Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5665 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 5665 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Novi Ligure il DATA_NASCITA, avverso la sentenza del 14-12-2022 della Corte di appello di Torino; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in relazione all’affermazione della penale responsabilità del d. Igs. n. 74 del 2000, con trasmissione degli atti ai fini della determinazione della pena alla medesima Corte di appello in rispetto al delitto di cui all’art. 10-bis diversa composizione, con inammissibilità del ricorso nel resto.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14 dicembre 2022, la Corte di appello di Torino confermava la decisione del 15 settembre 2020, con cui il Tribunale di Alessandria aveva condannato NOME COGNOME, con i doppi benefici di legge, alla pena di mesi 5 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole dei delitti di cui agl art. 10-bis e 10-ter del d. Igs. n. 74 del 2000; fatti commessi in Alessandria rispettivamente il 21 settembre 2015 e il 28 dicembre 2015. Veniva altresì confermata la statuizione del primo giudice, con cui, ai sensi dell’art. 12-bis del d. Igs. n. 74 del 2000, era stata disposta la confisca dei beni nella disponibilit dell’imputato, sino alla concorrenza dell’importo di 518.097,69 euro.
Avverso la sentenza della Corte di appello piemontese, COGNOMECOGNOME COGNOME vvs-0il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, solleva a due motivi. GLYPH Ì
Con il primo, la difesa contesta la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato in ordine al reato ex art. 10-bis del d. Igs. n. 74 del 2000; dopo aver ripercorso l’evoluzione normativa e giurisprudenziale della fattispecie, fino alla sentenza della Corte costituzionale n. 175 del 2022, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, in relazio all’omesso versamento delle ritenute risultanti dalla mera dichiarazione, la difesa evidenzia che il regime applicabile ai fatti contestati è quello anteriore all’entra in vigore del d. Igs. n. 158 del 2015, per cui il reato non poteva essere ritenuto configurabile in base all’esistenza della sola dichiarazione, non risultando che sia stato mai effettuato dai competenti organi giurisdizionali alcun accertamento in ordine alla sussistenza di certificazioni rilasciate dall’imputato quale sostituto imposta, dovendosi in ogni caso ritenere che, a seguito dell’intervento della Consulta i il fatto accertato nei confronti di COGNOME non ha più rilievo penale, atteso che il mancato versamento delle ritenute risultanti dalla dichiarazione, ma delle quali non c’è prova del rilascio delle relative certificazioni ai sosti costituisce illeciti amministrativo tributario.
Di qui la richiesta di annullare senza rinvio la sentenza impugnata in ordine a tale capo e, di conseguenza, la confisca disposta in relazione al profitto del reato de quo, per l’importo di 179.529,69 euro.
Con il secondo motivo, è stato censurato il giudizio sulla sussistenza del reato di cui all’art. 10-ter del d. Igs. n. 74 del 2000, non avendo i giudici di merito tenuto conto del fatto che la società amministrata da RAGIONE_SOCIALE aveva sofferto incolpevolmente la perdita di 400.000 euro di mancati incassi, di cui circa 270.000 euro derivanti da inadempimenti e mancati pagamenti da parte di Pubbliche Amministrazioni (in particolare i Comuni di Alessandria e Rapallo), avendo inoltre l’imputato continuato a pagare i dipendenti e i fornitori,
modificando addirittura la forma societaria della sua impresa da RAGIONE_SOCIALE per assumere direttamente sulla sua persona le obbligazioni societarie, per cui in capo al ricorrente doveva essere escluso l’elemento soggettivo del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato, mentre è fondato il primo motivo di ricorso, il cui accoglimento imporrebbe l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, tuttavia, avuto riguardo al tempus commisi delicti, il reato cui si riferisce la doglianza, ossia quello di cui all’art. 10-bis del d. Igs. n. 74 del 2000, deve essere dichiarat estinto per prescrizione, con conseguente eliminazione della relativa pena e della confisca della somma di euro 179.529,69 costituente il profitto del reato.
Iniziando dal secondo motivo di ricorso, deve ritenersi che la conferma da parte della Corte di appello dell’affermazione della responsabilità penale dell’imputato operata dal primo giudice in ordine al reato ex art. 10-ter del d. Igs. n. 74 del 2000 non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede.
Occorre in primo luogo evidenziare che non è in discussione la componente oggettiva del fatto contestato, essendo pacifico che COGNOME, quale legale rappresentante della società “RAGIONE_SOCIALE“, ha omesso di versare l’iva dovuta, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta 2014, ovvero entro il 28 dicembre 2015, per un ammontare di euro 338.568.
Il tema controverso riguarda piuttosto l’asserita scusabilità della condotta omissiva che, secondo la prospettazione difensiva, sarebbe dipesa da circostanze indipendenti dalla volontà dell’imputato, ossia dal fatto che la società amministrata da RAGIONE_SOCIALE aveva sofferto incolpevolmente la perdita di 400.000 euro di mancati incassi, di cui circa 270.000 euro derivanti da inadempimenti e mancati pagamenti da parte di Pubbliche Amministrazioni, avendo comunque l’imputato, nonostante la grave crisi di liquidità, continuato a pagare i dipendenti e i fornitori, modificando la forma societaria della sua impresa da RAGIONE_SOCIALE per assumere direttamente sulla sua persona le obbligazioni societarie.
La questione circa la rilevanza della crisi economica della società è stata tuttavia già adeguatamente affrontata dalla Corte di appello, che nel richiamare e nello sviluppare le pertinenti considerazioni già espresse dal Tribunale, si è posta in sintonia con la consolidata affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 23796 del 21/03/2019, Rv. 275967, Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Rv. 263128 e Sez. 3, n. 20266 dell’8/4/2014, Rv. 259190), secondo cui l’imputato può invocare l’assoluta impossibilità di adempiere il debito erariale, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere
gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a l medesimo della crisi economica che ha investito l’azienda, sia l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità COGNOME il ricorso a misure idon da valutarsi in concreto, occorrendo in definitiva la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirett a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili, essendosi altresì precisato (cfr. Sez. 3, n. 6506 del 24/09/2019, dep. 2020, Rv. 278909) che, in tema di reati tributari, l’omesso versamento dell’iva dipeso dal mancato incasso per inadempimento contrattuale dei propri clienti non esclude la sussistenza del dolo richiesto dall’art. EY·ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, atteso che l’obbligo del predetto versamento prescinde dall’effettiva riscossione delle relative somme e che il mancato adempimento del debitore è riconducibile all’ordinario rischio di impresa, evitabile anche con il ricorso alle procedure di storno dai ricavi dei corrispettivi non riscossi.
1.1. Alla luce di tale premessa, devono escludersi le lacune argomentative dedotte dalla difesa, avendo i giudici di merito (pag. 5 della decisione di primo grado, pag. 3-4 della sentenza impugnata) escluso la configurabilità di una situazione di effettiva impossibilità rispetto al mancato versamento dell’Iva, evidenziando che la risalenza di alcuni crediti (anni 2010-2011), a fronte dell’anno di imposta cui si riferisce l’omesso versamento dell’iva (2014), prova che la crisi aziendale non fu improvvisa e imprevedibile e che, ciononostante, COGNOME non si è adeguatamente attivato per garantire il soddisfacimento dei debiti tributari, neppure a seguito della notifica delle relative cartelle esattoria Quanto alle perdite economiche, peraltro, non sono state illustrate le iniziative assunte per recuperare i crediti vantati nei confronti sia dei privati che della PRAGIONE_SOCIALE. Né risulta che l’imputato abbia tentato di ricorrere a forme di sostegno bancario per procurarsi le somme da destinare all’Erario, o abbia attivato procedure di storno o accantonamento dell’Iva, o abbia cercato di sacrificare il proprio patrimonio personale, non essendo a tale fine dirimente il mero dato formale, peraltro genericamente addotto, del mutamento giuridico della forma societaria. Ne consegue che, a fronte di argomentazioni non manifestamente illogiche, non vi è spazio per l’accoglimento delle censure difensive, che invero sollecitano differenti apprezzamenti di merito che esulano dal perimetro del giudizio di legittimità (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601).
Di qui l’inammissibilità del motivo di ricorso, dovendosi solo aggiungere che, al momento della sentenza impugnata (14 dicembre 2022), non era maturata la prescrizione (pari a 7 anni e 6 mesi) del reato, risalente al 28 dicembre 2015, mentre non assume rilievo la circostanza che la prescrizione sia intervenuta in epoca successiva alla emissione della pronuncia oggetto di ricorso, essendo la declaratoria di estinzione del reato comunque impedita dal rilievo della manifesta infondatezza della doglianza sollevata, non consentendo l’inammissibilità originaria dei ricorsi per cassazione la valida instaurazione dell’ulteriore fase d impugnazione (cfr. ex multis, Sez. 7, ord. n. 6935 del 17/04/2015, Rv. 266172).
2. Il primo motivo di ricorso è invece meritevole di accoglimento. Ed invero, quanto al reato di cui all’art. 10-bis del d. Igs. n. 74 del 2000, occorre rilevare che con la sentenza n. 175 del 14 luglio 2022 (antecedente alla pronuncia impugnata), la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale sia dell’art. 7, comma 1, lettera b) / d l decreto legislativo n. 158 del 2015 (“Revisione del sistema sanzionatorio in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014 n. 23”), nella parte in cui ha inserito le parole “dovute sulla base della stessa dichiarazione o” nel testo dell’art. 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74, sia dello stesso art. 10-bis del d. Igs. n. 74 del 2000, limitatamente alle parole “dovute sulla base della stessa dichiarazione o”. Le conclusioni alle quali è pervenuta la Consulta si sono basate sull’accoglimento dei profili di censura della norma messi in evidenza nell’ordinanza di rimessione sollevata dal Tribunale di Monza, con particolare riguardo alla violazione dell’art. 2; comma 2 1 della Costituzione, sotto il profilo dell’eccesso di delega. A tal proposito, infatti, l’art. 8 della legge delega n. 23 2014, rubricato “Revisione del sistema sanzionatorio”, aveva delegato il Governo a “procedere alla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario secondo criteri di predeterminazione e proporzionalità rispetto alla gravità de comportamenti, prevedendo altresì la possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative”. Il legislatore delegato tuttavia, esorbitando dal perimetro indicato dalla legge delega, come ha osservato il giudice rimettente, le cui obiezioni sono state recepite dalla Corte costituzionale, se da un lato ha ridotto l’ambito applicativo della norma innalzando la soglia di punibilità delle condotte penalmente rilevanti, dall’altr lato, ha introdotto una nuova fattispecie penale costituita dall’omesso versamento delle ritenute dovute sulla scorta della dichiarazione presentata e a prescindere dal rilascio delle certificazioni ai sostituiti. Nel premettere che delega consentiva sì la configurazione di fattispecie penali, ma con riferimento a condotte tipiche di particolare gravità, la Consulta ha ribadito che la condotta di chi non versa le ritenute indicate nella relativa dichiarazione come sostituto Corte di Cassazione – copia non ufficiale
d’imposta, al momento della delega, non costituiva reato, ma illecito amministrativo tributario, mentre solo in passato, ovvero fino alla riforma del 2000, è stata punita come reato contravvenzionale, dovendosi in tal senso escludere che si sia in presenza di «comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione falsa», come indicato nella legge delega (art. 8, comma 1, della legge n. 23 del 2014). Scostandosi da tale linea direttiva, il legislatore delegato ha invece introdotto nell’art. 10-bis una nuova fattispecie penale (omesso versamento di ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione del sostituto), affiancandola a quella già esistente (omesso versamento di ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti), s essere in ciò autorizzato a farlo dalla legge di delega, mentre sarebbe stato necessario un criterio preciso e definito per poter essere rispettoso anche del principio di stretta legalità in materia penale. Di qui la declaratoria incostituzionalità nei termini descritti, che ha sostanzialmente “sterilizzato” l modifica della norma incriminatrice introdotta con il d. Igs. n. 158 del 2015 che, oltre a innalzare la soglia di punibilità da euro 50.000 a euro 150.000, aveva previsto la possibilità di ricavare la prova dell’avvenuta consumazione del reato anche sulla base di quanto risultasse dalla mera dichiarazione del sostituto d’imposta (c.d. NUMERO_DOCUMENTO), per cui ora l’integrazione della fattispecie penale ex art. 10-bis richiede che il mancato versamento da parte del sostituto, per un importo superiore alla soglia di punibilità, riguardi le ritenute certificate, ment il mancato versamento delle ritenute risultanti dalla dichiarazione, ma di cui non c’è prova del rilascio delle relative certificazioni ai sostituiti, costituisce i amministrativo tributario.
Sono quindi tornati attuali, non più solo per i fatti pregressi al d. Igs. n. 158 2015, ma anche per i fatti ad esso successivi, i criteri interpretativi elabora dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 24782 del 22/03/2018, Rv. 272801, secondo cui, in tema di omesso versamento di ritenute certificate, ai fini della prova del rilascio al sostituito delle certificazioni attestanti le ritenute oper non è sufficiente la sola acquisizione della dichiarazione NUMERO_DOCUMENTO, dovendosi cioè comprovare aliunde il rilascio delle predette certificazioni, nel solco delle indicazioni ermeneutiche fornite dalla pronuncia delle Sezioni Unite, oltre che dalla giurisprudenza successiva (cfr. Sez. 3, n. 13610 del 14/02/2019, Rv. 275901-02 e Sez. 3, n. 25987 del 13/07/2020, Rv. 279743).
Alla luce di tali considerazioni, la sentenza impugnata dovrebbe essere annullata con rinvio, al fine di verificare l’eventuale configurabilità del reato contestato.
Tuttavia, deve prendersi atto che, nelle more, è decorsa la prescrizione del reato, risalente al 21 settembre 2015, essendo maturata la causa estintiva il 21 marzo 2023, per cui l’annullamento per il reato de quo va operato senza rinvio.
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2.1. Alla declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di cui 10-bis del d. Igs. n. 74 del 2000, consegue l’eliminazione sia della corrispondente a tale reato, quantificata in un mese di reclusione ai dell’art. 81 cod. pen., sia della confisca della somma costituente il prof delitto in esame, ossia euro 179.529,69, residuando solo la pena e la con applicate con riferimento al reato di cui all’art. 10-ter del d Igs. n. 74 del 2000.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al reato di cui al 10 bis del d. Igs. n. 74 del 2000, perché estinto per prescrizione ed elimi relativa pena di mesi 1 di reclusione. Elimina altresì la confisca della so euro 179.529,69 costituente il profitto del reato. Dichiara inammissibile il nel resto.
Così deciso il 25/10/2023