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Pericolo di fuga: la latitanza non basta sempre

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che confermava la custodia in carcere basandosi sul pericolo di fuga. La Corte ha stabilito che la dichiarazione di latitanza, se successiva alla richiesta di revoca della misura da parte dell’indagato, non è sufficiente a provare la sua volontà di sottrarsi al processo e richiede una motivazione più approfondita da parte del giudice.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolo di Fuga: La Dichiarazione di Latitanza non è Sempre Decisiva

In materia di misure cautelari, il pericolo di fuga rappresenta uno dei pilastri su cui si fonda la decisione di limitare la libertà personale di un individuo prima di una condanna definitiva. Tuttavia, la sua valutazione non può basarsi su automatismi. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito un punto cruciale: la dichiarazione di latitanza, se successiva alla volontà dell’indagato di partecipare al processo, non è di per sé sufficiente a giustificare la custodia in carcere. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda un individuo indagato per reati commessi tra il 2011 e il 2012. A distanza di molti anni, nei suoi confronti viene emessa un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. L’indagato, tramite il suo difensore, presenta un’istanza per la revoca di tale misura. In risposta, il Giudice per le Indagini Preliminari (GUP) non solo rigetta la richiesta, ma, quasi contestualmente, viene emesso un decreto che dichiara l’indagato latitante.

Contro questa decisione, l’indagato propone appello al Tribunale del riesame, che però conferma il provvedimento del GUP. Secondo il Tribunale, la dichiarazione di latitanza rendeva evidente il pericolo di fuga, neutralizzando il lungo tempo trascorso dai fatti. L’indagato decide quindi di presentare ricorso per Cassazione.

La Valutazione del Pericolo di Fuga e i Motivi del Ricorso

Il difensore dell’indagato ha basato il ricorso su due argomenti principali:

1. Violazione di legge sul pericolo di fuga: La difesa ha sostenuto che il notevole lasso di tempo trascorso dai reati (oltre dieci anni) doveva incidere sulla valutazione dell’attualità delle esigenze cautelari. Inoltre, la dichiarazione di latitanza era avvenuta proprio a seguito dell’istanza di revoca, un atto che, al contrario, manifestava l’intenzione di partecipare al processo.
2. Mancanza di motivazione: I giudici del riesame non avrebbero adeguatamente motivato perché la dichiarazione di latitanza fosse sufficiente a dimostrare un concreto pericolo di fuga, ignorando l’assenza di una reale volontà di sottrarsi al procedimento.

La Decisione della Cassazione: Latitanza e Pericolo di Fuga

La Suprema Corte ha accolto parzialmente il ricorso, annullando l’ordinanza e rinviando il caso per un nuovo esame. La decisione si fonda su una distinzione fondamentale.

Il “Tempo Silente” e la sua Irrilevanza nella Revoca

In primo luogo, la Corte ha respinto la doglianza sul tempo trascorso dai reati (il cosiddetto “tempo silente”). Citando la propria giurisprudenza consolidata, ha ribadito che, ai fini della revoca di una misura già in atto, rileva solo il tempo trascorso dall’applicazione della misura stessa, non quello precedente. Il “tempo silente” è un fattore da considerare solo nella fase iniziale, quando il giudice valuta per la prima volta se applicare la misura.

La Latitanza “Successiva” non Dimostra Automaticamente il Pericolo di Fuga

Il punto cruciale, e accolto dalla Corte, riguarda la valutazione della latitanza. La Cassazione ha affermato che, sebbene uno stato di latitanza pregressa sia un forte indizio di pericolo di fuga, la situazione è diversa quando la dichiarazione di latitanza è contemporanea o successiva a un’azione dell’indagato che dimostra l’intenzione di affrontare il processo, come la richiesta di revoca della misura.

Le Motivazioni

La Corte ha sottolineato che il Tribunale del riesame ha errato nel non motivare adeguatamente questo aspetto. Non si può collegare automaticamente una dichiarazione di latitanza, emessa a così grande distanza dal titolo cautelare e in concomitanza con la richiesta di revoca, a una volontaria sottrazione al procedimento. In altre parole, il giudice deve spiegare perché, nonostante l’indagato si sia “fatto vivo” per contestare la misura, si ritiene comunque che voglia fuggire. L’ordinanza impugnata non forniva alcuna spiegazione sulla rilevanza del lungo arco temporale intercorso tra l’emissione del titolo cautelare e la dichiarazione di latitanza, limitandosi a un collegamento automatico che la Cassazione ha ritenuto illegittimo.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio di garanzia fondamentale: la valutazione del pericolo di fuga deve essere concreta, attuale e basata su elementi specifici, non su presunzioni assolute. Una dichiarazione di latitanza non è una prova automatica della volontà di sottrarsi alla giustizia, specialmente quando il contesto temporale e le azioni dell’indagato suggeriscono una diversa interpretazione. Il caso è stato quindi rinviato al Tribunale di Brescia, che dovrà riesaminare la questione con una diversa composizione e tenendo conto dei principi espressi dalla Suprema Corte.

La dichiarazione di latitanza dimostra sempre il pericolo di fuga?
No. Secondo la Corte di Cassazione, una dichiarazione di latitanza non prova automaticamente il pericolo di fuga, specialmente se è emessa contestualmente o dopo che l’indagato ha presentato un’istanza per partecipare al procedimento (come una richiesta di revoca della misura). In questi casi, il giudice deve fornire una motivazione specifica.

Il tempo trascorso dal reato incide sulla decisione di revocare una misura cautelare?
No, non direttamente. La Corte chiarisce che il cosiddetto “tempo silente”, ovvero il periodo tra il reato e l’applicazione della misura, è rilevante solo nella fase iniziale di valutazione. Per la revoca di una misura già in essere, conta solo il tempo trascorso dalla sua applicazione.

Cosa succede dopo un annullamento con rinvio da parte della Cassazione?
L’ordinanza del tribunale inferiore viene cancellata. Il caso torna allo stesso tribunale, ma a un collegio di giudici diverso, che dovrà decidere di nuovo sulla questione, attenendosi ai principi di diritto stabiliti nella sentenza della Corte di Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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