Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23525 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23525 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a CASARANO il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nato a NARDO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/01/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 30 gennaio 2023 la Corte di appello di Lecce ha dichiarato, in riforma di quella emessa dal Tribunale della stessa città il 21 aprile 2016, NOME COGNOME ed NOME COGNOME colpevoli del reato di danneggiamento seguito da pericolo di incendio e li ha condannati alla pena, rispettivamente, di un anno e di sei mesi di reclusione.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione affidato a due motivi, con il primo dei quali eccepisce violazione della legge processuale e vizio della motivazione per essere la Corte di appello pervenuta all’affermazione della sua penale responsabilità sulla base dei medesimi elementi che, delibati dal primo giudice, lo avevano indotto a ritenere la particolare tenuità del fatto e ad applicare la causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen..
Con il secondo motivo, lamenta, ancora, violazione della legge processuale sul rilievo che la Corte di appello, chiamata a vagliare l’impugnazione proposta dal Procuratore generale avverso una sentenza che, in punto di fatto, aveva accertato la fondatezza dell’impostazione accusatoria, ha disposto la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale – non espletata in primo grado in ragione dell’applicazione dell’art. 469, comma 1-bis, cod. proc. pen., che consente l’adozione, in camera di consiglio, di sentenza di non doversi procedere «anche quando l’imputato non è punibile ai sensi dell’art. 131-bis del codice penale» – pur senza essere a ciò obbligata, versandosi in ipotesi diversa da quella di ribaltamento, in appello, di sentenza assolutoria.
Con i motivi aggiunti depositati il 17 gennaio 2024, COGNOME segnala, per un verso, che la sentenza impugnata si impernia su un percorso argomentativo del tutto insoddisfacente e, comunque, non idoneo ad adempiere all’obbligo di motivazione rafforzata che grava a carico del giudice di appello che intendere ribaltare, in senso sfavorevole all’imputato, la decisione di primo grado e denuncia, per l’altro, l’illegittimità dell’iniziativa della Corte di appello che, motu proprio, ha disposto l’ammissione di testimoni ulteriori rispetto a quelli indicati dalla pubblica accusa nella lista in origine presentata.
NOME COGNOME propone, a sua volta, ricorso per cassazione, con il ministero NOME COGNOME, articolato su un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge sul postulato che la Corte di appello, nel disporre la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale con successive ordinanze del 5 luglio 2021 e del 28 marzo 2022, ha agito in spregio al disposto degli artt. 603, commi
3 e 3-bis, e 604, comma 6, cod. proc. pen., che circoscrivono il potere a tal fine attribuito al giudice di appello ad ipotesi diverse da quella che, nel caso di specie, ha indotto l’acquisizione delle prove sulla base delle quali è stata affermata la sua penale responsabilità.
Disposta la trattazione scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, il Procuratore generale ha chiesto, il 10 gennaio 2024, dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili perché vedenti su censure manifestamente infondate.
L’art. 603 cod. proc. pen. prevede, al comma 1, che «Quando una parte, nell’atto di appello o nei motivi presentati a norma dell’articolo 585 comma 4, ha chiesto la riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado o l’assunzione di nuove prove, il giudice, se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale», per poi aggiungere, al successivo comma 3, che «La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale è disposta di ufficio se il giudice la ritiene assolutamente necessaria».
Le disposizioni citate assegnano al giudice di appello un potere ampiamente discrezionale, il cui esercizio è subordinato alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; accertamento, questo, che è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (sul punto, cfr., nella costante produzione della giurisprudenza di legittimità, Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, G., Rv. 274230 – 01; Sez. 6, n. 8936 del 13/01/2015, COGNOME, Rv. 262620 – 01; Sez. 4, n. 18660 del 19/02/2004, COGNOME, Rv. 228353 – 01).
Nel caso di specie, la Corte di appello, investita dell’impugnazione proposta dal Procuratore generale avverso la decisione del primo grado che, in sede predibattimentale, aveva ritenuto, sull’accordo delle parti, la particolare tenuità del fatto, ha disposto, in adesione alla richiesta dell’appellante, la rinnovazione dell’istruttoria, mediante audizione dei testimoni inseriti nella lista illo tempore presentata al Tribunale e, quindi, di quelli che, per quanto emerso in aula, erano in grado di riferire utilmente sui fatti di causa.
Tanto ha fatto in considerazione della necessità, apprezzabile con assoluta immediatezza ancorché non supportata da specifiche argomentazioni, di svolgere, in appello, gli approfondimenti che, in primo grado, erano stati omessi in conseguenza della definizione del procedimento, sollecitata dalle parti, ai sensi dell’art. 469, comma 1-bis, cod. proc. pen..
La Corte di appello si è, in altri termini, determinata senza esorbitare dall’ambito dei poteri che le sono normativamente riconosciuti ed ha ritenuto, in buona sostanza, di non potere altrimenti scrutinare l’impugnazione del pubblico ministero, a cui giudizio le connotazioni oggettive della vicenda della quale gli odierni ricorrenti erano chiamati a rispondere non ne consentivano la qualificazione in chiave di fatto di particolare tenuità: valutazione, questa, il cui apprezzamento richiedeva, imprescindibilmente, di dar corso agli opportuni approfondimenti istruttori, ciò che attesta la rispondenza dei provvedimenti adottati dalla Corte salentina alla fisiologia del sistema.
D’altro canto, va aggiunto / a confutazione dell’ulteriore obiezione dei ricorrenti, la non ineludibilità dell’adozione, da parte del giudice di merito, dei contestati provvedimenti istruttori – espressione, come detto, di ordinaria discrezionalità giudiziale – non attesta in alcun modo l’esistenza della dedotta preclusione; né, ancora, giova alla causa di COGNOME e COGNOME il riferimento all’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., norma che, anche nel testo ratione temporis applicabile, si occupa delle ipotesi, non assimilabili a quella della quale qui di discute, di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa.
Privo di pregio si rivela, del pari, il richiamo all’art. 304, comma 6, cod. proc. pen., dedicato ai casi in cui «il giudice di primo grado ha dichiarato che il reato è estinto o che l’azione penale non poteva essere iniziata o proseguita», chiaramente distinti, dal punto di vista sia logico-concettale che giuridico, da quelli in cui il fatto, pur processualmente accertato, non è punibile perché particolarmente tenue.
La decisione impugnata appare, va da ultimo precisato a confutazione di apposita censura dei ricorrenti, assistita da motivazione senz’altro adeguata e «rafforzata» rispetto a quella di primo grado, perché spiega, con dovizia di pertinenti argomentazioni – attinenti alla gravità dei danni arrecati alla vettura incendiata, alle insidiose modalità di commissione del reato, all’utilizzo di benzina allo scopo di favorire la combustione, alla potenziale diffusività del pericolo, rivelatosi concreto e serio – per quali ragioni debba escludersi che l’episodio sia caratterizzato da un ridotto coefficiente di offensività, così seguendo un iter motivazionale del quale i ricorrenti mostrano di non tenere conto alcuno nel
proporre doglianze che, sotto questo aspetto, appaiono irrimediabilmente generiche.
La manifesta infondatezza dei motivi originari fa sì che la declaratoria di inammissibilità si estenda, con riferimento alla posizione di NOME COGNOME, a quelli nuovi, ai sensi dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen. ed in ragione, precipuamente, dell’imprescindibile vincolo di connessione esistente tra gli stessi e dell’esigenza di evitare il surrettizio spostamento in avanti dei termini di impugnazione (in questo senso, cfr., tra le altre, Sez. 3, n. 23929 del 25/02/2021, Verdiani, Rv. 282021 – 01; Sez. 5, n. 48044 del 02/07/2019, COGNOME; Sez. 6, n. 9837 del 21/11/2018, dep. 2019, Montante, Rv. 275158 01).
Sulla base delle considerazioni che precedono i ricorsi devono essere, pertanto, dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 02/02/2024.