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Permesso di costruire in sanatoria: non sana l’abuso

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un cittadino condannato per abusi edilizi. La sentenza chiarisce che la semplice presentazione di una domanda di permesso di costruire in sanatoria non è sufficiente a estinguere il reato, specialmente se le opere non rispettano il principio della “doppia conformità”, ovvero la conformità alle norme edilizie e urbanistiche sia al momento della costruzione che della richiesta.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Permesso di costruire in sanatoria: la Cassazione fissa i paletti invalicabili

L’ottenimento di un permesso di costruire in sanatoria rappresenta spesso l’unica via per regolarizzare un abuso edilizio. Tuttavia, una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 24980/2025) ha ribadito con forza i limiti di questo strumento, chiarendo che la semplice presentazione della domanda non basta a cancellare il reato e che il requisito della “doppia conformità” è un pilastro non negoziabile. Analizziamo insieme la decisione e le sue importanti implicazioni pratiche.

I fatti del caso

Un privato cittadino era stato condannato in primo grado e in appello per aver realizzato una serie di opere senza il permesso di costruire e il nulla osta paesaggistico. Le opere abusive includevano una cisterna interrata, un piazzale, un locale deposito, un viale di accesso e un impianto di trattamento delle acque reflue, tutte realizzate con cemento armato senza la supervisione di un tecnico abilitato. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse omesso di considerare una nuova domanda di sanatoria presentata di recente, configurando un vizio di “travisamento della prova”.

La questione del permesso di costruire in sanatoria e la “doppia conformità”

Il cuore della questione legale ruotava attorno alla possibilità che la nuova istanza di sanatoria potesse rendere il ricorso fondato. La difesa sosteneva che la mancata valutazione di questo nuovo elemento avesse viziato la decisione dei giudici di merito.

La Suprema Corte, tuttavia, ha respinto completamente questa linea difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del diritto edilizio: la necessità della doppia conformità, sancita dall’art. 36 del d.P.R. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia).

Il concetto esteso di “doppia conformità” secondo la Cassazione

I giudici hanno chiarito che il requisito della “doppia conformità” non si limita alla sola disciplina urbanistica (piani regolatori, vincoli, ecc.), ma si estende all’intera “disciplina edilizia”. Questo significa che l’opera abusiva deve rispettare, sia al momento della sua realizzazione sia al momento della richiesta di sanatoria, tutte le normative tecniche di settore, tra cui:
* Norme antisismiche
* Norme sulla sicurezza e antincendio
* Norme igienico-sanitarie
* Norme sull’efficienza energetica

Nel caso specifico, le opere erano state realizzate in conglomerato cementizio armato, violando le norme che impongono il deposito preventivo dei calcoli strutturali e la supervisione di un tecnico. Secondo la Corte, queste violazioni, così come quelle in materia sismica, non sono in alcun modo sanabili a posteriori. Il deposito “in sanatoria” degli elaborati progettuali non può estinguere la contravvenzione, che punisce proprio l’omesso deposito preventivo.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione di inammissibilità su più fronti. In primo luogo, ha osservato che il ricorrente non aveva ancora ottenuto alcun permesso di costruire in sanatoria; la sola domanda non produce effetti estintivi del reato. In secondo luogo, e in modo dirimente, le opere contestate non erano oggettivamente sanabili. La stessa domanda di sanatoria, che prevedeva la demolizione di alcune opere e il ripristino di altre, dimostrava l’assenza della conformità originaria. La Corte ha inoltre ribadito che in un’area soggetta a vincolo paesaggistico, il rilascio di un permesso di costruire postumo senza la preventiva autorizzazione paesaggistica non ha alcuna efficacia sanante. Infine, la sentenza ha esteso il principio della non sanabilità, già consolidato per le violazioni sismiche, a tutte le opere in cemento armato e a tutte le violazioni della “disciplina edilizia” complessivamente intesa. Ragionare diversamente, limitando la verifica della doppia conformità alla sola urbanistica, creerebbe un’assurda premialità per l’abuso edilizio, trasformandolo in un fatto compiuto che aggira le norme tecniche essenziali per la sicurezza pubblica.

Le conclusioni

La sentenza n. 24980/2025 è un monito fondamentale per chiunque intenda intraprendere la strada della sanatoria edilizia. La decisione conferma che il permesso di costruire in sanatoria non è una scorciatoia, ma un istituto eccezionale subordinato a requisiti rigorosi. La “doppia conformità” è un concetto ampio che abbraccia non solo le norme urbanistiche, ma l’intera disciplina edilizia, comprese le norme tecniche su sicurezza, sismica e statica. Le violazioni di queste ultime, soprattutto per opere in cemento armato, non sono sanabili, e la semplice presentazione di un’istanza non ferma il procedimento penale né estingue il reato. La regolarizzazione di un abuso edilizio richiede un percorso trasparente e conforme alla legge sin dall’origine, poiché le sanatorie a posteriori incontrano limiti giuridici insormontabili.

La semplice presentazione di una domanda di permesso di costruire in sanatoria è sufficiente a estinguere il reato di abuso edilizio?
No, la sola presentazione della domanda non è sufficiente. Secondo la Corte, il permesso non era stato ancora conseguito e, in ogni caso, le opere non erano suscettibili di sanatoria.

Cosa si intende per “doppia conformità” ai fini della sanatoria edilizia?
Significa che l’opera abusiva deve essere conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della sua realizzazione, sia al momento della presentazione della domanda di regolarizzazione, come previsto dall’art. 36 del d.P.R. 380/2001.

La “doppia conformità” riguarda solo le norme urbanistiche o anche quelle tecniche, come le norme antisismiche?
La Corte ha chiarito che la doppia conformità deve riguardare non solo la disciplina urbanistica, ma anche quella edilizia nel suo complesso, che include le norme tecniche antisismiche, di sicurezza, igienico-sanitarie e relative all’efficienza energetica. Le opere realizzate in violazione di tali norme, come quelle in cemento armato senza deposito preventivo dei calcoli, non sono sanabili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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