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Preclusione processuale e colloqui in carcere

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un detenuto avverso un’ordinanza che rigettava la sua richiesta di colloqui. La Corte ha stabilito che la nuova istanza, essendo una mera ripetizione di una precedente già respinta e priva di nuovi elementi, è bloccata dal principio di preclusione processuale, che impedisce di riesaminare questioni già decise.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Preclusione Processuale: No alle Istanze Ripetitive per i Colloqui in Carcere

Il principio di preclusione processuale è un cardine del nostro ordinamento, volto a garantire la stabilità e la certezza delle decisioni giudiziarie. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza l’applicazione di tale principio anche in materia di richieste di colloquio da parte dei detenuti, stabilendo che non è possibile ripresentare all’infinito la stessa istanza già rigettata, se non vengono addotti elementi di novità. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Un detenuto presentava al Giudice per le Indagini Preliminari (g.i.p.) del Tribunale un’istanza per essere autorizzato a effettuare colloqui visivi e telefonici con la propria compagna. Tale richiesta veniva formulata in data 27 febbraio, dopo che una precedente istanza, del tutto identica e presentata il 19 febbraio, era già stata rigettata dal medesimo giudice il 20 febbraio. La motivazione del primo rigetto si basava su una nota della Casa Circondariale che attestava l’insussistenza di uno stato di convivenza tra il detenuto e la compagna.

Il g.i.p., investito della seconda richiesta, la dichiarava inammissibile, qualificandola come meramente ripetitiva della precedente e, pertanto, non meritevole di una nuova valutazione. Contro questa decisione, il difensore del detenuto proponeva ricorso per Cassazione, lamentando la violazione di norme costituzionali e di legge, nonché la manifesta illogicità della motivazione, sostenendo che erano stati presentati elementi nuovi a comprova della relazione affettiva e dello stato di convivenza.

La Preclusione Processuale nelle Istanze dei Detenuti

Il cuore della questione giuridica risiede nell’applicabilità della preclusione processuale alle istanze relative ai colloqui dei detenuti. Il difensore sosteneva che la seconda istanza non fosse una semplice copia, ma contenesse elementi nuovi, come un’autocertificazione della compagna. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha accertato che la medesima autocertificazione era già stata allegata non solo alla prima istanza rigettata, ma addirittura a una richiesta ancora precedente che, in un primo momento, era stata accolta.

Il Procuratore Generale presso la Corte aveva richiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, proprio in virtù dell’operatività della preclusione endoprocessuale, la quale impedisce la reiterazione di provvedimenti con lo stesso oggetto e che sollevano questioni già trattate. La seconda istanza, secondo il Procuratore, era del tutto priva di elementi di novità tali da giustificare una nuova valutazione da parte del giudice.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato, confermando in toto la decisione del g.i.p. e le conclusioni del Procuratore Generale. La Corte ha chiarito che, sebbene i provvedimenti sui colloqui dei detenuti siano ricorribili in Cassazione (in quanto possono incidere sul grado di afflittività della misura cautelare), a essi si applica pienamente il principio di preclusione processuale previsto dall’art. 666, comma 2, del codice di procedura penale.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su un’attenta analisi dei fatti processuali. L’istanza del 27 febbraio non differiva in nulla da quella del 19 febbraio; riproduceva lo stesso contenuto e allegava la stessa identica documentazione. Il ricorso, pur sostenendo la presenza di ‘elementi nuovi’, non è stato in grado di specificare quale fosse il carattere di novità di documenti già precedentemente prodotti e valutati dal giudice. Di conseguenza, il g.i.p. ha correttamente dichiarato inammissibile la seconda istanza, in quanto mera riproposizione di una richiesta già decisa con un provvedimento di rigetto. Quest’ultimo, se ritenuto ingiusto, avrebbe dovuto essere impugnato nei modi e nei termini di legge, non aggirato con la presentazione di un’istanza identica. La Corte ha quindi affermato che il principio di preclusione serve a evitare un uso strumentale del processo, impedendo che questioni già definite possano essere continuamente riaperte senza una reale giustificazione fattuale o giuridica.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende. Questa sentenza rafforza un principio fondamentale della procedura penale: non si può chiedere al giudice di pronunciarsi più volte sulla stessa identica questione in assenza di fatti nuovi. La decisione sottolinea l’importanza della definitività dei provvedimenti giurisdizionali e della corretta gestione degli strumenti processuali a disposizione delle parti, evitando abusi che potrebbero intralciare il corretto funzionamento della giustizia.

È possibile presentare più volte la stessa istanza per ottenere i colloqui in carcere?
No, se un’istanza è già stata rigettata, una successiva richiesta identica e priva di nuovi elementi di valutazione verrà dichiarata inammissibile in base al principio di preclusione processuale.

Cosa significa ‘preclusione processuale’ in questo contesto?
Significa che una questione già esaminata e decisa da un giudice non può essere riproposta. Questo principio serve a garantire la stabilità delle decisioni giudiziarie e a impedire che un processo si protragga all’infinito sulla stessa problematica.

La decisione del giudice sul rigetto di un’istanza per colloqui può essere impugnata?
Sì, la sentenza conferma che i provvedimenti che decidono sulle istanze di colloquio dei detenuti sono ricorribili in Cassazione. Tuttavia, se il provvedimento di rigetto non viene impugnato, la questione si considera decisa e non può essere riproposta con una nuova istanza identica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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