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Pericolo di fuga: motivazione apparente annulla misura

Un cittadino soggetto a Mandato d’Arresto Europeo ha richiesto la sostituzione della custodia in carcere con gli arresti domiciliari. La Corte d’Appello ha respinto l’istanza, ma la Corte di Cassazione ha annullato tale decisione. Il motivo è che la valutazione del pericolo di fuga era basata su una motivazione apparente, in quanto non spiegava perché una misura meno grave non fosse idonea a prevenire il rischio. La Cassazione ha rinviato il caso per un nuovo giudizio.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolo di fuga: quando la motivazione non basta

In materia di misure cautelari, e in particolare nell’ambito di un mandato d’arresto europeo, la valutazione del pericolo di fuga deve essere rigorosa e fondata su elementi concreti. Non è sufficiente una motivazione generica o basata solo sulla gravità del reato contestato. La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, n. 13358 del 2024, lo ribadisce con forza, annullando un’ordinanza che aveva negato la sostituzione del carcere con gli arresti domiciliari proprio per un difetto di motivazione.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un cittadino marocchino, destinatario di un mandato d’arresto europeo emesso dalla Spagna per un presunto tentato omicidio plurimo risalente al 2010. A seguito dell’arresto in Italia, la Corte d’Appello di Bologna applicava la misura della custodia cautelare in carcere.

Successivamente, la difesa presentava un’istanza non per la revoca della misura, ma per la sua sostituzione con gli arresti domiciliari. L’istanza veniva però respinta. La Corte d’Appello motivava il diniego evidenziando la gravità del reato e una generica “capacità di sfuggire alla giustizia”, desumendo da ciò un concreto pericolo di fuga.

Il difensore ha quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge per “mera apparenza” della motivazione. Secondo la difesa, il giudice di merito non aveva considerato elementi specifici e attuali, come il fatto che l’interessato risiedesse stabilmente in Italia, avesse un regolare permesso di soggiorno e un’occupazione lavorativa, senza mai aver nascosto la propria identità.

La Decisione della Cassazione e l’analisi del pericolo di fuga

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza e rinviando gli atti alla Corte d’Appello per un nuovo esame. Il punto centrale della decisione è la distinzione fondamentale tra l’esistenza del pericolo di fuga e l’adeguatezza della misura cautelare applicata.

Il ricorso della difesa non contestava l’esistenza di un rischio di fuga in sé, ma l’idea che solo la custodia in carcere fosse l’unica misura idonea a fronteggiarlo. L’istanza mirava a dimostrare che gli arresti domiciliari avrebbero potuto rappresentare un presidio sufficiente. La Corte d’Appello, tuttavia, si è limitata a ribadire l’esistenza del pericolo, senza spendere una sola parola sul perché una misura meno afflittiva fosse inadeguata. Questo silenzio ha reso la sua motivazione “apparente”, ovvero formalmente esistente ma sostanzialmente vuota.

Le Motivazioni della Sentenza

La Cassazione ha chiarito che, nel contesto di un mandato d’arresto europeo, il giudice deve sì valutare il rischio che la persona si sottragga alla consegna, ma questa valutazione deve essere ancorata a “obiettivi elementi concreti della vita del consegnando”. Non può basarsi esclusivamente sulla gravità del titolo di reato.

Il vizio dell’ordinanza impugnata risiede proprio nell’aver omesso di confrontarsi con il nucleo della richiesta difensiva: l’adeguatezza della misura. Affermare che esiste un pericolo di fuga non risponde alla domanda cruciale: perché questo pericolo non può essere efficacemente contenuto con gli arresti domiciliari? La mancanza di una risposta a questa domanda equivale a una motivazione inesistente sul punto centrale della controversia.

La Corte ha quindi stabilito che è necessario un “supplemento di motivazione” che analizzi specificamente le ragioni per cui una misura diversa dal carcere non possa salvaguardare adeguatamente le esigenze cautelari.

Le Conclusioni

Questa sentenza rafforza un principio fondamentale dello stato di diritto: ogni provvedimento che limita la libertà personale deve essere sorretto da una motivazione reale, specifica e non stereotipata. In tema di pericolo di fuga, il giudice non può fermarsi a una valutazione astratta, ma deve scendere nel concreto, analizzando la situazione personale dell’individuo e, soprattutto, giustificando la scelta della misura più restrittiva. Limitarsi a dire che il pericolo esiste, senza spiegare perché misure alternative non siano sufficienti, costituisce una violazione dell’obbligo di motivazione e legittima l’annullamento del provvedimento.

Quando una motivazione sul pericolo di fuga è considerata ‘apparente’?
Secondo la sentenza, una motivazione è ‘apparente’ quando si limita ad affermare l’esistenza del pericolo di fuga senza confrontarsi con gli elementi specifici portati dalla difesa e, soprattutto, senza spiegare perché una misura cautelare meno afflittiva (come gli arresti domiciliari) non sarebbe sufficiente a fronteggiare tale rischio.

È sufficiente la gravità del reato per giustificare il carcere in caso di mandato d’arresto europeo?
No. La Corte chiarisce che il pericolo di fuga non può essere giustificato solo sulla base della gravità del reato. Deve essere valutato sulla base di elementi concreti e attuali legati alla vita della persona, come la sua stabilità residenziale e lavorativa in Italia.

Cosa succede quando la Cassazione annulla un’ordinanza cautelare con rinvio?
L’ordinanza impugnata viene annullata e il caso torna alla Corte d’appello, che dovrà emettere un nuovo provvedimento. La Corte d’appello dovrà riesaminare l’istanza tenendo conto dei principi di diritto stabiliti dalla Cassazione, in particolare l’obbligo di fornire una motivazione completa e non apparente sull’inadeguatezza di misure alternative al carcere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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