Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26419 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26419 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME MicheleCOGNOME nato a Villa Literno (RC) il 13/12/1968
avverso l’ordinanza del 20/1/2025 del Tribunale del riesame di Santa Maria Capua Vetere;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 20/1/2025, il Tribunale del riesame di Santa Maria Capua Vetere rigettava la richiesta presentata ex art. 324 cod. proc. pen. da NOME COGNOME quale legale rappresentante della “RAGIONE_SOCIALE, avverso il decreto di sequestro preventivo emesso il 24/10/2024 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli Nord.
Propone ricorso per cassazione il COGNOME, deducendo – con unico motivo – l’inosservanza degli artt. 125, 321 cod. proc. pen., 322-ter cod. pen. L’ordinanza
sarebbe del tutto priva di motivazione quanto al presupposto del periculum in mora, con riguardo al quale si riscontrerebbe una radicale carenza grafica, in evidente contrasto con la costante giurisprudenza di legittimità, ampiamente richiamata: il provvedimento, infatti, darebbe conto soltanto della presenza sui beni già di un sequestro di prevenzione, senza ulteriori argomenti. Il sequestro preventivo funzionale alla confisca di denaro, peraltro, non potrebbe esser di per sé ancorato alla natura fungibile del bene, dovendosi escludere ogni automatismo in punto di periculum, ancora in forza di indirizzi giurisprudenziali consolidati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso – che, come richiamato, coinvolge il solo profilo del periculum in mora risulta manifestamente infondato.
Pronunciandosi sul punto, l’ordinanza ha sottolineato che la contestuale presenza di un sequestro di prevenzione sul medesimo bene non vale, di per sé, ad escludere il suddetto periculum nell’ambito di un sequestro cautelare, ben risultando possibile la concomitante pendenza di misure sostenute da un differente titolo o da differenti esigenze, tutte meritevoli di apprezzamento. Ancora, il Tribunale ha sottolineato che, nel caso di specie, non risulta intervenuta alcuna confisca definitiva di prevenzione; che non sussiste alcuna prevalenza logica del sequestro di prevenzione su quello preventivo disposto nell’autonomo procedimento penale; che, peraltro, i beni oggetto del sequestro di prevenzione coincidono soltanto in parte con quelli oggetto del sequestro di cui all’art. 321 cod. proc. pen. qui in esame.
Tanto premesso, la assoluta carenza di motivazione denunciata nel ricorso non sussiste affatto, non ravvisandosi, pertanto, la violazione di legge dedotta ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen.
5.1. Il Tribunale del riesame, infatti, si è pronunciato nei termini appena richiamati in risposta ad uno specifico motivo di gravame, con il quale non si contestava la mancanza tout court di motivazione sul punto all’interno del provvedimento genetico ma, con ambito molto più limitato, si sosteneva l’assenza del periculum in mora soltanto “in quanto la società sarebbe già sottoposta a sequestro di prevenzione” (così riassunto nell’ordinanza il motivo di impugnazione, con espressione che sfugge a censure nel ricorso). Il Collegio di merito, pertanto, era chiamato ad esaminare la sussistenza del citato presupposto del sequestro preventivo nei puntuali e ristretti termini sollevati in sede di riesame, che – s ribadisce – coinvolgevano esclusivamente il rapporto tra misura cautelare e misura di prevenzione. Ebbene, la questione è stata affrontata dal Tribunale, con una
motivazione tutt’altro che assente o di mera apparenza, così da non riscontrarsi alcuna violazione di legge di cui all’art. 325 cod. proc. pen.
6. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità»,
alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616
cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente
fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2025
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