Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 13134 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 13134 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a GALLARATE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 26/05/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOMECOGNOME lette/segtite le conclusioni del PG
Il Procuratore generale, NOME COGNOMENOME COGNOMENOME COGNOME, chiede l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME ricorre avverso l’ordinanza del 26 maggio 2023 della Corte di appello di Torino che, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza con la quale era stata richiesta la rideterminazione delle pene, con riguardo:
/) alla sentenza del Tribunale di Verona del 26 marzo 2015, definitiva il 18 aprile 2015, che aveva irrogato la pena di mesi dieci di reclusione ed euro 500,00 di multa (n. 3 del cumulo);
alla sentenza del Tribunale di Busto Arsizio dell’Il aprile 2016, definitiva il 26 luglio 2016, che aveva irrogato la pena di mesi otto di reclusione ed euro 300,00 di multa (n. 10 del cumulo);
alla sentenza del Tribunale di Lecco del 4 settembre 2018, definitiva il 16 febbraio 2021, che aveva irrogato la pena di mesi nove di reclusione ed euro 400,00 di multa.
L’interessato( a sostegno della sua istanza, aveva evidenziato che la pena sub 1 era stata ridotta, quale pena in continuazione, a mesi due di reclusione dalla Corte di appello di Venezia con sentenza del 5 luglio 2019 (n. 21 del cumulo) e, nuovamente, a mesi due di reclusione, quale pena in continuazione, dal Tribunale di Alessandria con sentenza dell’Il luglio 2019 (n. 26 del cumulo); che la pena sub 2 era stata ridotta a mesi quattro di reclusione dal Tribunale di Mantova, quale giudice dell’esecuzione, con ordinanza ex art. 671 cod. proc. pen. emessa in data 1 agosto 2020 (n. 10 del cumulo); che la pena sub 3 era stata ridotta a mesi quattro e giorni quindici dal Tribunale di Lodi, quale giudice dell’esecuzione, con ordinanza ex ad 671 cod. proc. pen. del 21 febbraio 2022.
ttrficorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 669, commi 1, 2 e 6, cod. proc. pen., e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, perché il giudice dell’esecuzione avrebbe erroneamente affermato che il Tribunale di Busto Arsizio, quale precedente giudice dell’esecuzione, si fosse già espresso in ordine alla medesima richiesta con ordinanza del 14 dicembre 2022.
Così facendo, il giudice dell’esecuzione avrebbe omesso di considerare che, alla data del 14 dicembre 2022, il Tribunale di Busto Arsizio non poteva essersi espresso in ordine alla questione oggetto del presente procedimento, perché ancora non sollevata dalla difesa.
Il giudice dell’esecuzione, quindi, alla luce dell’art. 669 cod. proc. pen. avrebbe dovuto ordinare l’esecuzione della sentenza irrevocabile che aveva pronunciato la condanna meno grave, revocando le altre, anche se il fatto era stato giudicato in concorso formale con altri fatti o quale episodio di un reato continuato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Giova premettere che il principio del ne bis in idem assume portata generale nel vigente diritto processuale penale, trovando espressione nelle norme sui conflitti positivi di competenza (art. 28 cod. proc. pen.), nel divieto di un secondo giudizio (art. 649 cod. proc. pen.) e nella disciplina dell’ipotesi di una pluralità sentenze per il medesimo fatto (art. 669 cod. proc. pen.). È, quindi, indubbio che anche nel procedimento di esecuzione operi il principio della preclusione processuale derivante dal divieto del bis in idem, nel quale, secondo la giurisprudenza di legittimità, s’inquadra la regola dettata dal dall’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., che impone al giudice dell’esecuzione di dichiarare inammissibile la richiesta che sia mera riproposizione, in quanto basata sui «medesimi elementi», di altra già rigettata (Sez. 1, n. 3736 del 15/01/2009, Anello, Rv. 242533).
Con tale limite si è inteso creare, per arginare richieste meramente dilatorie, un filtro processuale, ritenuto dal legislatore delegato necessario in un’ottica di economia e di efficienza processuale. In questa prospettiva emerge la nozione di «giudicato esecutivo», impiegata in senso atecnico, per rappresentare l’effetto «auto conservativo» di un accertamento rebus sic stantibus: più correttamente, la stabilizzazione giuridica di siffatto accertamento deve essere designata con il termine «preclusione», proprio al fine di rimarcarne le differenze con il concetto tradizionale di giudicato.
Appare, quindi, un dato acquisito, nella giurisprudenza di legittimità, quello secondo cui, allorquando la precedente richiesta sia stata respinta, è ammissibile la proposizione di un nuovo incidente di esecuzione solo quando si fondi su nuovi elementi.
Nel caso di specie, dal raffronto dell’ordinanza del 14.12.2022 emessa dal Tribunale di Buto Arsizio con quella impugnata risulta che effettivamente il giudice dell’esecuzione si era già espresso su numerosi reati oggetto della successiva istanza articolata su analoghi elementi ed avente contenuto identico in molte parti, per l’applicazione della disciplina della continuazione, pertanto sussisteva la preclusione indicata dal giudice.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., ne consegue la condanna ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 07/12/2023