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Pena sostitutiva: il termine decorre da irrevocabilità

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato che aveva richiesto tardivamente l’applicazione di una pena sostitutiva. I Giudici hanno stabilito che, in base alla normativa transitoria, il termine di trenta giorni per presentare l’istanza decorre dal momento in cui la sentenza di condanna diventa definitiva (irrevocabile) e non, come sostenuto dal ricorrente, dalla notifica del successivo ordine di esecuzione per la carcerazione.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena Sostitutiva: Quando Inizia a Decorrere il Termine per la Richiesta?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 11629/2024, ha fornito un chiarimento fondamentale sui termini per la richiesta di applicazione di una pena sostitutiva, in particolare nell’ambito della disciplina transitoria introdotta dalla Riforma Cartabia. La pronuncia stabilisce in modo inequivocabile che il termine di trenta giorni decorre dall’irrevocabilità della sentenza e non da atti successivi, come la notifica dell’ordine di esecuzione. Questa decisione sottolinea l’importanza per il condannato e il suo difensore di monitorare attentamente lo stato del procedimento per non incorrere in decadenze.

I Fatti del Caso

Un soggetto, a seguito di una condanna penale, proponeva ricorso contro l’ordinanza della Corte d’Appello di Bologna. Tale ordinanza aveva respinto la sua istanza per l’applicazione di una pena sostitutiva in quanto presentata oltre il termine di legge. Il ricorrente sosteneva che il termine di trenta giorni, previsto dalla normativa transitoria, dovesse iniziare a decorrere non dal momento in cui la sua condanna era diventata definitiva, ma dalla successiva notifica dell’ordine di esecuzione per la carcerazione. A suo avviso, questa interpretazione era più coerente con la tutela dei diritti del condannato, richiamando per analogia la disciplina prevista per le misure alternative alla detenzione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando completamente la tesi difensiva. I giudici hanno chiarito che la normativa transitoria in questione (art. 95 del D.Lgs. n. 150/2022) è chiara e non lascia spazio a interpretazioni estensive. La disposizione fissa un termine preciso e lo ancora a un evento specifico: l’irrevocabilità della sentenza.

Pena sostitutiva e decorrenza del termine

Il punto centrale della decisione riguarda l’individuazione del dies a quo, ovvero il giorno da cui inizia a contarsi il termine perentorio di trenta giorni. La Corte afferma che la legge prevede in modo “espresso ed univoco” che tale termine decorra “dall’irrevocabilità della sentenza”. Il condannato, essendo stato regolarmente informato dell’udienza che ha portato alla definitività della condanna, era pienamente in grado di conoscere l’esatto momento in cui il suo diritto di richiedere la pena sostitutiva poteva essere esercitato e, di conseguenza, il momento in cui tale diritto si sarebbe estinto.

La differenza con le misure alternative alla detenzione

La Cassazione ha inoltre respinto il paragone con la disciplina delle misure alternative alla detenzione (art. 656, comma 5, c.p.p.). In quel caso, la legge prevede esplicitamente che il termine per presentare l’istanza decorra dalla notifica del provvedimento di sospensione dell’ordine di esecuzione. I giudici hanno sottolineato che si tratta di due meccanismi procedurali differenti e non assimilabili. La diversità delle discipline è voluta dal legislatore e non può essere superata tramite un’interpretazione analogica, specialmente quando la norma in esame è, come in questo caso, chiara e precisa.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione della Corte si fonda su un’interpretazione letterale della norma transitoria. L’art. 95 del D.Lgs. n. 150/2022 è stato introdotto per gestire il passaggio al nuovo regime delle pene sostitutive e stabilisce una regola procedurale specifica. Secondo la Corte, questa regola non sacrifica le prerogative del condannato, il quale ha avuto la possibilità di monitorare il processo e di attivarsi tempestivamente. L’aver presentato l’istanza in ritardo è quindi una conseguenza diretta di una negligenza del condannato stesso. La palese tardività della richiesta ha quindi condotto a una declaratoria di inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, non essendo stati ravvisati elementi per escludere la colpa nella proposizione di un ricorso privo di fondamento.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia processuale: la certezza dei termini e la necessità del loro rigoroso rispetto. Per i condannati e i loro difensori, la decisione rappresenta un monito a non attendere la notifica dell’ordine di esecuzione per attivarsi nella richiesta di una pena sostitutiva secondo la disciplina transitoria. È essenziale, invece, calcolare con precisione la data in cui la sentenza diventa irrevocabile e agire entro i successivi trenta giorni. L’errore nel calcolo di questo termine può precludere definitivamente l’accesso a benefici penitenziari importanti, con la conseguenza inevitabile dell’esecuzione della pena in carcere.

Da quando decorre il termine di 30 giorni per chiedere la pena sostitutiva secondo la disciplina transitoria (art. 95, D.Lgs. 150/2022)?
Il termine di trenta giorni decorre dal momento in cui la sentenza di condanna diventa irrevocabile, cioè definitiva e non più appellabile.

Il termine per la pena sostitutiva inizia con la notifica dell’ordine di carcerazione?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il termine decorre dall’irrevocabilità della sentenza e non dalla successiva notifica dell’ordine di esecuzione per la carcerazione, respingendo l’analogia con le misure alternative alla detenzione.

Cosa succede se il ricorso per la richiesta tardiva di una pena sostitutiva viene dichiarato inammissibile?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, in quanto la presentazione di un ricorso inammissibile è considerata, in assenza di prove contrarie, un atto colposo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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