Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 52114 Anno 2019
Penale Sent. Sez. 6 Num. 52114 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/10/2019
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Vibo Valentia il 14/02/1976
avverso l’ordinanza del 02/04/2019 del Tribunale di Catanzaro;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG, sost. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di Catanzaro ha applicato a NOME COGNOME gli arresti domiciliari per il delitto di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, con le aggravanti, tra l altre, della transnazionalità e dell’agevolazione mafiosa (capo 1 dell’incolpazione provvisoria), in parziale accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico ministero a norma dell’art. 310, cod. proc. pen., avverso l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, in data 18 febbraio 2019, aveva disatteso la richiesta di misura cautelare avanzata dalla medesima autorità giudiziaria inquirente.
2. Con atto dei suoi difensori e procuratori speciali, COGNOME impugna per cassazione tale ordinanza, sulla base di tre motivi.
2.1. Con il primo, deduce violazione di legge processuale, con riferimento al divieto di bis in idem cautelare.
La richiesta di misura cautelare avanzata dalla Procura della Repubblica di Catanzaro, infatti, era stata già presentata al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, dal Pubblico ministero presso quell’ufficio, unitamente alla richiesta di convalida del fermo di polizia giudiziaria disposto dalla medesima autorità inquirente (successivamente spogliatasi degli atti, trasmessi per competenza territoriale all’omologo ufficio di Catanzaro), e quel Siudice l’aveva respinta, per difetto di gravità indiziaria.
Essendo stato, quindi, dichiarato inammissibile l’appello avverso detta pronuncia, proposto ex art. 310, cod. proc. pen., dal Pubblico ministero presso il Tribunale di Milano, sulle relative statuizioni si sarebbe formato il c.d. “giudicat cautelare”, che avrebbe precluso la riproposizione ad altro giudice di una richiesta di misura cautelare fondata sui medesimi elementi.
1.2. Con il secondo motivo, il ricorso lamenta i medesimi vizi con riferimento alla ritenuta sussistenza di un quadro di gravità indiziaria per il delit associativo, evidenziando l’intrinseca contraddittorietà logica dell’ordinanza, dal momento che questa ha escluso i gravi indizi per l’unico reato-scopo ipotizzato a carico dell’indagato. Inoltre, la difesa pone in risalto l’episodicità del suppor asseritamente prestato da COGNOME al sodalizio; l’assenza di qualsiasi rapporto tra lui ed altri ipotetici sodali diversi da suoi parenti; l’equivocità dei conte delle conversazioni intercettate; la mancata partecipazione di costui alle cene tra sodali tenutesi presso il suo ristorante, mai, però, da lui organizzate.
1.3. Con il terzo motivo, gli stessi vizi vengono rappresentati per la parte dell’ordinanza attinente alle esigenze cautelari.
In GLYPH e, la GLYPH otivazione particolarGLYPH a m relativ GLYPH GLYPH intrinsecamente sarebbe GLYPH contraddittoria, per avere ritenuto sussistente il pericolo di reiterazione criminosa, pur evidenziando, ad un tempo, al fine di giustificare l’applicazione di una misura più blanda rispetto alla custodia in carcere, l’incensuratezza del ricorrente, la mancanza di suoi rapporti diretti con i narcotrafficanti e l’intervenuta carcerazione dei vertici dell’associazione: tutti elementi – secondo la difesa – dai quali non può che inferirsi, invece, l’assenza in concreto rischio di recidiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, mancando i presupposti di fatto del denunciato bis in idem cautelare.
La sequenza procedimentale, infatti, è stata la seguente:
· 30 gennaio 2019: ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Milano di non convalida del fermo di polizia giudiziaria e di rigetto della richiesta di misura cautelare avanzata dal Pubblico ministero presso quell’ufficio, per carenza di gravità indiziaria;
· 7 febbraio: quel Pubblico ministero interpone appello, ai sensi dell’art. 310, cod. proc. pen., al Tribunale di Milano;
· 8 febbraio: lo stesso Pubblico ministero si spoglia del procedimento e trasmette gli atti, per competenza territoriale, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro;
· 15 febbraio: nuova richiesta di misura cautelare, da parte di quest’ultimo ufficio;
· 18 febbraio: rigetto di tale richiesta da parte del G.i.p. del Tribunale di Catanzaro, per carenza non di gravi indizi, bensì di esigenze cautelari;
· 28 febbraio: il Pubblico ministero di Catanzaro appella la relativa ordinanza, ai sensi dell’art. 310, cod. proc. pen., al Tribunale di quella città;
· 12 marzo: il Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell’appello cautelare, dichiara inammissibile l’impugnazione proposta dal Pubblico ministero presso quell’ufficio il 7 febbraio, poiché ritiene che sia venuto meno, medio tempore, l’interesse all’impugnazione, in ragione dell’intervenuta pronuncia del G.i.p. del Tribunale di Catanzaro del 18 febbraio;
· 2 aprile: il Tribunale di Catanzaro, con l’ordinanza oggetto del presente ricorso, accoglie l’appello cautelare avanzato il 28 febbraio dal Pubblico ministero presso quell’ufficio.
Dunque, al momento della presentazione della seconda richiesta di misura cautelare, quella, ossia, del Pubblico ministero di Catanzaro, avanzata il 15 di febbraio, il provvedimento di rigetto della prima richiesta analoga, proposta dall’omologo ufficio milanese, era ancora sub judice, e perciò non poteva essersi formato, sullo stesso, alcun giudicato cautelare.
Né tale effetto preclusivo può riconnettersi alla successiva declaratoria d’inammissibilità dell’appello cautelare da parte del Tribunale di Milano, intervenuta il 12 marzo, poiché quei giudici non si sono pronunciati sul merito della domanda cautelare, e quindi sui presupposti della misura richiesta, bensì si sono limitati ad una decisione di natura meramente procedimentale, basata su rilievi di natura esclusivamente formale, oltre che pressoché obbligata.
Nessun bis in idem cautelare, dunque, si è verificato per effetto della pronuncia oggetto di ricorso.
2. Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente destituito di fondamento.
Il ricorrente si limita a proporre una lettura alternativa e parziale delle risultanze istruttorie, peraltro indiscutibilmente meno lineare, sotto il profi logico, di quella offerta dal Tribunale, mentre sorvola su altri elementi qualificanti, che invece compongono il complessivo quadro indiziario e che non si esauriscono nella – pur di per sé significativa – messa a disposizione, da parte di COGNOME, del locale in cui è stato stivato il carico di circa 430 chilogrammi di hashish acquistato dal gruppo.
I giudici del riesame, infatti, hanno evidenziato che, proprio nei locali dell’esercizio commerciale di costui, alcuni si recavano per cercare il capo-clan NOME e che, sempre lì, si sono tenuti vari incontri tra quest’ultimo ed altri soggetti coinvolti nei suoi traffici; inoltre, hanno messo in luce gli stretti rappo economici tra i due ed il continuo scambio informativo reciproco, come pure il fatto che COGNOME abbia messo a disposizione dei sodali anche il proprio telefono (più ampiamente: pagg. 19 – 21, ord.).
Si tratta di circostanze altamente sintomatiche di uno stabile inserimento del ricorrente in quell’attività illecita organizzata, a stretto e costante contatto c l’indiscusso dominus di essa, e dunque con un ruolo qualificato. E poco rileva semmai fosse vero, perché di tale allegazione la sua difesa non offre riscontro che, alle cene tra NOME e gli altri presso il suo locale, COGNOME non abbia partecipato e che, delle stesse, non sia stato il promotore: già solo l’ausilio logistico da lui prestato, infatti, tanto più se non occasionale, costituisc contributo essenziale per l’attività del sodalizio.
Né l’ordinanza impugnata si rivela intrinsecamente contraddittoria, per aver escluso gravi indizi di un suo concorso nell’importazione della sostanza stupefacente poi rinvenuta nel suo box, sì che egli, nel presente procedimento, non risulta indagato per alcun reato-fine dell’associazione di cui farebbe parte. I gravi indizi, infatti, sono stati pur sempre ravvisati a suo carico per la detenzione di quella sostanza, sicuramente riferibile al sodalizio, e per la quale si procede in separato giudizio.
3. Risulta fondato, invece, il terzo motivo di ricorso.
3.1. Il Tribunale ha ravvisato il pericolo di reiterazione criminosa a carico di COGNOME, in ragione dei suoi «costanti rapporti con il vertice dell’associazione», dell’aver egli messo i propri locali a disposizione di quella per la custodia dello stupefacente, nonché della «riorganizzazione dell’attività a seguito del sequestro, registrata dalle captazioni che coinvolgono NOME» (altro indagato di spessore).
Tuttavia, al diverso fine di giustificare l’adeguatezza degli arresti domiciliari, i 6iudici del riesame hanno posto in evidenza tre aspetti: ensuratezza del a) l’inc ricorrente; b) la mancanza di suoi rapporti diretti con i narcotrafficanti; c) l’avvenuta restrizione in carcere dei vertici dell’associazione.
3.2. Così strutturata, la motivazione, nel suo complesso, si presenta intrinsecamente contraddittoria.
Se è vero, ossia, che le probabilità di una ricaduta nel delitto da parte del ricorrente sono legate essenzialmente non a suoi contatti diretti con i trafficanti o ad un vissuto attestante una sua particolare vocazione al delitto, ma piuttosto ai suoi rapporti con i vertici del sodalizio, è onere del giudicante spiegare compiutamente le ragioni per le quali, nel momento in cui quei vertici sono stati ristretti in carcere ed il gruppo criminale è stato perciò “decapitato”, possa configurarsi un pericolo di recidiva munito dei caratteri della concretezza e dell’attualità, apparendo vaga, perché non meglio specificata nell’ordinanza, l’ipotizzata “riorganizzazione dell’attività” – e non propriamente del sodalizio successiva al sequestro.
3.3. L’ordinanza dev’essere, dunque, annullata, con rinvio al giudice emittente, perché, alla luce degli elementi già valorizzati o di altri eventualmente ricavabili dagli atti del procedimento, approfondisca il profilo relativo all sussistenza o meno delle esigenze cautelari, dandone adeguata e coerente motivazione.
A tal fine, il Tribunale dovrà attenersi al principio di diritto per cui il peric di reiterazione criminosa è “concreto” quando si fondi su elementi reali e non soltanto ipotetici; ed è “attuale” allorquando sussista la ragionevole probabilità del verificarsi di un’occasione per delinquere, ancorché non necessariamente
specifica ed imminente, da valutarsi secondo un giudizio prognostico che tenga conto – come richiede l’art. 274, cod. proc. pen. – non solo delle «modalità e circostanze del fatto», e quindi del dato oggettivo, ma anche della personalità e delle concrete condizioni di vita dell’indagato, tali da far fondatamente ipotizzare che sia egli stesso a creare le condizioni affinché tale occasione si verifichi.
P.Q.M.
Annulla con rinvio l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Catanzaro per nuovo esame.
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2019.