Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 34292 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 34292 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 10/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato ad Albanella il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 13/02/2025 della Corte di appello di Salerno visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che la sentenza impugnata sia annullata senza rinvio; uditi difensori, avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 19 febbraio 2025, la Corte di appello di Salerno ha condannato – in parziale accoglimento dell’impugnazione del pubblico ministero e in riforma della sentenza assolutoria di primo grado emessa dal GIP del Tribunale Salerno all’esito di giudizio abbreviato – COGNOME NOME alla pena di nove mesi di arresto ed euro 10.000,00 di ammenda, con sospensione della
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A.)
pena e non menzione nel casellario giudiziario, per reati di cui agli artt. 110 cod. pen. e 44, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001 (capo 1 dell’imputazione), perché, in qualità di progettista e direttore dei lavori, in concorso con COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, per i quali si è proceduto separatamente, realizzava un complesso edilizio costituito da tre blocchi di fabbrica, con strutture portanti in cemento armato e posti tra loro in aderenza, di cui i corpi A e C su cinque livelli e il corpo B su sei livelli; intervento assentito dal permesso d costruire n. 805, prot. NUMERO_DOCUMENTO del 20 marzo 2018 e dal permesso di costruire in variante prot. n. 7483 del 24 luglio 2018; titoli edilizi illegittimi per violaz degli artt. 12 e 13 del d.P.R. n. 380 del 2001, in relazione all’art. 76 de regolamento urbanistico del Comune di Albanella e agli artt. 8 del d.m. n. 1444 del 1968 e 4 della legge n. 19 del 2009.
Secondo l’ipotesi accusatoria, come illustrato dalla lettera a) del capo 1 di imputazione, veniva utilizzata una superficie utile lorda (SUL) pari a 784,27 mq, comprendendo anche una particella di proprietà di un terzo soggetto ed esterna al lotto edificabile, in contrasto con i limiti autorizzati; inoltre, era impiegata una superficie accessoria (SA) pari a 1.393,10 mq, superiore a quella legittimata, fissata in «892,98 mq. Alla lettera b), si evidenzia la realizzazione del corpo A dell’edificio su tre livelli fuori terra, eccedendo il numero massimo di piani consentiti; alla lettera c), si rileva la costituzione di due piani in più corpi B e C, facendo ricorso a un volume ulteriore di 1.171,42 mc, ottenuto includendo impropriamente il volume del piano interrato; alla lettera d), ci si riferisce alla costruzione del corpo B a una distanza di soli 6 metri dalla INDIRIZZO, ricadendo nella fascia di rispetto stradale di 10 metri; alla lettera e), rileva la realizzazione di sottotetti con un’altezza media inferiore a 2,40 metri, al di sotto della soglia minima prescritta per la destinazione d’uso abitativa.
L’imputato era stato assolto in primo grado, per insussistenza dei fatti, dalle imputazioni di cui al capo 2), relative ai reati di cui agli artt. 323, 110 e 8 secondo comma, cod. pen., e di cui al capo 3), in riferimento ai reati previsti dagli artt. 481, 110 e 81, secondo comma, cod. pen. In grad9 di appello, l’assoluzione quanto al capo 2) è stata pronunciata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, mentre l’impugnazione del pubblico ministero è stata ritenuta inammissibile quanto al capo 3).
Avverso la sentenza di secondo grado, l’imputato, tramite i difensori, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si denunciano vizi della motivazione e la violazione degli artt. 238-bis e 649 cod. proc. pen.
In particolare, la sentenza impugnata si porrebbe in contrasto logicogiuridico con la sentenza irrevocabile n. 1673/2023 della Corte di appello di Salerno, passata in giudicato in data 22 dicembre 2023, con la quale è stata pronunciata l’assoluzione di COGNOME NOME, coimputata per i medesimi fatti, con la formula “il fatto non sussiste”. Secondo la prospettazione difensiva, tale decisione avrebbe escluso in via definitiva la sussistenza del fatto storico contestato – e, in particolare, l’illegittima utilizzazione di una SUL e di una SA superiori ai limiti consentiti mediante l’asservimento di una particella esterna ritenendo legittimo l’intervento edilizio assentito con il permesso di costruire n. 805 del 2018, nel quale erano correttamente indicate le particelle e la relativa cubatura.
2.2. Con un secondo motivo, l’imputato lamenta vizi della motivazione e violazione degli artt. 110 cod. pen., con riferimento agli artt. 44, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001, 12 e 13 del d.P.R. n. 380 del 2001, 76 RUEC del Comune di Albanella, 8 del d.m. n. 1444 del 1968 e 4 della legge n. 19 del 2009.
In particolare, la difesa lamenta l’omessa esclusione dell’elemento soggettivo del reato, nonostante lo stesso fosse stato escluso nella sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata nei confronti di COGNOME NOME e già ritenuto insussistente anche dal giudice di primo grado.
2.3. Con un terzo motivo di ricorso, l’imputato lamenta vizi della motivazione, nonché la violazione delle disposizioni sopra richiamate.
Secondo la prospettazione difensiva – sebbene il primo giudice avesse ritenuto la piena legittimità dei titoli edilizi consistenti nel permesso di costru n. 805 del 20 marzo 2018 e del permesso di costruire in variante n. NUMERO_DOCUMENTO del 24 luglio 2018, dal momento che nella fase dell’originario permesso a costruire, cioè quando si era effettivamente determinato l’asservimento, il proprietario della particella asservita era il comproprietario a pieno titolo delle asserventi – l Corte di appello avrebbe qualificato il NUMERO_DOCUMENTO come sanatoria edilizia, piuttosto che come mera variante al permesso già rilasciato, in palese travisamento del contenuto del titolo. Secondo il ricorrente, si trattava invece di un’istanza di applicazione del cd. “Piano Casa”, finalizzata unicamente all’ampliamento volumetrico del 20% rispetto al progetto già assentito, senza che vi fosse stata alcuna contestazione di abusi o difformità edilizie che potessero giustificare una sanatoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso – i cui motivi possono essere trattati congiuntamente – è fondato.
1.1. Va premesso che la condanna pronunciata dalla Corte territoriale con riferimento al capo 1 dell’imputazione – l’unico che qui assume rilievo – ruota intorno alla considerazione che l’acquisizione di terreni a fine di rendere possibile la cessione di cubatura sia stata effettuata in un momento successivo rispetto alla realizzazione dell’abuso e sia stata oggetto di una sanatoria illegittima. La difesa sostiene invece che non si sia trattato di una sanatoria, ma di una variante regolarmente autorizzata, e fa leva sull’assoluzione della coimputata COGNOME, pronunciata con sentenza passata in giudicato, per insussistenza del fatto.
1.2. Dalla lettura dell’imputazione e dalla ricostruzione fatta propria dalla sentenza impugnata, emerge che il capo 1 ha per oggetto cinque violazioni: a) il calcolo della superficie assentita, in quanto era stata utilizzata una particella non oggetto del permesso; b) l’altezza assentita, perché calcolata sulla base di un edificio posto ad una distanza di circa 50 m e non sulla base di edifici più prossimi e più bassi; c) l’utilizzazione di una ulteriore volumetria di mc 1171,42, non realizzabile; d) la distanza del fabbricato dalla sede stradale; e) l’altezza dei sottotetti.
1.3. Per quanto qui strettamente rileva, l’imputato è stato assolto in primo grado sulla base delle seguenti considerazioni.
1.3.1. Quanto al capo la, si afferma che la cessione di cubatura, che aveva consentito l’utilizzazione di una maggiore superficie utile, era da considerarsi legittima, perché, nella fase di rilascio dell’originario permesso, quando si era determinato l’effettivo asservimento, il proprietario della particella asservita era comproprietario a pieno titolo delle particelle asserventi. L’asservimento non necessitava di un preventivo atto, ma si era determinato per effetto del rilascio del titolo, che aveva vincolato la cubatura della particella asservita alle particell asserventi. L’eventuale atto scritto di asservimento avrebbe costituito, secondo il giudice di primo grado, solo un rafforzamento della sua opponibilità, già garantita dall’annotazione dell’asservimento della particella in questione sul registro dei permessi di costruire, con riferimento ad entrambi i permessi oggetto dell’imputazione (n. 805 del 20 marzo 2018 e n. 7483 del 24 luglio 2018). Inoltre, sempre per il primo giudice, l’asservimento doveva essere ritenuto legittimo, perché la particella asservita confinava effettivamente con le altre, in quanto separata da queste da strada privata e non da strada pubblica.
1.3.2. Quanto al capo lb, relativo all’altezza dell’edificio, il giudice di prim grado ha ritenuto che ci si dovesse riferire non alla media degli edifici circostanti ma all’edificio più alto preesistente nell’area e, dunque, ad un edificio posto a
distanza di circa 50 m, separato dalle nuove costruzioni da una strada privata ad uso pubblico, che non interrompe la zona omogenea B2.
1.3.3. Quanto al capo lc, il giudice di primo grado ha ritenuto che tutti gli elementi strutturali concorressero alla volumetria del manufatto e che i piani interrati non potessero essere esclusi dalla base di calcolo della volumetria esistente, per determinare quelle in aumento, dovendosi al contrario escludere solo i vani tecnici.
1.3.4. In relazione alla distanza dal piano stradale, oggetto del capo ld, la sentenza di primo grado ha ritenuto che la INDIRIZZO, presa come riferimento dal pubblico ministero per calcolare la fascia di rispetto, non fosse una strada pubblica, ma una strada privata ad uso pubblico, per la quale non ha efficacia la fascia di inedificabilità richiamata nel capo di imputazione. Si tratterebbe, inoltre, di un fabbricato posto nel centro abitato e, dunque, escluso in ogni caso dall’applicazione di una fascia di rispetto stradale, in forza del piano urbanistico comunale.
1.3.5. Infine, quanto all’altezza media di sottotetti (capo le), il giudice d primo grado ha constatato che essi non erano presenti nel progetto e non erano mai stati realizzati.
Nell’accogliere l’appello del pubblico ministero, la Corte territoriale – come anticipato – ha ritenuto che il permesso di costruire n. 7483 del 24 luglio 2018 fosse un permesso di costruire in sanatoria illegittimo, per violazione del principio della doppia conformità delle opere rispetto alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della loro realizzazione sia al momento della presentazione della sanatoria. La sentenza richiama la giurisprudenza di legittimità e la giurisprudenza amministrativa sul punto, nonché la sentenza della Corte costituzionale n. 101 del 2013, evidenziando le differenze strutturali fra sanatoria e condono edilizio. Tali principi – secondo la Corte d’appello troverebbero applicazione nel caso di specie, perché l’edificazione si era basata su un asservimento che era avvenuto in pendenza del procedimento di sanatoria. L’oggetto della sanatoria era dunque diverso rispetto all’oggetto dell’edificazione di partenza, perché comprendeva in sé un asservimento originariamente non compreso; vi era stata, in altri termini, una modificazione della situazione iniziale,·che escludeva in radice l’applicazione del principio di doppia conformità, il cui presupposto è l’identità delle opere al momento della loro realizzazione e al momento della richiesta di sanatoria.
Quanto, poi, alla sentenza di assoluzione di COGNOME NOME, per insussistenza del fatto, la stessa è stata ritenuta dalla Corte d’appello irrilevante, perché tale
assoluzione non trova fondamento in una diversa valutazione del fatto stesso, ma semplicemente in una diversa ricostruzione giuridica.
Deve osservarsi che, dalla motivazione della sentenza impugnata emerge che la stessa, pur in presenza di un ricorso del pubblico ministero che riguardava anche i punti b), c), d), e) del capo 1 dell’imputazione, si è pronunciata sul solo capo la), pur facendo, nel dispositivo, generico riferimento al capo 1. In mancanza di ricorso per cassazione del pubblico ministero, deve ritenersi che, quanto alle violazioni di cui ai punti b), c), d), e) del capo 1, la pronunci assolutoria di primo grado sia divenuta definitiva, non essendo state smentite, da parte della Corte territoriale, le valutazioni del primo giudice sull’altezza delle costruzioni, sulla volumetria, sulla distanza dalla strada, sull’altezza dei sottotetti.
Relativamente al capo la, unico oggetto della pronuncia della Corte di appello, deve rilevarsi come la stessa imputazione qualifichi il permesso di costruire n. 7483 del 24 luglio 2018, come permesso di costruire in variante e non come permesso di costruire in sanatoria. Del resto, la stessa Corte d’appello, nella sua diffusa motivazione, si limita a richiamare astratti principi di diritt ritenuti applicabili, ma non spiega la ragione per la quale tale permesso, contro la sua stessa denominazione di variante, debba essere qualificato come permesso in sanatoria. Ed è evidente che il principio di doppia conformità, alla base della sanatoria edilizia (di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001), implica l’identità delle opere al momento della toro realizzazione e al momento della richiesta di sanatoria e, perciò, non trova applicazione per le varianti, le quali, per definizione, implicano un mutamento dell’opera edilizia da realizzare, rispetto a quanto assentito con l’originario permesso di costruire. In questo quadro, si inscrive l’asservimento della particella di cui all’imputazione, che la Corte di appello qualifica come mutamento dell’opera edilizia, come tale escluso dalla sanatoria, senza evidenziare quale sia la tempistica dell’asservimento stesso in riferimento al secondo permesso di costruire, quello del 24 luglio del 2018.
Corretta, appare invece, in linea di principio, l’affermazione della Corte d’appello secondo cui l’assoluzione di COGNOME NOME, per insussistenza del fatto, non impone di per sé l’assoluzione del coimputato COGNOME nel presente giudizio.
Deve infatti ricordarsi che l’acquisizione della sentenza irrevocabile di assoluzione del coimputato del medesimo reato non vincola il giudice, che, fermo il principio del ne bis in idem, può rivalutare anche il comportamento dell’assolto, al fine di accertare la sussistenza ed il grado di responsabilità dell’imputato da
giudicare (ex plurirms, Sez. 5, n. 15 del 21/11/2019, dep. 2020, Rv. 278389; Sez. 2, n. 9693 del 17/02/2016, Rv. 266656; Sez. 4, n. 19267 del 02/04/2014, Rv. 259371).
Da quanto precede consegue l’annullamento della sentenza, con rinvio alla Corte di appello di Napoli, perché proceda a nuovo giudizio, nei limiti e in applicazione dei principi di diritto sopra esposti.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Napoli.
Così deciso il 10/07/2025