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Prescrizioni affidamento in prova: sì al lavoro fuori

Un imprenditore in affidamento in prova si è visto negare l’autorizzazione a spostarsi per lavoro in altre regioni. La Corte di Cassazione ha annullato tale diniego, giudicandolo immotivato e contraddittorio. La sentenza sottolinea che le prescrizioni dell’affidamento in prova non possono essere modificate con motivazioni generiche, come il riferimento a una ‘residua pericolosità sociale’, specialmente se in passato un’autorizzazione simile era stata concessa senza problemi. Viene riaffermato il principio secondo cui ogni restrizione deve essere giustificata in modo specifico, nel rispetto del percorso di reinserimento sociale del condannato.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Prescrizioni Affidamento in Prova: Sì al Lavoro Fuori Regione se il Diniego è Immotivato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12235 del 2025, ha stabilito un importante principio in materia di prescrizioni affidamento in prova: il diniego all’autorizzazione di svolgere attività lavorativa fuori regione deve essere fondato su motivazioni concrete e non su generiche formule. Questa decisione chiarisce che il percorso di reinserimento sociale del condannato non può essere ostacolato da provvedimenti contraddittori o privi di una giustificazione specifica, specialmente quando il lavoro rappresenta un elemento cardine della rieducazione.

I Fatti del Caso

Un imprenditore, ammesso alla misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, presentava un’istanza al Magistrato di sorveglianza per essere autorizzato a recarsi periodicamente in altre province. La richiesta era motivata dalla necessità di seguire personalmente alcuni cantieri edili gestiti dalle sue aziende.

Il Magistrato di sorveglianza rigettava l’istanza, richiamando una sua precedente decisione in cui aveva negato un’analoga richiesta a causa della “residua pericolosità sociale” del soggetto, ritenuta incompatibile con un’autonomia di movimento fuori regione. Tuttavia, il ricorrente evidenziava una forte contraddizione: in un’occasione ancora precedente, aveva ottenuto un’autorizzazione simile, rispettando scrupolosamente tutte le prescrizioni. Forte di ciò, impugnava il provvedimento dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando una motivazione insufficiente e la violazione del suo diritto di difesa.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza e rinviando gli atti per un nuovo esame. Gli Ermellini hanno ritenuto che il provvedimento impugnato fosse viziato sia per carenza di motivazione sia per contraddittorietà, violando principi fondamentali dell’esecuzione penale.

Le Motivazioni: Perché il Diniego Era Illegittimo?

La Corte ha basato la sua decisione su due pilastri argomentativi fondamentali, che delineano i limiti del potere del giudice di sorveglianza nel modificare le prescrizioni affidamento in prova.

Motivazione Apparente e Clausola di Stile

In primo luogo, la Cassazione ha censurato la motivazione del provvedimento. Il semplice riferimento a una “residua pericolosità sociale”, senza spiegare perché questa ostacoli specificamente l’attività lavorativa richiesta, è stato qualificato come una mera “clausola di stile”. Una motivazione è solo apparente quando non entra nel merito delle specifiche ragioni che giustificano una decisione restrittiva. Il giudice avrebbe dovuto spiegare concretamente perché l’allontanamento periodico e controllato dalla regione fosse incompatibile con il percorso rieducativo in atto, anziché limitarsi a una formula generica.

Contraddittorietà e Violazione della Progressività Trattamentale

In secondo luogo, la Corte ha rilevato una palese contraddittorietà nella decisione. Il ricorrente aveva già ottenuto in passato un’autorizzazione analoga per motivi di lavoro e non era emersa alcuna criticità. Negare una nuova autorizzazione senza che fossero sopraggiunti elementi negativi è illogico e contrario al principio di progressività trattamentale. Questo principio cardine dell’ordinamento penitenziario stabilisce che il percorso di reinserimento deve essere dinamico e tendere a un graduale ampliamento delle libertà del condannato, premiando i comportamenti positivi. Rifiutare l’autorizzazione al lavoro, elemento essenziale per la risocializzazione, contraddice questa logica evolutiva.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

La sentenza stabilisce che le decisioni che incidono sulle modalità di esecuzione della misura alternativa, e in particolare sulle prescrizioni affidamento in prova, devono essere sempre supportate da una motivazione effettiva, specifica e non contraddittoria. Il giudice non può limitarsi a formule vaghe, ma deve bilanciare le esigenze di controllo sociale con quelle di reinserimento del condannato, valorizzando il lavoro come strumento fondamentale di rieducazione. Un diniego all’autorizzazione di spostamento per motivi lavorativi è legittimo solo se fondato su elementi concreti che dimostrino una reale incompatibilità con le finalità della misura, non su un generico e immotivato richiamo alla pericolosità sociale.

Un giudice può negare a una persona in affidamento in prova di viaggiare per lavoro?
Sì, ma solo se fornisce una motivazione specifica, concreta e non contraddittoria che spieghi perché lo spostamento è incompatibile con le finalità rieducative della misura e con le esigenze di controllo. Non può basarsi su formule generiche come la “residua pericolosità sociale”.

Cosa significa che una motivazione è una “clausola di stile”?
Significa che la motivazione è generica, astratta e non personalizzata sul caso specifico. È una formula standard che non spiega le ragioni concrete della decisione, rendendo il provvedimento di fatto immotivato e quindi illegittimo.

Che cos’è il principio di “progressività trattamentale”?
È il principio secondo cui il percorso di reinserimento sociale di un condannato deve essere graduale e dinamico. Se il soggetto dimostra buona condotta e progressi, le restrizioni a suo carico dovrebbero essere progressivamente allentate per favorire il suo pieno ritorno nella società.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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