Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 35240 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6   Num. 35240  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato in Canada il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 24/05/2025 del Tribunale di Roma visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME è sottoposto a custodia cautelare nell’ambito del procedimento volto alla sua estradizione verso il Canada, in esecuzione di due mandati di arresto internazionale emessi dalla Corte superiore del Quebec, il primo per il reato di associazione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti commesso tra il 02/05/2022 e il 06/01/2023 e, il secondo, per i reati di aggressione e lesioni personali commessi con l’uso di armi tra il 02/05/2022 e il 06/01/2023.
Con l’ordinanza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Roma ha respinto l’istanza di autorizzazione al colloquio tra NOME COGNOME e la signora NOME COGNOME.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’estradando per violazione di legge in relazione agli artt. 1, 15 e 18 I. n. 354 del 1975 e per mancanza e manifesta illogicità della motivazione.
Rileva il difensore che NOME COGNOME è la compagna convivente del ricorrente e che aveva già ottenuto in più occasioni dei colloqui in carcere. A seguito di una istanza di colloquio permanente, la Corte di appello ha acquisito informazioni presso le competenti autorità dello Stato canadese, per verificare se sussistessero ragioni ostative alla concessione dei permessi di colloquio.
Il Dipartimento di Giustizia del Canada ha rappresentato che qualsiasi incontro con la donna «solleverebbe gravi preoccupazioni e potrebbe avere un impatto negativo sulle indagini in Canada poiché tali incontri possono consentire la continuazione dei crimini».
Nella prospettazione difensiva, le sopravvenute informazioni dei pubblici ministeri canadesi, fondate sulla gravità dei fatti contestati, non sarebbero di per sé ostative al richiesto colloquio, né si vede come gli incontri possano consentire la continuazione dei crimini commessi, che sono oramai consumati. Oltre a ciò, si rileva che la donna non si è mai recata in Canada e che non potrebbe in alcun modo inquinare le prove.
La negazione dei colloqui, quindi, violerebbe gli artt. 15 e 18 ord. pen., che favoriscono i colloqui del detenuto con il mondo esterno e, in particolar modo, con i familiari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.  Il ricorso è inammissibile.
Sulla natura giuridica dei permessi di colloquio e sul conseguente regime di impugnabilità si è registrata una progressiva evoluzione della giurisprudenza.
Secondo un primo, e più risalente, orientamento, questi provvedimenti non hanno natura giurisdizionale ma amministrativa, perché non incidono sulla libertà personale, ma attengono alle modalità esecutive della custodia e al trattamento del detenuto; pertanto, per il principio di tassatività delle impugnazioni, non sono impugnabili con i mezzi previsti dal sistema processuale penale, ma con quelli dell’ordinamento amministrativo (Sez. 4, n. 2222 del 07/04/2000, Bresciani, Rv. 216486).
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Le Sezioni unite della Corte hanno, invece, statuito che i provvedimenti dell’amministrazione penitenziaria in materia di colloqui visivi e telefonici dei detenuti e degli internati, in quanto incidenti su diritti soggettivi, sono sindacabi in sede giurisdizionale mediante reclamo al magistrato di sorveglianza che decide con ordinanza ricorribile per cassazione secondo la procedura indicata nell’art. 14ter della legge 26 luglio 1975 n. 354 (Sez. U, n. 25079 del 26/02/2003, Gianni, Rv. 224603 – 01).
Secondo altra impostazione, divenuta prevalente, e a cui il Collegio aderisce, «i provvedimenti che decidono sulle istanze di colloquio dei detenuti, potendosi risolvere in un inasprimento del grado di afflittività delle misure cautelari, sono ricorribili in Cassazione, ex art. 111 Cost., comma 7» (Sez. 6, n. 3729 del 24/11/2015, dep. 2016, Avola, Rv. 265927; Sez. 2, n. 23760 del 06/05/2015, COGNOME, Rv. 264388).
Risponde, infatti, a un principio di civiltà giuridica che «a colui che subisce una restrizione carceraria – preventiva o definitiva – sia comunque riconosciuta la titolarità di situazioni soggettive attive e sia garantita quella parte di diritti d personalità che neppure la pena detentiva può intaccare». Tra questi è certamente annoverabile il diritto al mantenimento di relazioni familiari e sociali, che può essere compresso «solo ove ricorrano specifiche e motivate esigenze di sicurezza pubblica o intramuraria o, per detenuti in attesa di giudizio, d’ordine processuale» (Sez. 5, n. 8798 del 04/07/2013, dep. 2014, Stefani, Rv. 258823).
In sintesi, il diniego di un permesso di colloquio incide sul livello di afflittiv della privazione della libertà personale e può risolversi in un generalizzato inasprimento del grado di afflittività della misura cautelare.
Esso, quindi, va ricompreso nella categoria dei provvedimenti sulla libertà personale, avverso cui è sempre ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge ai sensi dell’art. 111 Cost.
Nel caso di specie il ricorso, quantunque rubricato come violazione di legge, censura la motivazione del provvedimento di diniego impugnato, motivazione che non è né carente né apparente, avendo il giudice dato compiuto conto dell’iter logico seguito nella sua decisione, mediante il richiamo alle statuizioni dei Pubblici ministeri canadesi procedenti, che avevano ritenuto che i colloqui potessero costruire uno strumento per la protrazione dell’attività illecita.
Il ricorso, quindi, va dichiarato inammissibile perché proposto per motivi non consentiti.
Non si fa luogo alla condanna al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende in quanto l’errore tecnico causativo dell’inammissibilità non è dovuto a colpa, alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale in corso.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 02/10/2025.