Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 6060 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 6060 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a CERIGNOLA il 19/09/1952
avverso l’ordinanza del 14/06/2024 della CORTE APPELLO di BARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
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RITENUTO IN FATTO
Per una migliore comprensione della vicenda, occorre premettere:
che, con ordinanza n. 421/2022 del 6 aprile 2022, la Corte di appello di Bari, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva accolto l’istanza di riconoscimento della disciplina della continuazione avanzata nell’interesse di NOME COGNOME in relazione ai reati giudicati con le seguenti due pronunce:
sentenza n. 2033/2016 di condanna alla pena di 6 anni di reclusione, emessa in data 7 giugno 2016 dalla Corte di appello di Bari per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309 del 1990;
sentenza n. 1282/2020 di condanna alla pena di 15 anni e 10 mesi di reclusione, resa il 15 giugno 2020 dalla medesima Corte per i reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. 309 del 1990;
che, in conseguenza del riconoscimento del vincolo della continuazione, il giudice dell’esecuzione aveva rideterminato la pena inflitta con la sentenza sub 1) in 4 anni di reclusione, così pervenendo a determinare una pena complessiva di 19 anni e 10 mesi di reclusione;
che, con successiva ordinanza n. 114/2024 del 5 febbraio 2024, la Corte distrettuale di Bari, quale giudice dell’esecuzione, in virtù della intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 con sentenza C. Cost. n. 40 del 23 gennaio 2019, aveva rideterminato la pena inflitta con la sentenza sub 1) in 4 anni e 6 mesi di reclusione.
Ciò premesso, nell’interesse del COGNOME veniva avanzata istanza volta ad ottenere una nuova determinazione della pena inflitta con la sentenza sub 1) in applicazione della disciplina del reato continuato già riconosciuta con l’ordinanza n. 421/2022; nuova determinazione che avrebbe dovuto necessariamente tenere conto della riduzione della pena, da 6 anni a 4 anni e 6 mesi di reclusione, operata con l’ordinanza n. 11/2024 per effetto della pronuncia di incostituzionalità n. 40/2019.
Il condannato invocava, in sostanza, in quanto “maggiormente proporzionata ed equa, una frazione di aumento di pena per il reato-satellite giudicato con la sentenza sub 1) inferiore a quella di 4 anni stabilita con l’ordinanza n. 421/2022.
Con l’ordinanza in epigrafe, la Corte di appello di Bari, sempre in funzione di giudice dell’esecuzione, dichiarava inammissibile l’istanza, ravvisata l’identità della causa petendi sottesa a quella del precedente provvedimento divenuto definitivo e la mancata allegazione di questioni nuove.
Ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, per il tramite del difensore, deducendo, quale unico motivo di ricorso, violazione di legge e vizio di motivazione.
La Corte di appello di Bari aveva omesso di considerare che, per effetto della sentenza C. Cost. n. 40 del 2019, con la quale era stata dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 73, comma 1, del d.P.R. 309 del 1990 (nella parte in cui prevedeva 8 anni di reclusione, anziché 6, come minimo edittale), la pena di 6 anni di reclusione, originariamente inflitta al condannato con la sentenza sub 1), emessa in data 7 giugno 2016 dalla Corte di appello di Bari, era stata ridotta dalla stessa Corte, in qualità di giudice dell’esecuzione, a 4 anni e 6 mesi di reclusione (ordinanza n. 114/2024 del 5 febbraio 2024); tenuto conto dell’entità di quest’ultima pena, appariva sproporzionata – e quindi da rideterminare – quella di 4 anni, applicata dal giudice dell’esecuzione, con ordinanza n. 421/2022 del 6 aprile 2022, a titolo di aumento per il reato-satellite di cui all’art. 73 d.P.R. n. 3 del 1990, giudicato con la sentenza sub 1).
Il Procuratore generale di questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato, e va, perciò, rigettato.
È principio consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, quello per cui, in tema di incidente di esecuzione, l’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui consente al giudice la pronuncia di inammissibilità qualora l’istanza costituisca una mera riproposizione di una richiesta già rigettata, configura una preclusione allo stato degli atti che, come tale, non opera quando vengano dedotti fatti o questioni che non hanno formato oggetto della precedente decisione (tra molte, Sez. 3, n. 2694 del 20/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278283 – 01; Sez. 1, n. 19358 del 05/10/2016. dep. 2017; COGNOME, Rv. 269841 – 01).
A tale principio si è correttamente attenuto, nel caso di specie, il giudice dell’esecuzione, il quale ha chiarito perché, nell’istanza dichiarata inammissibile de plano, non erano stato allegati fatti o questioni – in particolare quella attinente alle conseguenze della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, di cui alla sentenza Corte cost. n. 40 del 2019 – che non avessero formato già oggetto della precedente ordinanza n. 114/2024 del 5 febbraio 2024, allegata al ricorso.
Non avendo l’interessato ritenuto di impugnare tale ordinanza, così come quella, precedente, del 6 aprile 2022 (n. 421/2022), entrambe menzionate nella
superiore esposizione in fatto, ha determinato, in assenza di novità sopravvenute, il maturarsi della preclusione processuale rilevata dal giudice dell’esecuzione.
Tra l’altro, rileva il Collegio che, essendo l’ordinanza del 6 aprile 2022 (n. 421/2022) successiva di tre anni alla sentenza del Giudice delle leggi più volte ricordata, non è affatto escluso, pur nell’assenza di espliciti richiami in motivazione, che di essa il giudice dell’esecuzione abbia tenuto conto in sede di determinazione della frazione di pena per il reato-satellite giudicato con la sentenza sub 1), pena fissata in 4 anni di reclusione per la complessiva gravità del fatto, siccome rivelata sia dal significativo dato ponderale (kg 1,032 di cocaina, con peso netto di grammi 990,6, da cui erano ricava bili n. 4209 singole dosi medie) sia dalla elevata pericolosità della sostanza per la salute pubblica (la droga risultava commista a Levamisole, farmaco antineoplastico, e, assunta in modo così adulterato, poteva ridurre notevolmente i globuli bianchi, sopprimendo le difese immunitarie: v. pag. 3 del provvedimento allegato al ricorso).
Ma, come si è detto, neppure tale provvedimento è stato oggetto di impugnazione, con le conseguenze in tema di preclusione processuale già evidenziate.
In ogni caso, a fronte dell’eventuale rischio di esecuzione, tra le due ordinanze indicate in premessa, attinenti al medesimo fatto (il reato giudicato con la sentenza sub 1, commesso il 21 dicembre 2014), di quella che ha determinato la pena più alta (4 anni e 6 mesi di reclusione), all’interessato sarebbe possibile opporre, promuovendo apposito incidente ex art. 669 cod. proc. pen., il principio del “ne bis in idem”, che, come noto, è applicabile in via analogica anche con riferimento alle ordinanze del giudice dell’esecuzione (Sez. 5, n. 34324 del 07/10/2020, COGNOME, Rv. 280033 – 01).
Al rigetto del ricorso consegue ex lege la condanna del proponente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
z 7’1 F. :4 2
Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2024