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Pericolo di fuga: la valutazione va fatta ex ante

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che non convalidava un fermo, chiarendo che il pericolo di fuga deve essere valutato con un criterio ‘ex ante’. Il giudice deve considerare gli elementi noti al momento dell’adozione della misura, come un inseguimento e la scomparsa dell’indagato, e non fatti successivi come il suo ritrovamento. La decisione del tribunale, basata su una valutazione ‘ex post’, è stata ritenuta errata.

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Pubblicato il 23 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolo di Fuga: La Valutazione del Giudice deve essere “Ex Ante” e non “Ex Post”

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37459 del 2024, è intervenuta su un tema cruciale della procedura penale: la corretta valutazione del pericolo di fuga ai fini della convalida del fermo di indiziato di delitto. La Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale: il giudizio del magistrato deve essere condotto con un criterio ex ante, ovvero basandosi sugli elementi disponibili al momento dell’adozione della misura, e non ex post, cioè alla luce di eventi successivi.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un’operazione di polizia giudiziaria che ha portato all’emissione di un provvedimento di fermo da parte del Pubblico Ministero nei confronti di un individuo. L’uomo era gravemente indiziato per il delitto di detenzione e trasporto di un chilogrammo di cocaina e per la ricettazione di un’autovettura.

L’azione che ha portato al fermo non è stata semplice: l’indagato si era reso protagonista di un pericoloso inseguimento, mettendo a rischio l’incolumità pubblica e degli agenti. Nonostante i colpi di avvertimento sparati in aria, era riuscito a far perdere le proprie tracce, scomparendo per diversi giorni e rendendo necessarie complesse attività di ricerca.

La Decisione del Tribunale e il Ricorso del Pubblico Ministero

Nonostante questo quadro, il Tribunale di Perugia, in sede di convalida, ha rigettato la richiesta del Pubblico Ministero. Il giudice ha escluso la sussistenza del pericolo di fuga, valorizzando un elemento emerso dopo l’emissione del fermo: il fatto che l’indagato fosse stato rintracciato alcuni giorni dopo presso l’abitazione della sua compagna. Secondo il Tribunale, questa circostanza ridimensionava la concretezza del pericolo che l’uomo potesse sottrarsi definitivamente alla giustizia.

Il Pubblico Ministero ha impugnato questa decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo che il Tribunale avesse commesso un errore di diritto, applicando un criterio di valutazione ex post anziché quello corretto, ex ante.

Il Principio di Diritto sul Pericolo di Fuga

La Corte di Cassazione ha accolto pienamente le argomentazioni del ricorrente. Gli Ermellini hanno riaffermato che, in sede di convalida del fermo, il giudice ha il dovere di valutare l’esistenza del pericolo di fuga ponendosi nella stessa prospettiva temporale e informativa di chi ha disposto la misura precautelare.

La valutazione deve essere prognostica e basata su elementi concreti e specifici che, al momento del fermo, facevano ritenere probabile l’intenzione dell’indagato di sottrarsi al procedimento. Non è consentito al giudice utilizzare informazioni successive, come il successivo rintraccio dell’indagato, per sminuire la validità della valutazione originaria.

Le Motivazioni della Cassazione

Nel motivare la propria decisione, la Suprema Corte ha evidenziato come il Tribunale abbia ignorato una serie di elementi cruciali che, visti ex ante, giustificavano ampiamente la misura del fermo. Tali elementi includevano:

* Il pericoloso inseguimento per le strade, che dimostrava una chiara volontà di sottrarsi al controllo.
* La scomparsa per giorni, che aveva richiesto un notevole dispiegamento di forze dell’ordine per il rintraccio.
* Le caratteristiche personali dell’indagato, che vantava quattro alias e specifici precedenti di polizia, elementi che suggeriscono una certa propensione a eludere i controlli.
* L’atteggiamento tenuto durante l’intervento degli operanti, proseguendo la fuga nonostante i colpi di avvertimento.

Il Tribunale, concentrandosi unicamente sul ritrovamento dell’uomo presso l’abitazione della compagna, ha compiuto una non consentita valutazione di merito ex post, tradendo la natura stessa del giudizio di convalida, che è una verifica della legittimità dell’azione del Pubblico Ministero sulla base dei dati allora disponibili.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata, affermando che il fermo era stato legittimamente eseguito. Sebbene la fase processuale fosse ormai superata, la pronuncia riveste un’importanza fondamentale: ripristina la corretta interpretazione della legge e riafferma la legittimità dell’operato del Pubblico Ministero. La sentenza serve come monito per i giudici di merito, ricordando che la valutazione sul pericolo di fuga deve sempre essere ancorata al momento in cui la libertà personale viene limitata, per evitare che il giudizio di convalida si trasformi in una valutazione a posteriori, falsata da elementi non conosciuti al momento dell’azione.

Come deve essere valutato il pericolo di fuga per la convalida di un fermo?
La valutazione del pericolo di fuga deve essere effettuata con un apprezzamento ‘ex ante’, basandosi sugli elementi concreti e specifici disponibili al momento dell’adozione della misura, che facciano emergere una rilevante probabilità che l’indagato intendesse sottrarsi al procedimento.

È corretto considerare il successivo ritrovamento dell’indagato per decidere sulla convalida del fermo?
No, secondo la Corte di Cassazione è errato. Il giudice non deve effettuare una valutazione ‘ex post’ basata su elementi emersi successivamente, come il ritrovamento dell’indagato, ma deve porsi nella stessa situazione di chi ha operato il fermo, verificando la legittimità della sua azione sulla base dei dati allora disponibili.

Quali elementi indicavano il concreto pericolo di fuga nel caso di specie?
Gli elementi erano molteplici: il rovinoso e pericoloso inseguimento per le strade, il fatto che l’indagato avesse fatto perdere le proprie tracce per giorni, l’uso di alias, i precedenti di polizia e i numerosi controlli di frontiera subiti in passato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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