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Posizione di garanzia: la responsabilità dell’architetto

La Cassazione conferma la condanna per incendio colposo a un architetto, consulente esterno di un centro sportivo. La sua responsabilità deriva dalla posizione di garanzia assunta di fatto, avendo incaricato un lavoratore non qualificato di eseguire lavori pericolosi sul tetto, da cui è scaturito l’incendio.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Posizione di garanzia: la responsabilità dell’architetto anche se consulente esterno

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha confermato un principio fondamentale in materia di sicurezza sul lavoro e responsabilità penale: la posizione di garanzia, ovvero l’obbligo di prevenire eventi dannosi, non deriva solo da un incarico formale, ma anche dall’assunzione di fatto della gestione di un rischio. La vicenda analizzata riguarda un architetto, consulente esterno di un centro sportivo, condannato per incendio colposo per aver affidato un lavoro pericoloso a un dipendente non qualificato.

I fatti del caso: L’incendio nel centro sportivo

Un architetto, legato da un rapporto di consulenza esterna con una società sportiva, viene ritenuto responsabile di un incendio divampato sul tetto della palestra gestita dalla società. Secondo la ricostruzione, l’architetto avrebbe incaricato un manutentore, assunto per la cura delle aree verdi, di effettuare un lavoro di impermeabilizzazione della guaina del tetto. Per tale operazione, il lavoratore ha utilizzato un cannello a propano.

A causa della mancanza di formazione specifica e di adeguati dispositivi antincendio, la fiamma libera è entrata in contatto con materiali altamente infiammabili, scatenando un incendio che si è rapidamente propagato all’interno dei locali della palestra attraverso l’impianto di climatizzazione. Solo il tempestivo intervento dei Vigili del Fuoco ha evitato conseguenze peggiori.

Il ricorso in Cassazione: i motivi dell’imputato

L’architetto, condannato nei primi due gradi di giudizio, ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:

1. Errata qualificazione giuridica: Sosteneva che non si trattasse di un vero e proprio ‘incendio’ ai sensi del codice penale, ma di un fuoco su proprietà privata che, per essere penalmente rilevante, avrebbe richiesto la prova di un pericolo concreto per la pubblica incolumità.
2. Travisamento della prova: Lamentava che i giudici avessero ignorato testimonianze a suo favore, che lo descrivevano come un semplice consulente esterno e che suggerivano un’iniziativa autonoma del lavoratore, basando la condanna quasi esclusivamente sulla versione di quest’ultimo.
3. Insussistenza della posizione di garanzia: Contestava di rivestire una posizione di garanzia, dato il suo ruolo di consulente esterno con compiti ben definiti e non di dirigente di fatto della società.

La posizione di garanzia e la decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi del ricorso, confermando la condanna. I giudici hanno chiarito che, per configurare il reato di incendio colposo, è sufficiente che il fuoco abbia vaste proporzioni, tendenza a propagarsi e difficoltà di spegnimento, caratteristiche presenti nel caso di specie. Il pericolo per la pubblica incolumità, inoltre, è presunto quando l’incendio riguarda un bene altrui in un luogo accessibile al pubblico, come una palestra.

Soprattutto, la Corte ha stabilito un punto cruciale riguardo alla posizione di garanzia. Anche in assenza di una qualifica formale di dirigente o datore di lavoro, chiunque assuma di fatto la gestione di una specifica fonte di pericolo diventa titolare di un obbligo di protezione.

Le motivazioni

La motivazione della sentenza si concentra sul concetto di assunzione fattuale del rischio. Secondo la Corte, nel momento in cui l’architetto ha incaricato (o anche solo autorizzato) il lavoratore a svolgere un’attività pericolosa come la riparazione del tetto con fiamma libera, senza assicurarsi che possedesse la formazione e gli strumenti adeguati, ha di fatto preso in carico la gestione di quel rischio. Questa azione è sufficiente per far sorgere in capo a lui una posizione di garanzia, con tutti gli obblighi di protezione che ne derivano. L’investitura non deve essere necessariamente formale; ciò che conta è l’esercizio effettivo di poteri decisionali su una fonte di pericolo. La Corte ha inoltre ritenuto che la valutazione delle prove da parte dei giudici di merito fosse logica e coerente, senza alcun travisamento.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce un importante principio di responsabilità per tutti i professionisti che operano come consulenti esterni in contesti aziendali, specialmente in materia di sicurezza. La responsabilità penale non si ferma ai ruoli definiti da un contratto, ma si estende a chi, con le proprie decisioni, incide sulla gestione dei rischi. Affidare un compito pericoloso a personale non qualificato, anche senza un rapporto di lavoro diretto, significa assumersi la responsabilità delle possibili conseguenze. La decisione sottolinea che la tutela della sicurezza è un obbligo sostanziale che prevale sulle qualifiche formali.

Quando un incendio può essere classificato come reato ai sensi dell’art. 449 c.p.?
Secondo la Corte, si configura il reato di incendio quando il fuoco ha vaste proporzioni, una tendenza a propagarsi e presenta difficoltà di spegnimento. Non è rilevante che venga rapidamente domato se queste caratteristiche sono presenti al momento del suo sviluppo. Inoltre, se l’incendio avviene su un bene altrui in un luogo aperto al pubblico, il pericolo per la pubblica incolumità è presunto.

Un consulente esterno può avere una posizione di garanzia in materia di sicurezza sul lavoro?
Sì. La sentenza chiarisce che la posizione di garanzia, e quindi l’obbligo di prevenire un danno, può sorgere non solo da un ruolo formale ma anche dall’esercizio di fatto di poteri decisionali su una fonte di rischio. Incaricando o autorizzando un lavoratore a svolgere un’attività pericolosa, il consulente ne assume la gestione e diventa responsabile della sua sicurezza.

Cosa significa “travisamento della prova” e quando può essere invocato in Cassazione?
Il travisamento della prova è un vizio della sentenza che si verifica quando il giudice fonda la sua decisione su un’informazione che non esiste negli atti processuali, oppure omette di valutare una prova decisiva che invece è presente. Non può essere utilizzato per richiedere una semplice rilettura o una diversa interpretazione delle prove, ma solo quando la ricostruzione del giudice è palesemente smentita dai documenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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