Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 8300 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 8300 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a TORINO il 06/02/1971
avverso la sentenza del 17/06/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il PG, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso udito l’Avvocato COGNOME in difesa di NOME COGNOME il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Torino, con sentenza del 27 giugno 2024, GLYPH ha confermato la sentenza del Tribunale di Torino di condanna di NOME COGNOME, architetto e consulente esterno del C.U.S Torino, in ordine al delitto di cui agli artt. 113 e 449 cod. pen. (in cooperazione colposa con NOME COGNOME, Presidente del Consiglio di Amministrazione del Golf Club Colonnetti) commesso in Torino il 14 settembre 2018, alla pena di mesi 8 di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna.
1.1.11 processo ha ad oggetto un incendio sviluppatosi sul tetto dell’edificio del RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO, sede della palestra “Guido Rossa”, e propagatosi, attraverso l’impianto di climatizzazione e due lucernai posti accanto ad esso, all’interno dei magazzini della sala danza e della sala pugilato, ove erano presenti materiali combustibili. Nelle conformi sentenze di merito, a proposito delle cause dell’incendio, si dà atto che nel pomeriggio del 14 settembre 2018 NOME COGNOME, dipendente del Golf Club COGNOME, società sportiva dilettantistica a responsabilità limitata, partecipata al 95% dal CUS e al 5 °h dalla Federazione Italiana Golf, assunto con le mansioni di manutentore delle aree verdi, stava effettuando lavori di rifacimento della guaina del tetto della palestra; in particolare, per eseguire l’impermeabilizzazione del solaio, ove era presente un’ infiltrazione di acqua piovana, COGNOME stava utilizzando un cannello alimentato a propano, quando la fiamma prodotta dal cannello era venuta a contatto con materiali altamente infiammabili: in assenza di un adeguato dispositivo antincendio per un intervento immediato, le fiamme si erano propagate in modo repentino e avevano interessato i filtri dei condizionatori e gli oblò di materiale plastico, che, colatura, avevano causato la diffusione del fuoco all’interno dei locali della palestra. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.2. Pastore è stato ritenuto responsabile per avere, per imprudenza, dato incarico di svolgere i lavori sopra descritti a COGNOME, senza tenere conto delle capacità dello stesso (art. 18 d.lgs 9 aprile 2008 n. 81) e senza adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento rispetto al rischio incendio legato all’impiego di fiamme libere (artt. 36 e 37 d.lgs n. 81/2008).
Il coimputato COGNOME nella qualità Presidente del Consiglio di Amministratore del RAGIONE_SOCIALE Colonnetti, datore di lavoro di COGNOME, in separato procedimento, ha definito la sua posizione con sentenza di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen.
2.Avverso la sentenza della Corte di Appello, COGNOME a mezzo dei difensori, ha proposto ricorso formulando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione, in ordine alla qualificazione giuridica del fatto in contestazione come reato di incendio ex art. 449 cod. pen.
La Corte – argomenta il ricorrente – era COGNOME incorsa in un vero e proprio travisamento per omissione, traendo la prova della sussistenza di un incendio dalla sola documentazione fotografica predisposta dai Vigili del Fuoco e non considerando la deposizione del teste COGNOME componente della squadra intervenuta sul luogo, secondo il quale il fuoco non aveva avuto “potenzialità espansive ulteriori”. La Corte, dunque, aveva sostenuto che “le fiamme divoratrici” si erano rapidamente propagate “con potenza distruttrice”, pur a fronte della testimonianza di segno contrario resa proprio da uno dei Vigili del Fuoco che avevano operato per spegnere le fiamme. L’art. 449 cod. pen. si limita a stabilire la sola configurabilità del delitto di incendio anche se cagionato per colpa, rinviando espressamente per l’individuazione degli elementi della fattispecie al delitto di cui all’art. 423 cod. pen., che distingue l’incendio di cosa altrui da quel di cosa propria e prevede, per la punibilità del secondo, la necessità che dal fatto derivi pericolo per la pubblica incolumità. La fattispecie in esame avrebbe dovuto essere qualificata come incendio colposo di cosa propria, in quanto le fiamme si erano sviluppate nell’ambito di un’area privata di esclusiva pertinenza del RAGIONE_SOCIALE, riservata all’accesso di soci e dipendenti, con la conseguenza che avrebbe dovuto essere dimostrato un pericolo concreto e effettivo per la pubblica incolumità.
2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge, e in specie degli artt. 192, 533 e 546 cod. proc. pen., e il vizio di motivazione in relazione all affermazione della responsabilità, fondata solo su alcuni dati probatori e sulla omessa considerazione di altri dati rilevanti.
La Corte, soffermandosi soltanto sulla attendibilità del teste COGNOME e sulla inattendibilità della versione dell’imputato, non aveva tenuto conto di alcune prove dichiarative specificamente indicate nel gravame, idonee a sconfessare la versione di COGNOME e a corroborare quella di COGNOME.
Entrambi i giudici di merito sarebbero incorsi nel travisamento per omissione in quanto:
(i) con riguardo alla qualità di referente assunta dall’imputato nei confronti di COGNOME, non avevano considerato: le dichiarazioni di NOME e NOME COGNOME, dipendenti del C.U.S. Torino, i quali avevano indicato NOME come un consulente esterno del C.U.S., con cui non si erano mai rapportati; le dichiarazioni di NOME COGNOME, Direttore Generale del C.U.S. Torino, il quale aveva affermato che ogni
impianto ha un responsabile, ovvero una persona che si occupa della gestione, del coordinamento e delle attività ordinarie e segnala eventuali anomalie o esigenze di opere di manutenzione;
(ii) con riguardo alle telefonate intercorse tra COGNOME e COGNOME e tra COGNOME e Pastore il giorno dell’evento, non avevano considerato le dichiarazioni di COGNOME, secondo cui GLYPH era stato COGNOME, segretario del C.U.S., GLYPH a impartirgli la disposizione di salire sul tetto per riparare la guaina e le dichiarazioni d COGNOME, il quale aveva riferito di non sapere chi avesse dato a COGNOME disposizioni in tal senso; COGNOME aveva anche dichiarato che prima dell’incendio aveva parlato per due volte al telefono con NOMECOGNOME ma dai tabulati telefonici era emersa una sola telefonata;
(iii) con riguardo alla effettuazione da parte di COGNOME su incarico di Pastore di lavori analoghi negli anni precedenti all’ evento, non avevano considerato le dichiarazioni di NOME COGNOME e dell’Ing. COGNOME NOMECOGNOME Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione del C.U.S., i quali, entrambi, avevano riferito che tale ente era solito appaltare lavori di riparazione non già a personale interno, bensì ad aziende esterne;
(iv) con riguardo al ruolo di COGNOME all’interno della struttura e alla sua decisione di procedere alla effettuazione della riparazione, non avevano considerato le testimonianze di COGNOME e di NOMECOGNOME i quali avevano ribadito che COGNOME si occupava solo di lavori di piccola manutenzione e mai avrebbe potuto essere autorizzato a lavorare sul tetto, né la testimonianza di NOMECOGNOME il quale aveva riferito che dopo l’incendio lo stesso COGNOME gli aveva confidato di essersi “preso la responsabilità di fare un lavoro di riparazione di una perdita sul tetto”, e lo aveva descritto come soggetto volenteroso e dinamico, incline ad assumere iniziative non richieste;
(v) con riguardo al materiale utilizzato per la riparazione e al significato da attribuire alla presenza negli ambienti del C.U.S. della strumentazione atta alla specifica riparazione effettuata da COGNOME non avevano tenuto conto che l’acquisto di tali materiali era avvenuto il 31 ottobre 2017, ovvero in epoca antecedente ai fatti per cui è processo, in vista della realizzazione di lavori da parte di operai altra ditta, dichiaratasi disponibile in tal senso, come chiarito dal teste COGNOME
2.3. Con il terzo motivo, ha dedotto la violazione di legge, e in specie dell’art. 113 cod. pen., e il vizio di motivazione per avere la Corte ritenuto configurabile una cooperazione colposa del ricorrente nel reato, pur non rivestendo egli una autonoma posizione di garanzia nella vicenda in esame. Pastore intratteneva con il CRAGIONE_SOCIALE un rapporto di consulenza esterna ben delimitata ed afferente alla gestione tecnica degli impianti sportivi, alla progettazione e alla direzione dei lavori e alla cura degli esperti burocratici connessi alle attrezzature in materia di
sicurezza: le sentenze di merito, dunque, avevano errato nel configurare in capo all’imputato una posizione di garanzia ampia, tale da consentire di qualificarlo come dirigente di fatto del C.U.S. Torino, pure essendo emerso dagli atti che COGNOME era, invece, soggetto alle direttive di terzi e, in primis, del coimputat COGNOME. L’episodio per cui è processo, dunque, era espressione di un rischio avulso rispetto a quello gestito da COGNOME. Anche a voler ritenere che COGNOME avesse veicolato l’ordine a COGNOME non si comprende – argomenta il ricorrentecome i giudici abbiano potuto attribuire al ricorrente la qualifica di dirigente fatto, posto che l’eventuale comando, ove effettivamente impartito, era, a tutto voler concedere, nient’altro che conferma di una disposizione proveniente da NOME COGNOME segretario del C.U.S.
Esclusa in capo a Pastore un’autonoma posizione di garanzia, non può sostenersi che egli avesse colposamente agevolato il verificarsi dell’evento nella consapevolezza della altrui condotta: volendo dare per accertata la conoscenza del contenuto del DUVRI (nel quale non era ricompresa la valutazione del rischio derivante dall’impiego di un cannello alimentato a propano per la realizzazione dei lavori di riparazione del tetto), ciò nondimeno non potrebbe configurarsi la cooperazione nel delitto colposo, non essendo Pastore investito, per legge o sulla base di diposizioni organizzative, della gestione di quello specifico rischio.
3.In esito alla discussione orale le parti hanno concluso come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato.
Il primo motivo, con cui si contesta la qualificazione giuridica del fatto come incendio colposo, è manifestamente infondato.
Il tema della configurabilità nel caso di specie di un vero e proprio incendio è stato oggetto di adeguata analisi in entrambe le sentenze di merito, che in quanto conformi possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale (Sez. 2 n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218). Il Tribunale ha dato atto che, per lo spegnimento delle fiamme, erano intervenute due squadre dei Vigili del Fuoco, un’autoradio e il Nucleo di NBCR, per un totale di ventidue uomini, oltre che due autopompe, un’autoscala, un’autobotte, e un carro fiamma, e che dalle foto in atti erano agevolmente rilevabili i danni riportati dall’impiant di condizionamento posto sul livello più alto del piano tetto, la totale distruzione di due lucernari e la combustione di tutto quanto contenuto nel magazzino della
palestra di danza e della palestra di pugilato. Sulla base di tali circostanze i Tribunale, rilevando che le fiamme avevano coinvolto almeno tre ambienti, con il rischio di intercettare anche impianti elettrici e creare ulteriori inneschi, e che palestra era aperta e attiva, ha osservato che solo grazie all’intervento tempestivo dei Vigili del Fuoco, allertati non appena le fiamme si erano sviluppate, l’incendio era rimasto confinato e non aveva prodotto danni ulteriori.
In coerenza con tali argomentazioni, la Corte di Appello ha affermato che a causa della condotta di COGNOME si era scatenato un vero e proprio incendio, domato in tempi rapidi grazie al tempestivo intervento dei Vigili del Fuoco, con ingente dispendio di mezzi e uomini. In tal senso sono state ritenute rilevanti le caratteristiche del fuoco, che, divampato in pochissimo tempo, aveva danneggiato gravemente una significativa porzione della copertura dell’edificio e i locali sottostanti.
2.1.La decisione impugnata appare coerente con la definizione di incendio, come in maniera costante elaborata dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, si configura un incendio (e non già solo fiamme) quando “il fuoco divampi irrefrenabilmente, in vaste proporzioni, con fiamme divoratrici che si propaghino con potenza distruttrice e con creazione del pericolo per una pluralità indeterminata di persone” (Sez. 4, n. 46402 del 14/12/2021, COGNOME, Rv. 282701 – 01; nello stesso senso Sez. 1, n. 14263 del 23/02/2017, COGNOME, Rv. 269842; Sez. 4, n. 43126 del 29/10/2008, COGNOME, Rv. 242459).
Il ricorrente invoca, in primo luogo, il vizio del travisamento della prova per omissione, per avere la Corte preso in esame solo una parte del compendio probatorio e per non avere considerato la deposizione del teste COGNOME Vigile del Fuoco, secondo cui il fuoco non aveva avuto “potenzialità espansive ulteriori”. In proposito non può che ribadirsi che, in tema di ricorso per cassazione, ai fini della deducibilità del vizio di “travisamento della prova”, che si risolv nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nella omessa valutazione della prova esistente agli atti, il ricorrente deve: a) identificare l’atto processuale c fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085; nello stesso senso, in ordine alla deduzione della decisività del dato omesso, Sez. 6, n. 36512 del 16/10/2020, COGNOME, Rv. 280117; Sez. 2, n. 19848 del
24/05/2006, COGNOME, Rv. 234162). Nel caso di specie, il dato che secondo il ricorrente la Corte avrebbe omesso di esaminare, lungi dall’essere decisivo, appare, anzi, del tutto ininfluente ai fini della qualificazione come incendio dell fattispecie in esame. Invero si è chiarito che, per potersi dire integrato il delit di incendio colposo, il fuoco, causato dalla condotta imprudente e negligente dell’agente, deve essere caratterizzato dalla vastità delle proporzioni, dalla tendenza a progredire e dalla difficoltà di spegnimento, mentre resta del tutto irrilevante che resti circoscritto entro un limite oltre il quale non possa estendersi in presenza di tali caratteristiche il giudice, il cui accertamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità se condotto con criteri non illogici, dev prescindere dall’accertamento di un pericolo concreto, in quanto nel reato in questione il pericolo per la pubblica incolumità è presunto (Sez. 4, n. 4981 del 05/12/2003, dep. 2004, COGNOME, Rv. 229670: nel caso di specie l’incendio si era sviluppato all’interno di una camera iperbarica, entro cui si trovavano alcuni pazienti sottoposti al trattamento di ossigeno-terapia, e la Corte ha ritenuto sussistente il reato di incendio colposo in presenza di un fuoco che si era propagato in maniera particolarmente rapida e aggressiva e che si era spento in pochi minuti, senza che avesse la possibilità di estendersi ulteriormente). Il dato che la Corte avrebbe omesso di considerare, dunque, ovvero il fatto che le fiamme erano rimaste circoscritte, non ha rilievo alcuno ai fini della corretta qualificazion giuridica della condotta.
In secondo luogo, il ricorrente sostiene che, venendo in rilievo un’ ipotesi di incendio di cosa propria, sarebbe stato necessario provare il pericolo concreto per la pubblica incolumità. A tale fine si osserva come, ai fini della configurabilità del reato delineato dall’art. 423, comma 2 cod. pen., deve intendersi per “cosa propria” quella su cui grava il diritto di proprietà del soggetto RAGIONE_SOCIALE> agente, (Sez. 5, n. 4129 del 29/02/2000, COGNOME, RAGIONE_SOCIALE> Rv. 216453). Nelle conformi sentenze di merito si è dato atto che l’incendio si era sviluppato nella palestra, luogo aperto al pubblico, e che al momento dei fatti erano presenti più persone, ovvero un istruttore e due atleti intenti ad allenarsi. Sulla base di tali rili dunque, correttamente il reato è stato inquadrato come incendio colposo di cosa altrui, pur essendosi, comunque, precisato che le fiamme avevano determinato un pericolo per la pubblica incolumità (in ordine a tale nozione si veda Sez. 3, n. 14432 del 29/02/2008, COGNOME, Rv. 239664 – 01, secondo cui rientra in tale concetto anche il possibile danno al singolo individuo).
3.11 secondo motivo, con cui si censura l’affermazione della responsabilità penale, fondata sulla lettura parziale del compendio probatorio e sulla omessa considerazione di alcuni dati, è infondato.
3.1. La motivazione delle sentenze di primo e di secondo grado, nell’individuare la responsabilità del ricorrente per avere incaricato NOME COGNOME di effettuare i lavori di impermeabilizzazione del tetto, muove dalle dichiarazioni rese a dibattimento da quest’ultimo. COGNOME aveva riferito che, fin dall’inizio dell sua assunzione, gli era stato detto che il suo referente era NOMECOGNOME che il 14 settembre 2018 su indicazione di NOMECOGNOME doveva spianare la ghiaia sul campo da beach volley e, mentre stava effettuando tale operazione, aveva ricevuto una chiamata di COGNOME che gli aveva segnalato una perdita di acqua sul tetto della palestra di INDIRIZZO e la necessità di intervenire; che erano seguite altre telefonate, due con COGNOME e due con COGNOME, per verificare se l’intervento fosse effettivamente necessario e COGNOME stesso, alla fine, lo aveva autorizzato a salire sul tetto raccomandandogli di stare attento; che già in precedenza, sempre su indicazione di COGNOME, aveva effettuato “rattoppi” della guaina sul tetto; che egli stesso aveva assicurato di essere in grado di effettuare tale tipo di operazione, avendo imparato la tecnica durante il servizio militare; che, a seguito del divampare delle fiamme, aveva avvisato COGNOME e telefonato a COGNOME
3.2. Al fine di valutare la doglianza, oltre a richiamarsi quanto già rilevato supra in merito al vizio del travisamento per omissione, si deve ricordare che il vizio di motivazione che denunci la carenza argomentativa della sentenza rispetto ad un tema contenuto nell’atto di impugnazione può essere utilmente dedotto in Cassazione soltanto quando gli elementi trascurati o disattesi abbiano carattere di decisività (Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267723; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, COGNOME ed altri Rv. 260841). Nello stesso senso si è sostenuto che l’emersione di una criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non può comportare l’annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all’esito di una verifica su completezza e sulla globalità del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l’impianto della decisione (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017 , M., Rv. 271227 – 01).
Alla luce di tali rilievi, si osserva che il motivo GLYPH non si confronta con la struttura argomentativa, GLYPH quale emerge dalla considerazione congiunta delle sentenze di merito conformi.
Alcune delle testimonianze che i giudici di merito non avrebbero considerato sono state prospettate dallo stesso ricorrente come non decisive e dirimenti. Le dichiarazioni dei dipendenti, i quali avevano riferito che i lavori di manutenzione venivano di regola appaltati all’esterno e che non erano soliti rapportarsi con
Pastore, valgono, al più, a documentare l’esistenza di prassi, ma non a provare quanto accaduto specificamente con riguardo alla riparazione che aveva dato causa all’incendio; analogamente, è circostanza neutra quella, pure emersa nel corso dell’istruttoria, per cui il materiale utilizzato da COGNOME era stato acquista moto tempo prima.
Quanto alle telefonate intercorse fra COGNOME da un lato, e COGNOME e COGNOME, dall’altro, nelle sentenze di merito si afferma che COGNOME aveva ammesso di aver ricevuto l’incarico sia da COGNOME, sia da COGNOME e che era stato lo stesso COGNOME a riferire di avere, quel giorno, sentito COGNOME al telefono due volte (una prima dell’incendio, nel corso della quale gli aveva confermato il lavoro sul campo di beach volley, e una dopo l’incendio), pur negando di averlo anche solo autorizzato a salire sul tetto.
Più in generale non è ravvisabile il lamentato vizio del travisamento per omissione, con riferimento alla mancata considerazione delle testimonianze che avrebbero riscontrato la versione dell’imputato, secondo il quale COGNOME aveva deciso di sua iniziativa di salire sul tetto e effettuare la riparazione con il cannell Il tema, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, è stato adeguatamente affrontato dal Tribunale e dalla Corte di Appello. Nella sentenza di primo grado (pag. 9) si è spiegato cha la ricostruzione, avallata da alcuni testi, fra cui COGNOME per cui COGNOME, persona zelante e desiderosa di lavorare, aveva assunto l’iniziativa di lavorare in quota con materiale infiammabile senza che nessuno glielo avesse richiesto, non era verosimile e logica: i dati dei tabulati telefonici, dai qu emergevano due telefonare tra COGNOME e COGNOME, l’una alle ore 11.16, della durata di dieci minuti, e l’altra alle ore 15.57, meglio si conciliavano con la versione resa dal lavoratore, in quanto non era verosimile che a Feizo, il cui orario di lavoro era 8-17, l’ordine di lavorare nel campo di beach volley fosse stato impartito solo a metà mattina. Nella sentenza della Corte di Appello (pagg. 10 e 11) sono state riprese le stesse argomentazioni e si è anche osservato come COGNOME, che pure aveva ammesso di aver involontariamente appiccato il fuoco, non avrebbe avuto alcuna ragione di coinvolgere Pastore, se l’incarico non fosse, effettivamente, partito anche da lui. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il percorso argomentativo adottato appare, dunque, esente dalle censure dedotte, sia sotto il profilo della considerazione dell’intero compendio probatorio, sia sotto il profilo della intrinseca struttura della motivazione: i giudici di mer hanno preso in esame tutte le risultanze istruttorie rilevanti e hanno chiarito, in maniera coerente con i dati richiamati e non manifestamente illogica, le ragioni per cui la ricostruzione del lavoratore dipendente, anche nella parte in cui aveva affermato che l’incarico di riparare la guaina del tetto gli era stato dato da COGNOME dovesse essere ritenuta attendibile.
4.11 terzo motivo, incentrato sulla non configurabilità della posizione di garanzia in capo al Pastore, è infondato.
Anche il tema della assunzione da parte del ricorrente della gestione del rischio relativo all’ operazione di riparazione del tetto demandata al lavoratore è stato approfondito da parte della Corte: dall’istruttoria era emerso – hanno spiegato i giudici – che NOME aveva incaricato (o, comunque, autorizzato) COGNOME ad effettuare la riparazione della copertura con un’attrezzatura per la quale non era stato addestrato e che non avrebbe, neppure, dovuto essere presente sul posto, esulando dalle dotazioni prese in considerazione dal DUVRI. In tal modo, egli aveva assunto la gestione del rischio relativo a tale operazione e la conseguente posizione di garanzia rilevante ai fini della affermazione della responsabilità. Ancora più incisivamente il Tribunale ha osservato che, anche a volere prescindere dalle fatture prodotte in giudizio che valevano a mostrare una consuetudine di rapporti fra Pastore e il C.U.S e un suo coinvolgimento stretto nella vita lavorativa della società, non fosse dirimente appurare se fra l’imputato e il C.RAGIONE_SOCIALE. sussistesse un vero e proprio rapporto continuativo e se Pastore rivestisse una posizione di dirigente anche solo di fatto, essendo sufficiente, per l’attribuzione della posizione di garanzia, la concreta assunzione della gestione della specifica fonte di pericolo alla luce delle specifiche circostanze in cui il fat si è verificato.
La motivazione adottata, incentrata sulla assunzione della gestione del rischio da parte dell’imputato, collegata al conferimento di un incarico fonte di tale rischio, appare esente dalle censure richiamate. Quel che rileva nel caso in esame, a prescindere dalla qualifica rivestita dal Pastore, è che lo stesso, demandando a COGNOME una attività che comportava il rischio di sviluppare le fiamme, in assenza di qualsivoglia, formazione, informazione e addestramento, o anche solo autorizzandolo a tale attività, abbia assunto in concreto la gestione dei rischi connessi all’attività. Tale assunto è conforme al consolidato orientamento per cui la posizione di garanzia può essere generata non solo da investitura formale, ma anche dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante, purché l’agente assuma la gestione dello specifico rischio mediante un comportamento di consapevole presa in carico del bene protetto (Sez. 4, n. 21869 del 25/05/2022, COGNOME, Rv. 283387; Sez. 4, n. 19558 del 14/01/2021, Mussano, Rv. 281171; Sez. 4, n. 24372 del 09/04/2019, Molfese, Rv. 276292; Sez. 4, n. 34975 del 29/01/2016, Biz, Rv. 267539).
Al rigetto del ricorso segue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma i 7 febbraio 2025 Il Consiglie GLYPH re GLYPH
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