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Preclusione processuale: no a ricorsi fotocopia

Una persona condannata con tre sentenze separate ha richiesto l’applicazione del principio della continuazione per ottenere una pena più mite. La Corte d’Appello ha respinto parte della richiesta perché era una mera riproposizione di un’istanza già negata. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, affermando che il principio di preclusione processuale impedisce il riesame di una questione già decisa sulla base dei medesimi elementi.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Istanza già rigettata? Attenzione alla preclusione processuale

Nel complesso mondo della procedura penale, specialmente nella fase di esecuzione della pena, esistono principi volti a garantire la certezza del diritto e l’efficienza del sistema giudiziario. Uno di questi è la preclusione processuale, un concetto chiave ribadito dalla Corte di Cassazione nella recente sentenza n. 26606/2024. Questa decisione chiarisce che non è possibile ripresentare al giudice un’istanza già rigettata se basata sugli stessi elementi, poiché si incorre in una declaratoria di inammissibilità. Vediamo nel dettaglio il caso e le motivazioni della Corte.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda una persona condannata con tre diverse sentenze definitive per reati quali bancarotta fraudolenta, reati tributari e omesso versamento di ritenute previdenziali, commessi in qualità di amministratrice di alcune società. La condannata ha presentato un’istanza al giudice dell’esecuzione per ottenere il riconoscimento della “continuazione” tra i reati oggetto delle tre sentenze. L’istituto della continuazione (art. 81 c.p.) permette di considerare i diversi reati come parte di un unico disegno criminoso, con conseguente applicazione di una pena complessiva più favorevole.

La Corte d’Appello ha accolto solo parzialmente la richiesta, riconoscendo il vincolo della continuazione tra la prima e la terza sentenza. Ha invece dichiarato inammissibile la richiesta relativa alla seconda e terza sentenza, rilevando che si trattava di una mera riproposizione di un’istanza identica, già respinta in precedenza da un’ordinanza del Giudice dell’esecuzione del Tribunale. Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso per cassazione, lamentando un’errata valutazione e un difetto di motivazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello. Il fulcro della sentenza risiede nell’applicazione del principio della preclusione processuale, derivante dal divieto di bis in idem (non si può essere giudicati due volte per la stessa cosa), che opera anche nella fase esecutiva del processo penale.

I giudici di legittimità hanno evidenziato che dagli atti emergeva chiaramente come la richiesta di continuazione tra la seconda e la terza sentenza fosse già stata esaminata e rigettata da un precedente provvedimento del giudice dell’esecuzione. La nuova istanza, non portando elementi nuovi ma limitandosi a riproporre la medesima questione, non poteva che essere dichiarata inammissibile.

Le Motivazioni: la regola della preclusione processuale

La motivazione della Cassazione si fonda sull’articolo 666, comma 2, del codice di procedura penale. Questa norma impone al giudice dell’esecuzione di dichiarare inammissibile una richiesta che sia una semplice riproposizione di un’altra già rigettata, qualora sia basata sui “medesimi elementi”.

La Corte ha richiamato un consolidato orientamento delle Sezioni Unite (sent. n. 18288/2010), secondo cui il principio della preclusione è una regola generale del procedimento di esecuzione. Questo significa che, una volta che il giudice si è pronunciato su una determinata istanza, la stessa questione non può essere nuovamente sottoposta al suo vaglio, a meno che non vengano addotti fatti o elementi giuridici nuovi, non conosciuti o non valutati nel precedente provvedimento. In assenza di tali novità, l’istanza è considerata “fotocopia” e, come tale, inammissibile.

Conclusioni

La sentenza in commento ribadisce un principio fondamentale per la stabilità delle decisioni giudiziarie e l’economia processuale. Chi si trova nella fase esecutiva di una pena e intende presentare un’istanza al giudice deve essere consapevole che le proprie richieste, una volta decise, non possono essere riproposte indefinitamente. La preclusione processuale agisce come uno sbarramento, impedendo di sovraccaricare il sistema con ricorsi ripetitivi e garantendo che le decisioni del giudice dell’esecuzione, una volta emesse, acquistino stabilità. Pertanto, è essenziale che ogni istanza sia formulata in modo completo e supportata da tutti gli elementi rilevanti fin da subito, poiché una seconda possibilità, in assenza di fatti nuovi, è preclusa dalla legge.

È possibile ripresentare al giudice dell’esecuzione una richiesta già rigettata in precedenza?
No, non è possibile se la richiesta è una mera riproposizione di quella precedente e si basa sui medesimi elementi. In tal caso, la richiesta viene dichiarata inammissibile.

Cosa si intende per preclusione processuale in fase esecutiva?
È il principio, derivante dal divieto di bis in idem, che impedisce di riesaminare una questione sulla quale il giudice dell’esecuzione si è già pronunciato, a meno che non vengano presentati elementi di fatto o di diritto nuovi e diversi da quelli già valutati.

Quale articolo del codice di procedura penale regola l’inammissibilità di una richiesta che è mera riproposizione di una precedente?
L’articolo 666, comma 2, del codice di procedura penale impone al giudice dell’esecuzione di dichiarare inammissibile la richiesta che sia una riproposizione, basata sui “medesimi elementi”, di un’altra già rigettata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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