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Preclusione processuale: ricorso respinto

Un uomo condannato per ricettazione chiede la revoca della sentenza. La sua istanza viene rigettata. Ne presenta una nuova, che il giudice dichiara inammissibile. La Cassazione conferma: vige la preclusione processuale se la questione, anche se non decisa, era già stata sollevata nella prima istanza.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Preclusione Processuale: Quando una Richiesta Già Respinta Non Può Essere Riproprosta

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 32490/2025 offre un’importante lezione sul principio di preclusione processuale nella fase di esecuzione penale. Questo principio, noto anche come ne bis in idem procedurale, stabilisce che una volta che un giudice si è pronunciato su una richiesta, non è possibile riproporre la stessa istanza basandosi sui medesimi elementi. La vicenda analizzata chiarisce i confini di questa regola, anche quando il giudice omette di rispondere a un argomento specifico.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da una condanna del 1996, divenuta definitiva nel 1997, per due reati: detenzione di videocassette prive del contrassegno SIAE e ricettazione delle stesse. Nel 2024, la difesa del condannato presenta un’istanza al giudice dell’esecuzione per chiedere la revoca della sentenza per abolitio criminis (decriminalizzazione) di entrambi i reati.

Con una prima ordinanza del febbraio 2025, il giudice accoglie la richiesta per il reato di detenzione ma la respinge per la ricettazione. Questa decisione non viene impugnata dalla difesa e diventa, quindi, definitiva.

Due mesi dopo, nell’aprile 2025, la difesa presenta una nuova istanza, qualificandola come ‘riproposizione’, chiedendo nuovamente la revoca della condanna per ricettazione, ma basandosi su un argomento giuridico differente e specifico (la depenalizzazione introdotta dalla Legge 248/2000), che era stato solo accennato in via subordinata nella prima istanza. Il giudice dell’esecuzione dichiara questa seconda istanza inammissibile, considerandola una mera riproposizione di una richiesta già rigettata. Contro questa decisione, la difesa ricorre in Cassazione.

La Questione Giuridica e la Preclusione Processuale

Il cuore della controversia ruota attorno all’articolo 666, comma 2, del codice di procedura penale, che sancisce l’inammissibilità di un incidente di esecuzione se costituisce la ‘mera riproposizione di una richiesta già rigettata o comunque decisa’.

La difesa sosteneva che la seconda istanza non fosse una ‘mera riproposizione’ perché si fondava su una questione giuridica (l’effetto della L. 248/2000) sulla quale il primo giudice aveva completamente omesso di pronunciarsi. Secondo il ricorrente, tale omissione rendeva la questione ‘nuova’ e, quindi, ammissibile per una nuova valutazione.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha sposato una linea interpretativa molto più rigorosa, riaffermando la solidità del principio di preclusione processuale.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. Le motivazioni si basano su un’interpretazione chiara e consolidata del principio di ne bis in idem applicato alla fase esecutiva.

Il punto centrale della decisione è che la preclusione non riguarda solo le questioni esplicitamente decise, ma si estende a tutte le questioni ‘dedotte’, ovvero tutte quelle che sono state sottoposte all’attenzione del giudice nel primo procedimento. Nel caso di specie, la questione relativa alla Legge 248/2000 era già stata sollevata, seppur in via subordinata, nella prima istanza.

La Corte ha chiarito che l’omessa pronuncia del giudice su uno specifico punto non rende la questione ‘nuova’. Al contrario, tale silenzio equivale a un diniego implicito. Di fronte a un rigetto, anche implicito, la parte ha l’onere di impugnare quella decisione nei modi e nei termini previsti dalla legge. Non facendolo, la decisione (compresa la parte implicita) diventa definitiva e coperta da preclusione.

In altre parole, la strategia corretta per la difesa sarebbe stata quella di impugnare la prima ordinanza del febbraio 2025, lamentando il vizio di omessa motivazione sul punto specifico. Tentare di ‘aggirare’ la mancata impugnazione presentando una nuova istanza con gli stessi argomenti è una pratica proceduralmente scorretta, che vanificherebbe i principi di efficienza e ragionevole durata del processo.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: nel procedimento di esecuzione, le parti hanno l’onere di presentare tutte le loro argomentazioni in modo completo fin dalla prima istanza. Se il giudice omette di pronunciarsi su un punto o rigetta la richiesta, l’unica via percorribile è l’impugnazione. La mancata impugnazione cristallizza la decisione, impedendo che le stesse questioni possano essere riproposte in un secondo momento, anche se mascherate da una presunta ‘novità’. Questa decisione serve da monito sull’importanza della diligenza processuale e sulla necessità di utilizzare correttamente gli strumenti di impugnazione previsti dall’ordinamento per non incorrere nell’insuperabile ostacolo della preclusione.

Che cos’è la preclusione processuale in un procedimento di esecuzione?
È il principio, sancito dall’art. 666 c.p.p., che impedisce di presentare una nuova istanza al giudice dell’esecuzione se questa è una ‘mera riproposizione’ di una richiesta già rigettata o decisa. La preclusione copre tutte le questioni già sottoposte al giudice, anche quelle su cui non si è espresso esplicitamente.

Se un giudice non risponde a un mio argomento, posso presentare una nuova richiesta?
No. Secondo la Cassazione, l’omessa pronuncia su un argomento già sollevato equivale a un ‘diniego implicito’. La parte che si ritiene lesa deve impugnare quella decisione per vizio di motivazione, non può presentare una nuova istanza sullo stesso punto, perché la questione è ormai coperta da preclusione processuale.

Perché la Cassazione ha rigettato il ricorso in questo caso?
La Corte ha rigettato il ricorso perché la questione giuridica sollevata nella seconda istanza (la presunta depenalizzazione per effetto della L. 248/2000) era già stata presentata nella prima istanza. Non avendo la difesa impugnato la prima ordinanza, che aveva implicitamente rigettato tale argomento, si è formata una preclusione processuale che rendeva inammissibile la seconda richiesta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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