Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 21824 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 21824 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Napoli in data 08/03/1974 avverso l’ordinanza del 26/11/2024 del Tribunale di Trieste, in funzione di giudice del riesame; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME COGNOME è accusato, in concorso con NOME COGNOME, di diversi furti pluriaggravati -dalla violenza sulle cose (danneggiamento di recinzioni e porte), da circostanze di tempo e luogo tali da ostacolare la privata difesa (in orario notturno e in zone isolate) e dall’ aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante entità -commessi ai danni di diverse società (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, avvenuti tra giugno e settembre 2024. Il COGNOME è stato inoltre accusato di ricettazione di beni sottratti alla ditta RAGIONE_SOCIALE
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pordenone, con ordinanza del 28/10/2024, ha rigettato la richiesta di applicazione di misura cautelare nei riguardi dei menzionati indagati.
Nonostante avesse riconosciuto loro una “apprezzabile capacità delinquenziale” basata sulla sistematicità delle condotte, la metodicità delle azioni, l’abilità dimostrata e il frequente cambio di veicoli, il Giudice per le indagini preliminari ha concluso per l’insussistenza delle esigenze cautelari, in particolare del pericolo di reiterazione del reato, ritenendo “alquanto inverosimile” che gli imputati potessero commettere ulteriori reati in un futuro prossimo, poiché ciò avrebbe peggiorato la loro posizione processuale, facendo loro perdere ogni favore derivante dalla confessione resa.
Lo stesso giudice ha ritenuto, poi, insussistenti sia il pericolo di inquinamento probatorio (poiché i due indagati avevano avuto tutto il tempo, una volta saputo del loro interrogatorio, di dare notizia agli eventuali sodali e, in particolare, al ricettatore delle indagini in corso), sia il pericolo di fuga (per il radicamento in Italia degli indagati e per essersi entrambi presentati a rendere l’interrogatorio preventivo).
Il Tribunale di Trieste, in funzione di giudice dell’appello cautelare , su impugnazione del Pubblico Ministero, ha ribaltato la decisione del Giudice per le indagini preliminari, ritenendo sussistente il pericolo di reiterazione del reato, applicando nei confronti di entrambi gli indagati la misura cautelare degli arresti domiciliari con controllo mediante mezzi elettronici e, in caso di mancato consenso all’applicazione di tali strumenti, la custodia cau telare in carcere.
Al riguardo, il secondo giudice ha valorizzato:
-la rilevante gravità dei fatti commessi, considerata sintomatica della pericolosità dei soggetti;
-il notevole danno patrimoniale arrecato;
-le caratteristiche dei beni rubati, indicative di un mercato illecito specifico;
-la sistematicità delle condotte, l’organizzazione e la professionalità dimostrate;
-l’implausibilità che tali condotte fossero dovute a mere necessità economiche, specialmente per il COGNOME che aveva un lavoro.
Il Tribunale ha, infine, tenuto conto dei precedenti penali (seppur di diversa indole) del COGNOME e della recente espiazione di pena senza segni di reinserimento sociale, ritenendo che la confessione, pur sintomo di iniziale ravvedimento, non elidesse il rischio di reiterazione dei reati, stante anche l’elevata spregiudicatezza mostrata dagli indagati.
Il COGNOME ha proposto ricorso per Cassazione, basato su un unico motivo, con cui lamenta la manifesta illogicità della motivazione del Tribunale collegiale,
nella parte in cui ha ritenuto sussistente il pericolo di reiterazione del reato.
Secondo la difesa del COGNOME:
-non è stato dato il giusto peso alla sua confessione;
-sono stati valorizzati elementi formali e non individualizzanti, senza considerare le specificità della sua posizione, con una valutazione cumulativa delle posizioni degli indagati fonte di disparità di trattamento, ovvero senza considerare il suo diverso coinvolgimento nei reati e, in particolare, il suo ruolo “marginale”, avendo partecipato a tre soli episodi su nove, su invito di COGNOME e per conseguire poche centinaia di euro in un momento di difficoltà economica a causa del suo lavoro “mal retribuito”;
-in particolare, la “rilevante gravità dei fatti commessi”, ritenuta tautologicamente “sintomatica della pericolosità” degli indagati, è stata succintamente ancorata al rilevante danno arrecato, alla sistematicità delle condotte e all’organizzazione dei furti, tutti denotanti, secondo il provvedimento impugnato, una “professionalità criminosa”.
La difesa di COGNOME, in definitiva, contesta che il giudice, nella valutazione del pericolo di reiterazione, avesse giudicato in maniera congiunta le diverse posizioni, giungendo a formulare un giudizio di “elevata spregiudicatezza” degli indagati senza fornire una motivazione specifica, necessaria in presenza di più indagati, così incorrendo in determinazioni complessive e generali in violazione dell’art. 27 della Costituzione: tanto, si rimarca, sarebbe stato possibile solo in caso di coinvolgimento di pari grado, insussistente nel caso di specie.
Il ricorso critica anche la valutazione del Tribunale del riesame in merito ai precedenti penali e alla recente espiazione di pena di COGNOME, ritenendo non condivisibile il giudizio sul mancato reinserimento sociale del ricorrente.
Viene richiamato il ragionamento del Giudice per le indagini preliminari, in linea con la ratio sottesa alla recente novella di cui alla legge 114/2024, che pone l’interrogatorio prima della decisione sulla misura cautelare, conferendo centralità a questo momento: sicché la confessione, unitamente al mancato inserimento del ricorrente in organizzazioni criminose e alla spinta a delinquere data da contingenti necessità economiche, fornirebbero -si conclude -maggior supporto alla decisione del primo giudice.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
In tema di misure cautelari personali, in sede di legittimità ci si deve limitare a verificare se i giudici di merito abbiano dato adeguato conto, in modo logico e conforme a diritto, delle ragioni che hanno indotto ad affermare, a carico dell’indagato, ex art. 292 cod. proc. pen., la gravità del quadro indiziario e la sussistenza delle esigenze cautelari in rapporto alla pericolosità dell’interessato e alla misura adeguata a fronteggiarla (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Rv. 21582801; confronta pure, ex multis , Sez. 3, n. 7268 del 24/01/2019, Rv. 275851-01).
Ne consegue che è inammissibile il controllo su quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Rv. 215828-01; si veda anche ex multis , Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Rv. 276976 -01), esulando dal controllo di legittimità il potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate (Sez. 2, n. 9212 del 02/02/2017, Rv. 269438-01), ivi incluso l’apprezzamento della pericolosità dell’indagato e della adeguatezza della misura, giudizio riservato al giudice di merito, incensurabile nel giudizio di legittimità, se congruamente e logicamente motivato (Sez. 3, n. 7268 del 24/01/2019, Rv. 275851-01; Sez. 6, n. 17314 del 20/04/2011, Rv. 250093-01; Sez. 6, n. 2852 del 02/10/1998, Rv. 211755-01; Sez. 6, Sentenza n. 44635 del 4/7/2017, non massimata).
Nel caso di specie, è stata congruamente evidenziata, nel provvedimento impugnato, la rilevante pericolosità del COGNOME, sia per la ‘gravità del danno patrimoniale arrecato’, sia per ‘l’ingente valore economico della refurtiva ‘, sia per ‘ la qualità dei beni asportati, riferita ad un mercato illecito ben specifico’.
Ed ancora, si sono rimarcate ‘la sistematicità delle condotte e l’organizzazione adottata per la consumazione dei furti’, circostanze denotanti ‘la professionalità degli indagati nell’esecuzione dei reati, posti in essere previa attenta pianificazione, avendo ben chiaro l’obiettivo ed il luogo da colpire di volta in volta, vista l’acquisizione di vetture a noleggio per commettere i singoli furti e la scaltrez za con la quale i soggetti dimostravano di muoversi all’interno delle aziende colpite’.
Tali argomenti, sulla complessiva gravità dei fatti, sono del tutto logici, né possono dirsi in alcun modo vanificati dalla generica (in quanto non rimarca alcuno specifico errore) deduzione secondo cui il ricorrente sarebbe stato coinvolto in soli tre degli episodi contestati : l’ordinanza impugnata, infatti, non si ferma alla detta gravità dei fatti, ma considera la peculiare posizione degli indagati e, in particolare, del COGNOME.
Invero, riguardo quest’ultimo si giudica ‘p oco plausibile ‘ ‘ che le condotte
predatorie siano dipese e determinate da contingenti ed estemporanee necessità economiche ‘ , tanto poiché il COGNOME ‘all’epoca della commissione del fatto disponeva di un impiego lavorativo ‘ : laddove nuovamente generica, oltre che valutativa, è la deduzione (in questa sede) di una sua scarsa retribuzione, che, peraltro, neppure si deduce in quale modo sarebbe stata supportata in sede di merito.
Sempre nel valutare la specifica posizione del COGNOME, si sottolinea, ancora, nel provvedimento impugnato, che lo stesso, pur ‘ indagato per un minor numero di furti ‘ , era, tuttavia, gravato da ‘ precedenti penali ‘ significativi della sua ‘ pericolosità ‘ e che avesse agito nonostante la ‘ recente espiazione ‘ di pena: che evidentemente non aveva avuto alcun effetto rieducativo e di reinserimento sociale.
Ed allora, il provvedimento impugnato ha operato una valutazione personalizzata della posizione del COGNOME.
Laddove, a ben vedere, col ricorso si mira, semplicemente, a chiedere una difforme valutazione di merito, allegandosi circostanze -quali la confessione, il mancato inserimento in organizzazioni criminose e, infine, la sussistenza di contingenti necessità economiche -che si assume siano idonee a sovvertire la valutazione (di merito) sulla sussistenza delle esigenze cautelari, operata dal Tribunale del riesame: tanto, però, in palese violazione dei principi suddetti.
Da ultimo, è opportuno precisare che, contrariamente a quanto pare sottendere il ricorso, non vi è alcun automatismo tra la buona condotta successiva alla consumazione dei reati, quand’anche la stessa si sostanzi nella piena confessione dei medesimi e nella volontaria sottoposizione all’interrogatorio di garanzia, prima della decisione sulla misura, ex art. 291, comma 1quater , cod. proc. pen.
Invero, fermo restando il principio (più volte affermato da questa Corte), secondo cui, in tema di applicazione di misure cautelari il giudice può desumere l’attualità e concretezza delle esigenze cautelari, e segnatamente del pericolo di reiterazione del reato, anche dalla condotta tenuta dall’indagato successivamente ai reati per cui si procede (così, ad esempio, in tema di misure cautelari personali, Sez. 3, n. 2719 del 05/08/1999, Rv. 214440-01, nel valorizzare anche solo l’incapacità di capire la gravità di ciò che si è commesso, nonché, in tema di misure interdittive, Sez. 4, n. 27420 del 03/05/2018, Rv. 273084-01), e persino dall’assenza di segnali di persistenza nell’illecito ( Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, Rv. 282891-01 e Sez. 5, n. 48092 del 17/10/2019, Rv. 277651-01), e che, dunque, nella complessiva valutazione a tal fine possono, senz’altro, essere
valorizzate la volontaria sottoposizione all’interrogatorio di garanzia ex art. 291, comma 1quater , cod. proc. pen. e la piena confessione resa in tale sede, siffatte circostanze, tuttavia, non possono considerarsi tali da elidere in toto qualsivoglia esigenza cautelare. Invero, se così non fosse, dovrebbe concludersi che, nonostante la commissioni di gravissimi delitti, la confessione resa dal responsabile inibirebbe, in radice, qualsiasi difesa delle esigenze cautelari ad essi sottese: automatismo che sarebbe del tutto illogico.
Nella specie, allora, ferma restando la considerazione di dette condotte postume, anche ai fini della valutazione della misura più adeguata alle esigenze cautelari, così come in concreto avvenuto nella specie, deve escludersi che la condotta collaborativa e confessoria anzidetta imponga tout court una valutazione di radicale insussistenza delle medesime esigenze.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. , alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della sanzione pecuniaria, a favore della cassa delle ammende, nella misura in dispositivo, congrua in rapporto alle ragioni dell’inammissibilità ed all’attività processuale che la stessa ha determinato, valutata la colpa nella determinazione della stessa causa di inammissibilità (Corte Cost. n. 186/2000).
La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 28 del regolamento di esecuzione del codice di procedura penale.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso il 24/04/2025.