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Piccolo spaccio: non basta la quantità, conta tutto

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio. Si contestava l’esclusione dell’ipotesi di piccolo spaccio, ma la Corte conferma che la valutazione deve essere complessiva, considerando non solo la quantità della droga ma anche l’organizzazione dell’attività (videosorveglianza, utenze dedicate, mezzi per la consegna), che in questo caso denotava una sistematica attività criminale e non un fatto di lieve entità.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Spaccio di lieve entità o attività organizzata? La Cassazione traccia la linea

La distinzione tra spaccio di sostanze stupefacenti e l’ipotesi attenuata del piccolo spaccio è una delle questioni più dibattute nel diritto penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 18206/2024) torna sul tema, ribadendo che la valutazione non può limitarsi alla mera quantità di droga, ma deve abbracciare l’intero contesto della condotta criminale. Analizziamo insieme questo importante provvedimento.

Il caso: una condanna per spaccio e il ricorso in Cassazione

Un soggetto veniva condannato in primo grado e in appello per il reato di illecita detenzione di sostanze stupefacenti, nello specifico cocaina e marijuana. La pena inflitta era di tre anni di reclusione e 14.000 euro di multa.

L’imputato, tramite il suo difensore, presentava ricorso in Cassazione, sostenendo che i giudici di merito avessero errato nel non qualificare il fatto come un’ipotesi di piccolo spaccio, prevista dal comma 5 dell’art. 73 del D.P.R. 309/1990. Secondo la difesa, la Corte di Appello si era soffermata eccessivamente sul dato ponderale (la quantità) della sostanza, trascurando altri parametri che avrebbero potuto condurre a una valutazione di minore gravità del fatto.

La questione giuridica: quando si applica l’ipotesi di piccolo spaccio?

L’articolo 73, comma 5, del Testo Unico sugli Stupefacenti, prevede una pena notevolmente inferiore per chi commette uno dei reati previsti dalla norma (coltivazione, produzione, detenzione, spaccio, ecc.) quando il fatto, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione, ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità.

La norma impone al giudice una valutazione complessiva e non parcellizzata. Il cuore del ricorso si basava proprio su questo punto: l’imputato lamentava una valutazione incompleta da parte dei giudici di merito, che avrebbero dato un peso eccessivo a un singolo elemento (la quantità) a discapito di tutti gli altri.

La valutazione complessiva per escludere il piccolo spaccio

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, definendolo manifestamente infondato. I giudici supremi hanno pienamente condiviso l’analisi svolta dalla Corte di Appello, la quale aveva basato la sua decisione su una serie di elementi concreti che, letti insieme, delineavano un quadro ben diverso da quello del piccolo spaccio.

Nello specifico, sono stati valorizzati i seguenti aspetti:

* Organizzazione logistica: l’abitazione dell’imputato era stata trasformata in una vera e propria base logistica per l’attività illecita.
* Videosorveglianza: era stato installato un sistema di videosorveglianza per controllare gli accessi all’abitazione, un chiaro indice di professionalità e della volontà di proteggere l’attività criminale.
* Comunicazioni dedicate: l’uso di un’utenza telefonica specifica per i contatti con i consumatori.
* Modalità di consegna: l’impiego di un motociclo per le consegne, un mezzo agile per effettuare scambi rapidi e sfuggire ai controlli delle forze dell’ordine.
* Varietà e confezionamento: il rinvenimento di diverse tipologie di droga (cocaina e marijuana), custodite in luoghi differenti e già suddivise in involucri pronti per la vendita.

Questi elementi, nel loro insieme, dimostravano una attività organizzata, sistematica e connotata da una rilevante pericolosità sociale, incompatibile con la ‘minima offensività’ richiesta per l’ipotesi di lieve entità.

Le motivazioni della decisione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché le censure proposte dal ricorrente erano meramente contestative e non si confrontavano criticamente con le argomentazioni logiche e ben fondate della sentenza d’appello. La decisione impugnata aveva correttamente applicato i principi di diritto consolidati in materia, effettuando una valutazione globale e non limitandosi al solo dato quantitativo. L’insieme degli indizi raccolti (l’organizzazione, la sistematica, i mezzi utilizzati) era tale da escludere in modo inequivocabile la configurabilità del piccolo spaccio.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce con forza un principio fondamentale: la qualificazione di un fatto di spaccio come ‘lieve’ non è un automatismo legato alla quantità di sostanza sequestrata. È, al contrario, il risultato di un’analisi approfondita di tutte le circostanze del caso concreto. La presenza di elementi che denotano organizzazione, professionalità e continuità dell’attività illecita rappresenta un ostacolo insormontabile al riconoscimento dell’ipotesi attenuata. Per gli operatori del diritto, questa pronuncia è un’ulteriore conferma della necessità di analizzare ogni singolo dettaglio della condotta per una corretta qualificazione giuridica del reato.

Per qualificare un reato come ‘piccolo spaccio’ è sufficiente considerare solo la quantità di droga detenuta?
No. La sentenza chiarisce che il giudice deve valutare complessivamente tutti gli elementi indicati dalla norma, non solo il dato quantitativo. Vanno considerati i mezzi, le modalità dell’azione, la qualità della sostanza e il contesto generale della condotta.

Quali elementi possono indicare un’attività di spaccio organizzata e non di lieve entità?
La sentenza elenca diversi indicatori, come l’uso della propria abitazione come base logistica, l’installazione di sistemi di videosorveglianza, l’utilizzo di un’utenza telefonica dedicata ai contatti con i clienti, l’impiego di mezzi veloci per le consegne e la detenzione di sostanze già suddivise in dosi pronte per la vendita.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene giudicato manifestamente infondato?
In base a quanto deciso nella sentenza, il ricorso viene dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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