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Preclusione processuale: No a istanze fotocopia

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato che chiedeva per l’ennesima volta il riconoscimento della continuazione tra reati. La decisione si fonda sul principio della preclusione processuale, che vieta di riproporre istanze già rigettate in assenza di nuovi elementi di fatto o di diritto, equiparando tale pratica al divieto di ‘ne bis in idem’ nella fase esecutiva.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Preclusione processuale: la Cassazione blocca le istanze ripetitive

Con l’ordinanza n. 38315/2024, la Corte di Cassazione riafferma un principio cardine della fase esecutiva: la preclusione processuale. Non è possibile presentare al giudice istanze che siano una mera riproposizione di richieste già esaminate e rigettate, a meno che non si introducano elementi di novità. Questa decisione sottolinea l’importanza di non abusare degli strumenti processuali e di rispettare il principio del giudicato.

I fatti del caso: la richiesta di continuazione

Il caso trae origine dal ricorso di un soggetto condannato che, per la sesta volta, aveva presentato un’istanza alla Corte d’Appello di Lecce, in qualità di giudice dell’esecuzione. L’obiettivo era ottenere il riconoscimento della cosiddetta “continuazione” tra vari reati per i quali era stato condannato con tre sentenze separate. L’istituto della continuazione, previsto dall’art. 671 del codice di procedura penale, consente di unificare le pene per reati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, portando a un trattamento sanzionatorio più favorevole.

La Corte d’Appello aveva dichiarato l’istanza inammissibile, rilevando come fosse del tutto identica a quelle precedenti, già respinte con ordinanze emesse nel 2018, 2019, 2021 e per ben due volte nel 2023. Secondo il giudice dell’esecuzione, il ricorrente non aveva allegato alcun novum (elemento nuovo), ma si era limitato a proporre una diversa valutazione di fatti già ampiamente esaminati.

La decisione della Cassazione sulla preclusione processuale

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello, dichiarando a sua volta inammissibile il ricorso. I giudici di legittimità hanno basato la loro pronuncia sul solido principio della preclusione processuale, che opera anche in fase esecutiva.

Il principio del “ne bis in idem” in fase esecutiva

La Corte ha spiegato che il divieto di ne bis in idem (non due volte per la stessa cosa), sancito dall’art. 649 c.p.p., esprime un principio generale dell’ordinamento che trova applicazione anche nella fase esecutiva. Un provvedimento del giudice dell’esecuzione, una volta divenuto definitivo, preclude la possibilità di presentare una nuova istanza che sia meramente reiterativa della precedente. In altre parole, non si può continuare a chiedere la stessa cosa sperando in un esito diverso, se le carte in tavola rimangono le stesse.

L’assenza di un “novum”

Il punto cruciale, evidenziato dalla Cassazione, è l’assenza di un novum. La preclusione non è assoluta: può essere superata se il richiedente prospetta nuove questioni giuridiche o nuovi elementi di fatto, che possono essere sia sopravvenuti che preesistenti, purché non siano stati considerati nella decisione precedente. Nel caso di specie, il ricorrente si era limitato a insistere su una diversa interpretazione di elementi già noti e valutati, come il dato cronologico di un reato o la natura dei suoi rapporti con altri soggetti. Tale approccio non costituisce un novum e, pertanto, non può superare la barriera della preclusione processuale.

Le motivazioni della Corte

La motivazione della Cassazione è chiara e rigorosa. L’ordinanza impugnata aveva correttamente rilevato che l’istanza era una semplice riproposizione di domande già esaminate e rigettate innumerevoli volte. I presunti “elementi di novità” addotti dal ricorrente erano, in realtà, solo un tentativo di ottenere una rivalutazione del medesimo materiale probatorio, un’operazione non consentita in sede esecutiva di fronte a un giudicato. La Corte sottolinea che la preclusione processuale, rilevabile anche d’ufficio, serve a garantire la stabilità delle decisioni e a prevenire un uso dilatorio e non funzionale degli strumenti processuali. La manifesta infondatezza e genericità del ricorso ha quindi portato non solo alla dichiarazione di inammissibilità, ma anche alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre un importante monito: la fase esecutiva non è una terza o quarta istanza di giudizio dove poter ridiscutere all’infinito il merito delle decisioni. Il principio di preclusione processuale stabilisce un confine netto. Una volta che il giudice dell’esecuzione si è pronunciato, la sua decisione diventa stabile e può essere messa in discussione solo in presenza di reali elementi di novità. Insistere con istanze “fotocopia” non solo è inutile, ma espone al rischio di sanzioni, come dimostra la condanna al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende inflitta al ricorrente. La stabilità del giudicato e l’efficienza del sistema giudiziario prevalgono sul tentativo di ottenere, per insistenza, un risultato già negato dalla giustizia.

È possibile presentare più volte la stessa istanza al giudice dell’esecuzione?
No, non è possibile presentare un’istanza che sia una mera riproposizione di un’altra già rigettata. Il principio della preclusione processuale, assimilabile al ‘ne bis in idem’, lo vieta, a meno che non vengano introdotti elementi nuovi.

Cosa si intende per ‘preclusione processuale’ nella fase esecutiva?
Significa che un provvedimento del giudice dell’esecuzione, una volta divenuto irrevocabile, impedisce di presentare una nuova richiesta basata sui medesimi elementi e sulle stesse questioni già decise. La questione è considerata ‘chiusa’.

Cosa serve per poter ripresentare una richiesta già rigettata dal giudice dell’esecuzione?
Per superare la preclusione è necessario allegare un ‘novum’, ovvero nuove questioni giuridiche o nuovi elementi di fatto (sopravvenuti o anche preesistenti) che non siano stati presi in considerazione nella decisione precedente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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