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Preclusione processuale: no a istanze ripetitive

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di un Giudice dell’Esecuzione che aveva accolto una richiesta di applicazione del reato continuato. La Corte ha stabilito che l’istanza era una mera riproposizione di una precedente richiesta già rigettata e basata sugli stessi elementi, violando così il principio di preclusione processuale sancito dall’art. 666, comma 2, c.p.p., che impone di dichiarare inammissibili tali istanze.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Preclusione processuale in fase esecutiva: No a istanze ripetitive

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ribadisce un principio cardine della procedura penale: il divieto di riproporre istanze già decise e rigettate. Questa pronuncia chiarisce i limiti della preclusione processuale nella fase di esecuzione della pena, sottolineando l’importanza di questo istituto per l’efficienza e la certezza del diritto. Il caso riguarda la richiesta di applicazione del reato continuato, prima respinta e poi, a seguito di una nuova istanza identica, accolta dal giudice, spingendo la Procura a ricorrere in Cassazione.

I fatti di causa

Un soggetto, condannato con due sentenze irrevocabili per reati legati agli stupefacenti, aveva chiesto al Giudice dell’Esecuzione di riconoscere tra i due fatti il vincolo della continuazione. Le condanne in questione erano:

1. Una sentenza del Tribunale di Pisa del 2017 a due anni di reclusione e 1.500 euro di multa.
2. Una sentenza del GUP di Grosseto del 2021 a quattro anni, otto mesi e venti giorni di reclusione e 26.000 euro di multa.

Una prima richiesta in tal senso, presentata dal difensore nel novembre 2023, era stata decisa e rigettata dal Giudice dell’Esecuzione nel gennaio 2024. Nonostante ciò, nel settembre 2024, il condannato presentava personalmente una nuova istanza, identica nei contenuti e negli elementi alla precedente. Sorprendentemente, il Tribunale di Grosseto questa volta accoglieva la richiesta, rideterminando la pena complessiva in cinque anni, otto mesi e venti giorni di reclusione e 26.600 euro di multa. Contro questa ordinanza, il Procuratore della Repubblica ha proposto ricorso per Cassazione.

Il ricorso del Pubblico Ministero e il principio di preclusione processuale

Il Procuratore ha fondato il suo ricorso su un unico, ma decisivo, motivo: la violazione dell’articolo 666, comma 2, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che il giudice deve dichiarare inammissibile un’istanza che costituisca una mera riproposizione di una richiesta già rigettata, qualora sia basata sui medesimi elementi.

Il ricorrente ha evidenziato come la seconda istanza non presentasse alcun elemento di novità rispetto a quella già esaminata e respinta. Di conseguenza, il Giudice dell’Esecuzione non avrebbe dovuto riesaminare il merito della questione, ma semplicemente dichiararne l’inammissibilità. Questo meccanismo, noto come preclusione processuale, agisce come un filtro per evitare richieste dilatorie e garantire la stabilità delle decisioni giudiziarie, anche nella fase esecutiva.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso pienamente fondato. Gli Ermellini hanno riaffermato che il principio del ne bis in idem (non due volte per la stessa cosa) opera anche nella fase esecutiva attraverso l’istituto della preclusione processuale. Quando un’istanza viene rigettata, si crea una preclusione “allo stato degli atti”.

Questo significa che la stessa richiesta può essere riproposta solo se si fonda su elementi nuovi, ovvero fatti o questioni giuridiche che non erano stati oggetto della precedente decisione. Nel caso di specie, l’istanza presentata personalmente dal condannato era una copia esatta di quella già rigettata. Il Tribunale di Grosseto, pertanto, ha commesso un errore nel valutarla nuovamente nel merito.

La Corte ha specificato che la finalità dell’art. 666, comma 2, c.p.p. è quella di assicurare economia ed efficienza processuale, impedendo che i giudici vengano investiti ripetutamente delle stesse questioni. La violazione di questo divieto comporta l’annullamento del provvedimento emesso in seguito alla seconda, inammissibile, istanza.

Le conclusioni

La Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata. La decisione ripristina la validità del primo provvedimento di rigetto e riafferma con forza il valore della preclusione processuale. Questo principio è essenziale per preservare la stabilità delle decisioni e l’efficienza del sistema giudiziario, evitando che la fase esecutiva si trasformi in un’arena per la riproposizione infinita di questioni già definite. La sentenza serve da monito: non si può chiedere al giudice di pronunciarsi più volte sulla stessa identica questione in assenza di nuovi elementi.

È possibile presentare una seconda volta un’istanza al Giudice dell’Esecuzione dopo che è stata rigettata?
No, se l’istanza è una mera riproposizione della precedente e si basa sui medesimi elementi. In tal caso, deve essere dichiarata inammissibile per il principio di preclusione processuale. È possibile ripresentarla solo se si fonda su elementi di fatto o di diritto nuovi, non precedentemente esaminati.

Quale norma regola il divieto di riproporre istanze identiche in fase esecutiva?
Il divieto è sancito dall’articolo 666, comma 2, del codice di procedura penale, che impone al giudice di dichiarare l’inammissibilità di una richiesta che sia una mera riproposizione di una già rigettata.

Cosa succede se un giudice accoglie un’istanza che avrebbe dovuto dichiarare inammissibile per preclusione processuale?
Il provvedimento emesso è illegittimo e può essere annullato. Come nel caso esaminato, la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio l’ordinanza, eliminandola dal mondo giuridico e ripristinando la validità della decisione precedente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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