sentimento e la capacità di interrelazio che raggiungono via via livelli crescenti di complessità, sia pur suscettibili estrinsecarsi negli anni a venire.
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Pertanto, anche un minore in tenerissima età, attraverso i suoi sensi, può percepire e assimilare la natura e le conseguenze di un atto delittuoso senza bisogno di una piena comprensione razionale, diventando irrilevante il livello di maturità invocato dalla difesa ai fini della configurabilità dell’aggravante in contestazione. E, non potendo dubitarsi che quanto meno i sensi della vista e dell’udito siano quelli, indipendentemente dall’età, immediatamente attivati, dallo svolgimento di un evento a cui si assista, ne consegue che la circostanza che il minore che abbia visto o sentito il fatto delittuoso, ove si tratti di uno dei rea espressamente previsti dalla norma in disamina, ne determina l’applicabilità.
Conclusione questa a cui si perviene anche considerando l’altro soggetto assimilato al minore nella previsione dell’art. 61 n. 11 quinquies cod. pen., ovverosia la donna in stato di gravidanza, per la quale le finalità di tutela non si esauriscono nella peculiare fragilità emotiva della gestante, ma si estendono anche a quelle del feto nella considerazione, frutto degli sviluppi della letteratura psicologica e scientifica, delle possibili ricadute della condizione emotiva della madre nella vita intrauterina del bambino che porta in grembo.
Del resto, in tale traiettoria risulta essersi già essersi posta questa Corte avendo affermato, in una fattispecie relativa al delitto di maltrattamenti in famiglia posti in essere alla presenza di un bambino di pochi mesi di vita, che non è necessario che il minore, esposto alla percezione della condotta illecita, abbia la maturità psicofisica necessaria per comprendere la portata offensiva o lesiva degli atti commessi in sua presenza, trattandosi di un requisito non fissato dalla norma (Sez. 6, Sentenza n. 55833 del 18/10/2017, Rv. 271670).
Da tale condivisibile rilievo legato al canone dell’interpretazione letterale deriva la risposta alla contestazione articolata dalla difesa in ordine alla violazione dell’art. 12 delle preleggi, dovendosi rilevare che proprio la mancanza di limitazioni riferite dal legislatore al termine “minore” consente di prescindere da verifiche afferenti al grado di sviluppo e di maturità raggiunti che introdurrebbero una variabile in contrasto con l’osservanza delle regole che governano l’imputazione soggettiva delle circostanze aggravanti, le quali ne subordinano l’applicazione, così come previsto dall’art. 59 secondo comma cod. pen., all’accertamento della conoscenza o, quantomeno, della conoscibilità, in capo all’agente, dell’elemento fattuale (in questo caso la percezione del fatto delittuoso ad opera del minorenne) da cui il legislatore fa dipendere l’aggravamento della pena. Al di là di ogni altra considerazione, non potrebbe infatti prescindersi dal rilievo, ove si imboccasse una diversa interpretazione, che la capacità di comprensione razionale da parte del minore non è di per sé legata all’età, potendo le fasi di sviluppo del percorso di crescita variare da individuo ad individuo.
Peraltro, anche sul piano dell’interpretazione teleologica, se la ratio perseguita con l’introduzione dell’aggravante in commento è quella, come già rilevato, non
solo di tutelare i minori contro forme di violenza fisica o psicologica, ma, più in generale, di proteggere l’armonia e la serenità del loro sviluppo, ne consegue che la soglia di salvaguardia debba essere posta sin dalla fase iniziale della vita dell’individuo al fine di impedire alterazioni di tipo psicologico, sociale ed affettiv che l’indebita esposizione ad eventi traumatici può, sia pure nelle incognite del rapporto di causa-effetto, determinare sulle ancor fragili fondamenta di una personalità, il cui processo di formazione comincia già alla sua nascita.
Deve perciò affermarsi ai fini della configurabilità dell’aggravante in esame il seguente principio di diritto: la presenza del minore alla commissione del fatto criminoso comporta, indipendentemente dall’età, dal grado di maturazionle raggiunto o dalla capacità di registrare ed interiorizzare gli eventi, la int? percezione uditiva ovvero visiva di quanto accaduto.
Correttamente, pertanto, la Corte distrettuale ha confermato l’aggravante contestata per essere state le condotte delittuose commesse dall’imputato al cospetto della figlia dell’età di un anno e due mesi, presente nella stessa stanza.
Segue all’esito del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali Così deciso in data 5.6.2024