Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 24377 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 24377 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a PALERMO il 31/07/1995
avverso la sentenza del 14/11/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e la sentenza impugnata.
Rilevato che il ricorso di NOME COGNOME è manifestamente infondato;
Considerato, infatti, che la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città pronunciata il 30 aprile 2024, con la quale il predetto era stato condannato alla pena di mesi sei di arresto ed euro 1.000,00 di ammenda perché riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 4 1.110/75 per avere portato fuori dalla propria abitazione, senza giustificato motivo, un coltello pieghevole con manico di colore rosso e lama in acciaio della lunghezza di cm 7,5, rinvenuto, a seguito di perquisizione personale operata da personale della polizia di Stato, all’interno della tasca dei pantaloni dell’imputato (fatto commesso il 5 settembre 2019);
Ritenuto che la Corte territoriale – con motivazione adeguata e non manifestamente illogica – ha escluso la sussistenza del giustificato motivo del possesso dell’arma bianca, nonché la configurabilità dell’ipotesi di lieve entità prevista dal terzo comma del citato art. 4, in considerazione delle dimensioni dell’arma e delle modalità del fatto, tenuto conto che il coltello si trovava nella tasca dei pantaloni dell’odierno ricorrente e che, quindi, era pronto per l’eventuale uso;
Considerato che in materia di porto abusivo di armi, costituiscono elementi sufficienti a giustificare la reiezione dell’istanza di concessione della diminuente della lieve entità del fatto il negativo giudizio sulla personalità dell’imputato (Sez. 1, n. 13630 del 12/02/2019, Rv. 275242 – 01);
Ritenuto, poi, che la Corte di appello, sempre in modo coerente, ha escluso l’ipotesi di non punibilità per la pericolosità insita nella disponibilità di un’arma del suo possibile uso;
Considerato che anche il mancato riconoscimento delle invocate attenuanti generiche è stata motivata, in modo razionale, per l’assenza di elementi positivi così come il diniego della non menzione è stato giustificato, in maniera coerente, sul fatto che l’iscrizione della condanna nel casellario può fungere da monito per un serio ravvedimento dell’imputato;
Rilevato che il ricorrente non si confronta in modo specifico rispetto a tale compiuto ragionamento svolto dalla Corte di appello e che, pur lamentando la violazione di legge ed il vizio di motivazione, chiede in realtà una differente (ed inammissibile) valutazione degli elementi processuali;
Rilevato, altresì, che la invocata prescrizione del reato contravvenzionale oggetto di contestazione non era maturata prima della pronuncia della sentenza
impugnata poiché, come statuito dal più alto concesso di questa Corte con la recente sentenza del 12 dicembre 2024, ai reati commessi nel lasso temporale che
va dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019, deve trovare applicazione, in quanto normativa più favorevole, quella dettata dalla I. 103/2017 (cd. Riforma Orlando).
Secondo tale approccio esegetico, sia la I. 3/2019 (cd. Riforma Bonafede), sia la
I. 134/2021 (cd. Riforma Cartabia), prevedono, in materia di prescrizione, una disciplina deteriore rispetto a quella prevista dalla Riforma del 2017. Ne deriva che
i reati commessi tra il 3 agosto 2017 e il 31 dicembre 2019 devono essere disciplinati, quanto alla individuazione del regime prescrizionale, dal testo dell’art.
159, comma secondo, cod. pen., così come riscritto dalla legge n. 103 del 2017, che prevede due sospensioni della prescrizione di massimo un anno e mezzo
ciascuna per i giudizi di appello e di cassazione, certo più favorevole della cessazione definitiva della prescrizione con la sentenza di primo grado prevista
dalla “riforma Cartabia”;
Ritenuto che deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con
conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende. Così deciso, in Roma il 19 giugno 2025.