Preclusione Processuale: Quando un Ricorso Diventa Inammissibile
Il principio di preclusione processuale è un pilastro del nostro sistema giudiziario, essenziale per garantire la stabilità delle decisioni e l’efficienza della giustizia. Esso impedisce che una questione già decisa possa essere riproposta all’infinito, creando una barriera alla reiterazione di istanze identiche. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 20283/2024) offre un chiaro esempio di applicazione di tale principio, dichiarando inammissibile un ricorso proprio perché mera riproposizione di una richiesta già rigettata.
I Fatti del Caso
Un soggetto condannato presentava un’istanza alla Corte d’Assise d’Appello di Napoli per ottenere la revoca del riconoscimento della recidiva. La richiesta si basava sull’interpretazione di una sentenza della Corte Costituzionale (n. 73 del 2020). Tuttavia, la stessa Corte d’Appello aveva già deciso su una richiesta identica, presentata dallo stesso soggetto, con un’ordinanza di quasi due anni prima, rigettandola.
Di fronte alla nuova istanza, la Corte d’Appello ne dichiarava l’inammissibilità, ravvisando in essa una semplice ripetizione della precedente. L’imputato, non soddisfatto, proponeva ricorso per Cassazione contro questa decisione.
La Decisione della Corte di Cassazione e la preclusione processuale
La Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici supremi hanno basato la loro decisione sull’articolo 666, comma 2, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che se un’istanza è una mera reiterazione di una richiesta già rigettata, il giudice può dichiararla inammissibile senza ulteriori formalità.
Questo meccanismo dà vita alla cosiddetta preclusione processuale “allo stato degli atti”. Ciò significa che una volta che un giudice si è pronunciato, quella specifica questione non può essere nuovamente sollevata, a meno che non intervengano elementi nuovi. L’obiettivo è evitare che i processi si protraggano a tempo indeterminato a causa della riproposizione seriale delle medesime doglianze.
Le Motivazioni della Sentenza
La Cassazione ha chiarito che la preclusione non è un ostacolo assoluto e inderogabile, ma va valutata tenendo conto del contesto. Essa può essere superata solo se l’istante introduce “fatti o questioni che non hanno formato oggetto della pregressa decisione”. In altre parole, non basta riproporre gli stessi argomenti, magari con una veste diversa; è necessario presentare elementi di novità, siano essi di fatto o di diritto, che non siano stati precedentemente valutati dal giudice.
Nel caso specifico, il ricorrente si era limitato a ripresentare la stessa identica richiesta, senza addurre alcun nuovo elemento. La sua istanza era una fotocopia della precedente e, pertanto, si scontrava inevitabilmente con la barriera della preclusione processuale. La Corte ha sottolineato che questa conclusione è pienamente in linea con la giurisprudenza consolidata, sia delle sezioni semplici che delle Sezioni Unite.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in commento ribadisce un principio fondamentale per la funzionalità del sistema giudiziario: non si può abusare del diritto di presentare istanze per rimettere continuamente in discussione ciò che è già stato deciso. La stabilità delle decisioni è un valore da tutelare. Per superare la preclusione, non è sufficiente una diversa argomentazione, ma è indispensabile l’allegazione di elementi nuovi e concreti che giustifichino un riesame.
Questa pronuncia serve da monito: ogni istanza deve essere ponderata e, se successiva a un rigetto, deve fondarsi su presupposti realmente nuovi. In caso contrario, la conseguenza non sarà solo una declaratoria di inammissibilità, ma anche la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, come accaduto nel caso di specie.
È possibile presentare più volte la stessa richiesta a un giudice penale?
No, in base al principio di preclusione processuale (art. 666, co. 2, c.p.p.), non è possibile riproporre una richiesta già rigettata, a meno che non si presentino fatti o questioni giuridiche nuove che non siano state esaminate nella precedente decisione.
Cosa si intende per ‘preclusione processuale allo stato degli atti’?
Significa che l’impedimento a ripresentare una richiesta non è assoluto, ma si basa sulla situazione processuale esistente al momento della decisione. La preclusione può essere superata se emergono nuovi elementi di fatto o di diritto non precedentemente considerati dal giudice.
Qual è la conseguenza se si ripropone una richiesta identica a una già rigettata?
La richiesta viene dichiarata inammissibile dal giudice, senza entrare nel merito della questione. Come nel caso di specie, il ricorrente può anche essere condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20283 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20283 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 09/02/2024 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Esaminato il ricorso proposto avverso l’ordinanza del 9 febbraio 2024, con la quale la Corte di assise di appello di Napoli dichiarava inammissibile l’istanza proposta da NOME COGNOME, finalizzata a ottenere la revoca del riconoscimento della recidiva, in relazione alle sentenze irrevocabili presupposte, per la violazione dei principi affermati dalla sentenza della Corte costituzionale 6 aprile 2020, n. 73.
Ritenuto che l’istanza presentata da COGNOME, costituendo una mera riproposizione della richiesta decisa dalla Corte di assise di appello di Napoli con ordinanza del 6 aprile 2022, imponeva l’applicazione dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui consente al giudice la pronuncia di inammissibilità qualora l’istante si limita a reiterare un’istanza precedentemente rigettata, configurandosi, in tali casi, una preclusione allo stato degli atti, superabil quando vengano dedotti fatti o questioni che non hanno formato oggetto della pregressa decisione (tra le·altre, Sez. 3, n. 5195 del 05/12/2003, COGNOME, Rv. 227329 – 01; Sez. 1, n. 3736 del 15/01/2009, Anello, Rv. 242533 – 01).
Ritenuto che tali conclusioni appaiono pienamente rispettose della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la preclusione processuale di cui all’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., non opera in senso assoluto e inderogabile – coprendo ogni questione processuale dedotta e deducibile, al contrario di quanto si verifica nel processo di cognizione, con il quale non può stabilirsi un’assimilazione sistematica sul punto -, ma comporta una valutazione allo stato degli atti, tenendo conto della prospettazione difensiva (tra le altre Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, COGNOME, Rv. 231799 – 01).
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 9 maggio 2024.