Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 4327 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 4327 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CALAFIORE NOME
Data Udienza: 19/12/2023
SENTENZA
sul ricorso 3ropsc c:
NlGRO COGNOME RCFV1A il 21/08/197;
<Tviersc e encenzs de; 21,112/2022 della CORTE APPELLO SEZ. DIST. di INDIRIZZO,i
visti rg)i atr COGNOME c:ovvedimento impugnato e ;corso,
udita !a relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conc L.s!or1. nei ,L’ubolico Ministero, :n persona dei Sostituto Procuríuwe COGNOME COGNOME, che ce chiesto dich:ara;s: Vir,arnrnssibiiità cl& ricorso;
ena la nano n :1,1-T,AVV_NOTAIO che ne insistito neil’accogiirnerito dei r;corso;
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Cagliari, con sentenza n. 912 d& 2022, in parziale riforma della sentenza del GUP presso il Tribunale di Sassari, ha assolto NOME COGNOME dal reato previsto dall’ art. 452-terdecles cod. pen, ed ha confermato la condanna alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione, pena sospesa, per il reato di cui all’art. 449, commi 1 e 2, cod. pen., in relazione all’art. 428, commi 1 e 3, cod. pen., per aver cagionato, per colpa, il naufragio della imbarcazione da diporto di sua proprietà adibita a trasporto di persone, derivando dal fatto pericolo per l’incolumità pubblica.
In particolare, la Corte d’appello ha disatteso il motivo d’impugnazione relativo alla corrispondenza tra imputazione e sentenza (artt. 125 e 546 lett. d) cod. proc. pen.), non essendo state travisate le conclusioni del pubblico ministero, che aveva chiesto la riqualificazione del fatto contestato nella previsione dell’art. 1123 cod. nav., senza operare alcuna modificazione della contestazione originaria. Il GUP, pur negando la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 1122 cod. nav., in effetti non contestata, aveva solo disatteso la richiesta di diversa qualificazione del fatto.
2.1. Inoltre, la Corte ha ribadito che l’evento naufragio era da ricondursi alla affermata condotta colposa dell’imputato, e non alle condizioni metereologiche avverse, come affermato dall’imputato, il quale aveva criticato la sentenza del GUP ritenendo comunque assente l’elemento materiale del pericolo concreto per l’incolumità pubblica, da ricondursi al necessario accertamento ex ante (tenendo conto delle dimensioni del mezzo, del numero dei passeggeri, del luogo di caduta o di naufragio, dell’espansività e della potenza del danno materiale) del concreto pericolo per un numero potenzialmente indeterminato di persone.
2.2. La Corte territoriale ha ritenuto, nel caso di specie, che seppure le persone a bordo fossero sbarcate normalmente e l’imputato avesse sempre mantenuto il contatto radio con i soccorsi, come già il primo giudice aveva correttamente accertato, si era in concreto verificato il pericolo, per le persone presenti sull’imbarcazione, di restare soggette all’imponderabile forza distruttiva dell’evento medesimo (Sez. 4 n. 13893 del 27/02/2009, Niccolai, Rv. 243215 01) e ciò era dimostrato in modo evidente dalla condotta tenuta dal COGNOME, che aveva deciso di riprendere la navigazione, benché fosse consapevole delle precarie condizioni in cui versava il natante ed il pericolo si era concretamente manifestato allorquando il motore dell’imbarcazione, durante la navigazione, si era improvvisamente spento, determinando l’ingovernabilità della stessa in considerazione delle avverse condizioni meteo-marine. Il buon comportamento assunto nel frangente (fornire giubbotti di salvataggio, preparare la scialuppa ed inviare il segnale di soccorso, mantenendo i contatti radio con i soccorritori) non
escludeva il reato. Inoltre, la consapevolezza delle non buone condizioni del motore era provata dalla circostanza che il COGNOME, come testimoniato dal titolare del campo boe, aveva richiesto la disponibilità di un ormeggio al fine di procedere ad alcune verifiche di natura tecnica sul motore, avendo lui sommariamente riferito esservi una bolla d’aria nel circuito del gasolio. Non aveva, invece segui consiglio di dirigersi presso il porto di Olbia, sito ove sarebbe stato agevole far controllare il motore e riparare eventuali guasti. Lo stesso imputato aveva riferito testualmente che aveva verificato la necessità del rabbocco di olio di circa 3 litri su di un totale di 15 complessivi. Il mancato funzionamento del motore aveva neutralizzato la corretta operazione di posizionare un cavo di 25 metri direttamente dalla prora dell’unità al corpo morto della boa, per poter contrastare la forza del mare.
Avverso tale sentenza, l’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia di NOME COGNOME, ha proposto ricorso per cassazione basato su quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.):
-in relazione all’art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen., violazione degli art 125,546 e 521 cod. proc. pen. in ragione della omessa valutazione delle conclusioni rassegnate da p.m., nel senso della qualificazione della condotta nella più favorevole previsione di cui all’art. 1123 cod. nav. e non come frainteso dal primo giudice quale contestazione dell’aggravante di cui all’art. 1122 cod. nav., e della correlativa omessa motivazione sulla riqualificazione del fatto in senso più favorevole all’imputato;
-in relazione all’art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen., violazione degli art 428 e 449 cod. pen. nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in riferimento alla verifica nell’incidente occorso dell’elemento del pericolo per la pubblica incolumità;
-in relazione all’art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen., la violazione degli ar 428 e 449 cod. pen. nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in riferimento alla individuazione della condotta doverosa che avrebbe dovuto tenere l’imputato per andare esente da responsabilità;
in relazione all’art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen., violazione dell’ar 1123 cod. nav., nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in riferimento alla non accolta riqualificazione del fatto.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla I. 18 dicembre 2020, n. 176 e succ. nnod., il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, chiedendo dichiararsi il ricorso inammissibile.
AVV_NOTAIO ha depositato memoria, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è manifestamente infondato.
1.1. La motivazione della sentenza impugnata non è affetta dai vizi che le sono attribuiti, giacché ha correttamente dato atto dell’errore in cui era caduta la sentenza di primo grado, in ordine alla affermata contestazione dell’aggravante prevista dall’art. 1122 cod. nav., ed ha, altresì, dato piana e corretta spiegazione delle ragioni per cui comunque non poteva qualificarsi il fatto nei termini p. e p. dall’art. 1123 cod. nav.
1.2. In particolare, la Corte di appello (vd. pagg. 9-1.0 della sentenza impugnata) ha precisato che’ tribunale non aveva travisato le conclusioni del pubblico ministero, il quale non aveva apportato alcuna modifica alla originaria contestazione di cui al capo a) della rubrica, essendosi limitato a concludere che il fatto contestato era, a suo avviso, da inquadrarsi nella meno grave fattispecie di cui all’art. 1123 cod. nav. Da tale presupposto, la sentenza impugnata, pur dando atto dell’errore in cui era caduto il Tribunale nel ritenere contestata l’aggravante di cui all’art. 1122 cod nav., che non ha però riconosciuto, ha tratto la conclusione che il Tribunale aveva semplicemente ritenuto corretta la qualificazione contenuta nella contestazione, mai modificata dal pubblico ministero.
Anche il secondo motivo di ricorso, con il quale sostanzialmente si lamenta la inadeguatezza dell’accertamento in concreto del pericolo per la pubblica incolumità, è infondato.
2.1. Il ricorrente deduce che la sentenza impugnata si sia sottratta, così come aveva fatto il GUP, alla valutazione del grado di offensività dell’evento per cui avrebbe dovuto accertare alla luce degli elementi concretamente determinatisi (dimensioni del mezzo, numero dei passeggeri che poteva essere trasportato, luogo effettivo di naufragio, espansività o potenza del danno materiale, possibilità di esporre a pericolo l’integrità fisica di un numero potenzialmente indeterminato di persone), la realizzazione del concreto pericolo per la pubblica incolumità che costituisce l’elemento materiale del reato.
2.2. Il tenore della doglianza, che cita a proprio sostegno precedenti di questa Corte di legittimità riferiti anche alla ipotesi prevista dal primo comma dell’art. 428 cod. pen., rivendicando il rispetto del canone interpretativo conforme al principio di offensività, consiglia una precisazione.
2.3. La fattispecie qui contestata è quella prevista daglli artt. 428, terzo comma, e 449 cod. pen., disposizioni che puniscono la condotta colposa di chi,
essendone proprietario, cagiona il naufragio o la sommersione di una nave o di u altro edificio natante, ovvero la caduta di un aeromobile, se dal fatto deriva pericolo per la incolumità pubblica.
Dunque, nell’ipotesi in esame, la punibilità dipende dall’accertamento in concreto del citato pericolo, mentre, nell’ipotesi di cui al primo c:omma dello stesso art. 428 cod. pen., la stessa condizione non è testualmente prevista, essendo punito il solo cagionare il naufragio di un natante di altrui proprietà. Considerando che non sono previste differenze di pena tra le due fattispecie, deve ritenersi che la esplicita previsione di una condizione di punibilità (a prescindere dalla qualificazione in termini di condizione obiettiva di punibilità o di elemento del reato che si intenda riconoscerle), implichi, nella logica originaria del codice, una riduzione dell’area della punibilità, in quanto al giudice è demandato l’accertamento non di un pericolo astratto di naufragio che sia comunque idoneo a determinare un pericolo per la pubblica incolumità ma, bensì, di un pericolo concreto per lo stesso bene, che supera di per sé la natura del bene dei singoli individui alla propria incolumità.
L’impostazione interpretativa che inquadrava l’ipotesi del primo comma nell’area sistematica della fattispecie legale tipica del cd. pericolo presunto, differenziandola notevolmente da quella del terzo comma, esplicitamente richiedente la presenza di pericolo concreto, è stata da tempo superata dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità.
Già Sez.4 n.36639 del 21/09/2012 ebbe modo di ricordare l’effetto che la giurisprudenza costituzionale (tra le molte, C. Cost. n. 286/1974, n. 333/1991, n. 133/1992, n. 360/1995, n. 296/1996, n.247/1997, n. 263 e n. 519/2000, n. 265/2005; n. 225/2008), aveva esercitato sulla ricostruzione delle fattispecie incentrate sul pericolo, imponendo il rinvenimento, nel tessuto normativo della fattispecie tipica, di elementi che consentano di dare concreta attitudine offensiva alla condotta. Al pericolo presunto va sostituito il pericolo astratto: il pericolo no può essere insindacabilmente ritenuto solo che si realizzi il fatto conforme al tipo, ma è conforme al tipo solo il fatto che esprime davvero una potenzialità offensiva dei beni tutelati.
In definitiva, sia il primo che il terzo comma dell’art. 428 cod. pen. (riferit all’ipotesi colposa per quanto qui rileva) richiedono l’accertamento dell’esposizione a pericolo del bene protetto (incolumità pubblica); ma, mentre nel primo caso occorre, valorizzando l’esigenza di colpire condotte realmente offensive, compiere una valutazione ex ante della portata della condotta che cagiona l’evento (del naufragio nel caso di specie), tale da collocare l’evento stesso in una cornice di reale pericolo per una collettività indeterminata al fine di assicurare la punibilità d una condotta materialmente offensiva del bene protetto, nell’ipotesi in cui si
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cagioni il naufragio del proprio bene, è il testo di legge a richiedere l’accertamento che il pericolo si sia realizzato in concreto.
2.4. In questa ottica, non assume decisiva rilevanza il numero di persone trasportate, quanto il rischio del coinvolgimento di individui non necessariamente identificabili nel contesto concreto in cui la condotta si realizzò, che deriva dall’innesco della condotta umana nel meccanismo delle forze naturali.
Il determinarsi di un pericolo che eccede la messa a repentaglio di soggetti ben individuati estendendolo anche ad un giudizio ex ante relativo a soggetti non preventivamente individuabili consegue alla differenza che si pone tra i reati che tutelano la (singola) persona e quelli che tutelano beni di rilievo collettivo, come è appunto l’incolumità pubblica.
Dunque, il naufragio di una imbarcazione, se cagionato per dolo o colpa, sarà punibile anche se era trasportata una sola persona, sempre che dall’evento disastroso discenda un concreto pericolo per l’incolumità pubblica, il quale consiste nella concreta esposizione anche solo delle persone presenti sull’imbarcazione all’imponderabile forza distruttiva dell’evento medesimo.
In questa ottica, vanno dunque letti i precedenti significativi di questa Corte di legittimità sul punto (in particolare, Sez. 4, n. 13893 del 30/03/2009.; Sez. 4, n. 19137 del 07/05/2015,) là dove è stato affermato, nel caso di naufragio di natante di proprietà dell’autore del reato, che in quanto reato di comune pericolo, lo stesso coinvolge la dimensione superindividuale di beni come la vita e la salute, per cui viene in rilievo l’indeterminatezza delle persone che possono concretamente essere esposte alla tipica situazione di pericolo.
Alla luce di quanto sopra esposto, è chiaro che tale concreta, qualificata possibilità (il pericolo concreto, appunto) consiste nella concreta esposizione dei naviganti alla sfera d’azione, alla imponderabile forza distruttiva dell’evento di pericolo costituito dal naufragio; senza che rilievi alcuna caratteristica personale delle possibili vittime.
Nel caso in esame, il giudice di merito ha compiuto, con argomentato apprezzamento non sindacabile nella presente sede di legittimità, la necessaria ponderazione. Da un lato, come si è visto, ha accertato che l’incagliamento ed il grave danneggiamento delle strutture e del motore avevano dato luogo ad un evento conforme, per la sua gravità, alla comune nozione di naufragio in mare aperto alla navigazione. Dall’altro ha ritenuto che, attesa tale contingenza, vi sia stata la esposizione delle persone imbarcate alla situazione di pericolo ingenerata dall’evento descritto, posto che le stesse sono state tratte in salvo dai soccorsi chiamati ad intervenire. Tali considerazioni sono coerenti con la nozione di pericolo per la pubblica incolumità che va applicata, in quanto ne ancora l’accertamento al riscontro che il naufragio si è verificato in uno specchio di mare aperto alla
navigazione, compreso tra Cala COGNOME, presso il cui campo boe era ormeggiata l’imbarcazione, e Cala Reale. La pronuncia ha correttamente posto in luce ch l’apprezzamento sul pericolo va fatto con valutazione ex ante e che è quindi irrilevante che nessuno dei passeggeri abbia riportato lesioni.
.Si tratta di enunciazioni con tutta evidenza aderenti ai principi che sono stati sopra esposti. I richiami giurisprudenziali contenuti in ricorso, riguardando anche l’ipotesi in cui il natante sia di altrui proprietà (primo comma dell’art. 428 cod. pen. in relazione all’art. 449 cod. pen.) non sono dunque perfettamente sovrapponibili al caso di specie e non incrinano la corretta interpretazione seguita dalla sentenza impugnata.
Nell’ipotesi qui ricorrente, la sentenza ha accertato, valutando gli elementi necessari, che si era realizzato un pericolo per la incolumità pubblica in base alle regole della comune esperienza, senza limitazioni.
In particolare, non essendovi dubbio sulla effettiva ricorrenza del naufragio (realizzatasi la distruzione dell’imbarcazione nello specchio d’acqua ove era ormeggiata), la Corte territoriale, inquadrando correttamente la fattispecie, ha proceduto all’accertamento, concreto ed in fatto e non solo potenziale, della situazione di pericolo generata dalla condotta dell’imputato, a prescindere dal successivo accertamento sulla rimproverabilità della medesima.
5.1. Si vedano sul punto le osservazioni contenute alla pagina 11) della sentenza ove, dopo aver accertato che già mentre si trovava nel porto di Olbia erano emersi dei problemi al motore, tanto che il proprietario aveva chiesto al responsabile del campo boe di Cala d’COGNOME di mettere a disposizione un ormeggio per operare alcune verifiche allo stesso, la sentenza deduce che il concreto pericolo per le passeggere, era stato scatenato dalla circostanza che il natante aveva ripreso la navigazione dal porto di Olbia, nonostante le non perfette condizioni in cui versava. Tale pericolo, aggiunge la sentenza impugnata, si è poi concretamente manifestato, allorquando il motore dell’imbarcazione, durante la navigazione, si era improvvisamente spento, determinando la conseguente ingovernabilità della stessa in considerazione delle avverse condizioni meteo-marine.
Il terzo motivo, che attiene alla erroneità della decisione quanto al profilo della configurabilità della colpa sotto il profilo della omessa indicazione della condotta doverosa attesa, è pure infondato.
Rispetto alle attività giuridicamente consentite, perché socialmente utili, ma per loro natura rischiose, la colpa presuppone l’inosservanza di regole di condotta impositive dell’obbligo di adottare misure cautelari, idonee a contenere i rischi entro limiti socialmente tollerabili. Si richiede dunque non solo la prevedibilità ed evitabilità, ma anche il superamento del «rischio consentito», che si ha appunto quando tali norme cautelari non sono osservate.
Per tali attività, peraltro, l’applicazione dei criteri della prevedibilità evitabilità, propri della colpa comune, comporterebbe una contraddizione tra regola che autorizza l’attività e quella che la punisce in ipotesi di conseguenza dannosa, perché in concreto largamente prevedibile ed evitabile, non tenendo l’attività rischiosa. In tale contesto, l’antinomia si supera individuando la misura del rischio consentito, volta a fissare il punto di equilibrio tra le opposte esigenze della tutela dei beni minacciati e lo svolgimento dell’attività utile.
In ordine all’accertamento della colpa, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha avuto modo di affermare (Sez. 4. n. 53455 del 29/11/2018, RV. 274500-01) che la valutazione in ordine alla prevedibilità dell’evento va compiuta ex ante riportandosi al momento in cui la condotta, commissiva od omissiva, è stata posta in essere, avendo riguardo anche alla potenziale idoneità della stessa a dar vita ad una situazione di danno, e riferendosi alla concreta capacità dell’agente di uniformarsi alla regola cautelare in ragione delle sue specifiche qualità personali, in relazione alle quali va individuata la specifica classe di agente modello di riferimento. Ancora, (Sez. 4., 21/08/2013, n. 35309) ai fini del giudizio di prevedibilità richiesto per la configurazione della colpa, deve aversi riguardo alla potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno e non anche alla specifica rappresentazione ex ante dell’evento dannoso, quale si è concretamente verificato in tutta la sua gravità ed estensione.
7.1. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha validamente operato il dovuto accertamento, valutando ex ante, al momento, cioè, in cui il COGNOME lasciò il porto di Olbia, il suo grado di consapevolezza delle condizioni del motore e la sua scelta di salpare verso il luogo ove ormeggiò l’imbarcazione, rimandando solo ad un momento successivo la verifica sul funzionamento del motore e l’operazione di rabbocco dell’olio, nonostante l’esplicito consiglio datogli dal responsabile degli ormeggi siti in Cala COGNOME. Dunque, l’evento naturale, certo non imprevedibile, dell’improvviso mutare delle condizioni marine che il regolare funzionamento del motore sarebbe stato in grado di contrastare validamente (come accaduto per le imbarcazioni vicine), poté sprigionare tutta la propria forza distruttiva.
E’ questa la condotta difforme dal modello di diligenza media del comandante di una imbarcazione che la Corte territoriale ha individuato per fondare il positivo accertamento dell’elemento soggettivo della colpa, basata su fatti certamente acquisiti e non solo supposti.
Il quarto motivo è pure manifestamente infondato. L’art. 1123 cod. nav., che il ricorrente indica in via subordinata come ipotesi astrattamente riferibile alla condotta accertata, incrimina il delitto colposo di danneggiamento con pericolo di naufragio, incendio, sommersione o disastro aviatorio. La disposizione ha carattere
residuale, poiché l’ultimo comma statuisce la inapplicabilità della fattispecie se il fatto è previsto come più grave reato da altra norma di legge.
La condotta indicata dalla norma realizza un generico danneggiamento colposo, cui deve conseguire però un pericolo per la integrità della nave o dell’aeromobile; il pericolo dunque condiziona la punibilità, trattandosi di un elemento futuro ed incerto, al cui verificarsi è subordinata la sottoposizione a pena del colpevole. La fattispecie in questione costituisce reato di danno: in essa, infatti, viene punito il danneggiamento per colpa, ed il pericolo per l’integrità del mezzo integra una condizione di punibilità, che insorge come effetto del danno medesimo, giacché, se il pericolo di naufragio o sommersione viene cagionato per colpa dall’agente «senza che questi provochi anche danneggiamento», riceve applicazione l’autonoma fattispecie codicistica che incrimina, con l’art. 450 cod. pen., i delitti colposi di pericolo.
8.1. Questa Corte di cassazione, (Sez. 4, del 18/11/2014, dep. 2015, n. 19137) in fattispecie simile alla presente, ha specificato che, nel caso, qui accertato, di naufragio di imbarcazione di proprietà dell’imputato che ha determinato concreta situazione di pericolo per i naviganti, ovverosia per le persone imbarcate, non è possibile ricondurre il fatto alla meno grave ipotesi di reato di cui all’art. 1123 cod. nav., la cui rubrica concerne il delitto “danneggiamene con pericolo colposo di naufragio o di disastro aviatorio “.
Come già chiarito, agli effetti della integrazione dell’evento ” naufragio ” è sufficiente che risultino compromesse le condizioni di galleggiabilità dell’imbarcazione atta al trasporto di più persone, qualunque siano la stazza, la portata, il mezzo di propulsione e lo scopo della navigazione cui è destinata: diporto, trasporto, pesca ecc. (Sez. 4 n. 11360/1977 rv. 1.36810; Sez. 4 n. 9029/1981 rv.150516; Sez. 4 n. 10391/1987) di guisa che la stessa, ancorché non completamente affondata od inabissata (Sez. 4 n. 1098/1968 rv. 109272; Sez. 1 n. 325/2002 rv, 220436) non risulti più in grado di navigare.
Ne discende che, nella concreta fattispecie, l’imputato non cagionò il solo pericolo di naufragio punito dall’art. 450 c.p., che, inquadrato nella categoria dei delitti colposi di mero pericolo, è finalizzato (al pari della previsione speciale di cu all’art. 1123 cod. nav., imperniata sul requisito del pericolo determinato da danneggiamento ) ad anticipare “la tutela rispetto a quella delineata dall’art. 449 c.p., incriminando anche le condotte che fanno solo sorgere o persistere il pericolo di un evento disastroso” (cfr. Sez. 4 n. 15444/2012).
In altri termini, se si verifica l’evento di pericolo tipico costituito dal naufra di cui all’art. 449 in relazione all’art. 428 c.p., ciò assorbe (e preclude l’ipotizzabilità del prodromico e presupposto mero pericolo di naufragio.
In definitiva, essendo tutti i motivi manifestamente infondati, il ricors dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2023.